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FRIZIONE – FRENI E FAP – UNA BANALE STORIA D’AMICIZIA 5

“Bottanuco è un comune italiano di 5 113 abitanti, della provincia di Bergamo, in Lombardia. Situato nell’isola bergamasca, sulla riva sinistra del fiume Adda, dista circa 22 chilometri a ovest dal capoluogo orobico, ecco cosa dice wikipedia.

Il sole ormai aveva preso il suo posto del cielo terso. Parcheggiammo l’auto in uno spazio dedicato accanto alla chiesa della cittadina. Scendendo dall’auto mi avvolse un senso di inquietudine, e non fu solo una mia sensazione. Il silenzio irreale ci travolse, e se prima si sorrideva pensando a qualcosa che era stato, ora un migliaio di domande frullavano nella nostra testa. Sembrava di essere su un set di un film, ecco si, proprio un film… ” Io sono leggenda”, Willy Smith andava in giro con il suo cane nella città silenziosa e poi all’improvviso degli strani esseri, che un tempo erano stati uomini e donne, sbucavano fuori per attaccarlo…mi ritrovai a guardarmi le spalle inconsciamente e a controllare che Savio ed Antonio mi fossero sempre accanto.

Tranquilla, troppo tranquilla Bottanuco per chi ha sangue napoletano che scorre nelle vene.

Iniziammo a fare domande in giro, a quelle poche anziane anime che sedute ad un bar bevevano il caffè, non avevamo l’indirizzo preciso, ma sapevamo che in un paesino come quello sarebbe stato facile… infatti avevamo ragione.

In silenzio seguimmo le indicazioni che ci avevano fornito, il silenzio dominava anche tra noi. Quei pensieri, quelle domande riecheggiavano nelle nostre menti…” Ma come cazzo c’ era finito qua!”. Eravamo all’esterno della sua abitazione, quei muri malandati, diroccati, stanchi, erano esattamente lo specchio di cio’ che aveva vissuto la sua anima…

Teste basse, occhi gonfi di lacrime, ci allontanammo, era ancora presto, ora dovevamo far finta di nulla e farci forza l’un l’altro. Riprendemmo l’auto e decidemmo di andare a cercare un posto dove andare a mangiare qualcosa. Entrati in macchina, ebbi la sensazione di essere protetta. Come se gli sportelli dell’auto avessero lasciato fuori quella solitudine, quel silenzio assordante che ci aveva avvolti. Respirai.

Scegliere il luogo dove ristorarci non fu facile. Chiedere a google non ci aiutò molto. Alla fine ci ritrovammo in un centro commerciale nel mezzo del nulla, a mangiare pizza e, a bere birra. Solo al pensiero di quella immagine sorrido. Tre napoletani in un centro commerciale di Bottanuco che mangiano pizza!!. Commentando la situazione, ci ritrovammo a sorridere e non eravamo piu’ solo in tre. Tra battute, amuchina, e mascherine, si era fatta l’ora di andare…

Da questo momento tutto quello che accadde sarà solo per noi, resterà nei nostri abbracci, nei nostri occhi, nelle nostre lacrime. Una cosa posso condividere: la disperazione composta di una madre, spenta da quella immensa sofferenza. Ascoltammo ed osservammo inermi, i racconti di come aveva vissuto…

Il resto fu silenzio.

Ripartimmo con l’anima in lacrime, quei ricordi e quelle domande che non avrebbero più avuto risposta. Qualcosa ruppe quel senso di irrequietezza… Il telefono di Savio squillò.

Quella frizione proprio non si trovava…

Antonio ed io in uno sguardo complice iniziammo a ridere. Una di quelle risate liberatorie, piene, vere….. era con noi.

Il viaggio del rientro fu davvero lungo, ma piacevole. Ci fermammo in un autogrill, per un caffè e per mangiare qualcosa… Savio aveva fame.  Ci posizionammo in un tavolino lontano da assembramenti che facevano sempre paura, ed i ragazzi si alternarono per andare al bagno e non lasciarmi da sola.  In autogrill entrò poi un gruppo di uomini, forse camionisti, io avevo deciso di prendere una red bull per avere un po’ di carica, mi avvicinai alla cassa e notai una cosa che mi riempì il cuore di gioia: Antonio si alzò dal posto in cui era per seguirmi con lo sguardo, ero uscita dalla sua visuale, controllava che tutto fosse a posto. Quel gesto anche se non necessario, perchè  non c’ era nulla di pericoloso, mi fece comprendere quanto avere amici come loro nella mia vita fosse davvero importante, e le distanze, il tempo, le esperienze diverse che avevamo vissuto non ci avrebbero mai allontanato veramente, la nostra una banale storia di vera amicizia…

I ragazzi erano veramente stanchi, proposi di guidare, per dare loro il cambio, ma mi dissero che piuttosto avrebbero guidato bendati… Ringraziai per la fiducia e iniziarono gli sfottò quelli nostri… solo nostri…e  tra risate e battute, ad un certo punto sentimmo un tonfo, uno ” stuck”.

” Anto meno male che è nuova la macchina, questa frizione la massacri”… ma quel rumore era altro…

 

To be continued

The Sun’s Smile

 

 

 

 

 

 

FRIZIONE – FRENI E FAP – UNA BANALE STORIA DI AMICIZIA – 3

Il sole ancora riposava e Roma era in silenzio.

Savio si trascinava con gambe pesanti e occhi gonfi, Morfeo gli stava ancora attaccato. 

Una mattina di luglio l’aria era frizzantina.

Il motore della  Fiat 500, presa a noleggio da Savio, scaldò i motori, cintura di sicurezza allacciata, e partimmo. 

Avevamo appuntamento con Antonio, in “culandia”, termine che uso spesso per definire le distanze, insomma in un posto lontanissimo.

In auto si chiacchierava delle solite cavolate, e Savio aveva fame, vuole fare colazione. Ma ovviamente non ci sono bar nei dintorni dove poter attingere del cibo, per cui decidemmo di parcheggiare ed attendere Antonio che intanto aveva inviato un messaggio:

“ragazzi temporeggiate un attimo arrivo per le 5.45”

“Che cazz amma temporeggia stamm gia ca”, che tradotta sarebbe ” non c’è da temporeggiare siamo arrivati già.

Nell’attesa Savio ed io non uscimmo dall’auto, eravamo circondati dalle zanzare, convenimmo che era il caso di restare in macchina ed ascoltare un po’ di musica fino all’arrivo di Anto.

Un flash da fari ci distolse dalle nostre conversazioni, e dai ricordi. Antonio era arrivato.

Credo che quello che successe non potrò mai dimenticarlo…

Savio ed io uscimmo dall’auto, Anto ci venne incontro, e senza dire una parola, senza un fiato, ci abbracciammo, un abbraccio tra noi amici fraterni, un abbraccio lungo intenso, conteneva tutto, tutto quello che noi eravamo stati, quello che eravamo…L’energia dei ricordi scorreva attraverso le braccia da corpo a corpo…

” Salvatò ja prendiamo la mia, è piu’ comoda”.

Anto aveva un auto assolutamente piu’ comoda per un lungo viaggio, BMW Serie 3 Touring, acquistata da poco, ci raccontò infatti che era un suo desiderio da tanto tempo, e dopo enormi sacrifici economici era riuscito ad acquistarla usata.

Impostammo il navigatore… arrivo previsto ore 12.30 circa.

Partimmo, che il sole iniziava a fare capolino, Savio aveva fame, lo tenni a bada con una barretta proteica, che non apprezzò, ma almeno si calmo’…

La strada scorreva veloce…i paesaggi apparivano e sparivano come in delle diapositive…eravamo noi 3, la strada ed i nostri ricordi.

il sorriso del sole ora era su di noi.

 

to be continued

The Sun’s Smile

 

 

Il TEMPO – EPILOGO

“Da quel giorno sono rimasto nel retrobottega quanto più potevo. Mio zio era felice che io leggessi e non gli importava che non gli dessi una mano con i clienti. E’ sempre stato gentile con me. Mi portava il pranzo, spesso era la frittata di pasta che aveva preparato la zia. Le uniche raccomandazioni erano ” Non ti sporcare, mangia piano e stai dritto con la schiena altrimenti t’ ven o scartiell’ ( ti viene la gobba)”.

Io gli sorridevo e annuivo.

Avevo trovato il mio angolo di felicità, ero affamato di sapere, di conoscere. Quei fumetti mi diedero nuova linfa, nuova energia e resero le mie vacanze molto piu’ interessanti.

Trascorrevo intere giornate nel retrobottega e spesso non mi rendevo neanche conto di che ore fossero. 

Un giorno mio zio venne a chiamarmi cinque minuti prima della chiusura e mi trovò sdraiato sul pavimento intento a leggere non so quale numero di Topolino.

“Giovanotto ti vuoi ammalare? Forza su alzati che dobbiamo chiudere”. Mi alzai, memorizzai la pagina a cui ero arrivato nella lettura e sistemai il fumetto al suo posto. Ricordo che mio zio mi chiese anche se avessi voluto portarlo a casa, ma io risposi di no, il retrobottega era il mio posto magico, ma questo non glielo dissi mai.

Le notti trascorrevano sempre molto lente… il giorno tardava ad arrivare, o almeno questa era la sensazione che vivevo. A parte una notte, una in particolare…

Come ti ho detto dormivo con le mie cugine, gli zii avevano aggiunto un letto nella stanza. Io ero sotto le coperte, e ricordo che mia cugina più grande iniziò a spogliarsi per indossare il pigiama….forse credeva che io stessi dormendo, e non la feci mai dubitare del contrario. Devo ammettere che non fui carino, ma da ragazzino curioso, sbirciai.. 

Dalla finestra entrava la luce fioca della luna, e nel vetro si rifletteva l’ immagine di mia cugina. Sbottonò la camicia sul petto, poi i polsi, la fece scivolare sulle spalle e poi con cura la sistemò sullo schienale della sedia vicino al letto. Per la gonna invece fece un movimento strano, ritirò la pancia e fece ruotare il dietro della gonna davanti per poterla slacciare, lasciandola cosi’ cadere sul pavimento. Io osservai quasi trattenendo il respiro, a parte mia madre non avevo visto altre donne in intimo. Sistemata la gonna anch’ essa sulla sedia, slacciò il reggiseno, in quel momento probabilmente arrossì e chiusi gli occhi per un attimo e quando li riaprì, vidi quella morbida immagine riflessa nel vetro della finestra. Oggi rivivo quelle emozioni e credo di poter dire che forse in quel momento ho imparato ad amare la bellezza delle donne…. Mia cugina poi indossò la sua camicia da notte, con entrambe le mani tiro’ via i capelli, li portò su di un lato, sollevò le lenzuola e si coricò.

Un grosso respiro e l’ultimo sorso di birra…

” Scusa mi sono perso, ma ci sono delle cose che rivivo con piacere”.

” Non ti preoccupare sono dei ricordi bellissimi ed è bello che tu li abbia così vividi nella tua memoria”

“Dopo quella notte, quasi insonne fui il primo a svegliarmi in casa, apparecchiai la tavola per la colazione aspettando che zia si alzasse. Ovviamente fu sorpresa di vedermi già pronto in cucina, mi diede un bacio sulla fronte iniziò a preparare. Questa volta alle 6.20 ero io che aspettavo zio sulla porta.

” Giovanotto allora vuoi rubarmi il mestiere e andiamo va”.

Quel giorno zio  mi raccontò di quando anche lui era bambino come erano diversi i tempi…e anche lui andava sempre a lavorare con il papà e l’edicola infatti era una di quelle eredità di famiglia tramandate di padre in figlio.

I miei ricordi viaggiavano instancabili…

Mentre l’uomo senza volto parlava le mie mani presero dalla borsa situata alla mia destra, un pezzo di carta ed una penna.

“Dopo aver effettuato tutto l’iter dell’apertura mi rinchiusi nel retrobottega, ero un ragazzino davvero felice, sai perchè? Lo zio per evitare che mi raffreddassi aveva appoggiato sulla scala/sgabello un plaid e a terra aveva messo un tappeto enorme con un’abat jour da scrivania,  mi chiesi quando aveva avuto il tempo di farlo senza che me ne accorgessi, era tutto perfetto… corsi fuori lo abbracciai e ritornai a leggere.

Purtroppo le vacanze stavano volgendo al termine, un po’ di malinconia iniziava ad appesantire il mio cuore. Erano trascorsi tre mesi, ma per me era trascorso un giorno. 

Senza dar tanto peso al gesto, come se fosse automatico rimisi il pezzo di carta in borsa.

I saluti nella mia famiglia erano come quelli dell’arrivo, tutti a casa, ognuno mi lasciò del cibo che a loro dire non avrei ma trovato a Roma, baci, abbracci e i soliti pizzicotti sulle guancia che mi avrebbero lasciato il segno per qualche giorno”.

La macchina era pronta.

Erano tutti in fila sull’uscio per salutarmi, anche mia cugina quella grande, che ormai non riuscivo più a vedere vestita… “

Sorrise…

“Mio zio era commosso, mi abbracciò forte e mi diede uno zainetto, e mi disse di aprirlo solo in macchina e che era un nostro segreto. Lo abbracciai e lo ringraziai.

Intanto l’uomo chiese il conto….

Il viaggio di ritorno fu veramente lungo, ma poi ricordai dello zaino che avevo posto nel sedile accanto e lo aprì.”

Ecco il conto, ringraziammo il ragazzo che si allontanò.

“Sai cosa c’era nello zaino?”

“Posso immaginare” dissi.

“Esatto, lo zaino era pieno di fumetti e almanacchi e zio mi aveva lasciato anche un biglietto in cui scriveva di fargli sapere quando avessi finito così mi avrebbe mandato altri volumi. Ero un bambino fortunato e felice.”

L’uomo pagò il conto. Lo ringraziai.

Sai forse quelle vacanze hanno un pò cambiato il corso della mia vita… il tempo mi ha aiutato a capire  molto…”

Ti capisco e concordo il tempo passa, non gli si dà mai la giusta importanza, siamo legati ai nostri ricordi, quelli che ci hanno fatto diventare come siamo… proprio per questo poi io ho deciso di scrivere dei racconti, per tenerlo sempre presente… sai che ti dico, potrei scrivere un racconto anche su questa storia…

” Ne sarei felice”.

“Bene intanto ho preso appunti”.

 Finalmente i miei ricordi mi diedero nuovi occhi…

Vidi il suo sorriso per la prima volta. Lo vidi e con esso i suoi occhi…

 

Il vinile terminò i suoi giri, il bicchiere di vino ormai era vuoto, la luna sorvegliava le stelle.

Spalancai gli occhi e sorrisi… 

Tra le mie mani ancora quel foglio sul quale avevo preso appunti delle tre parole che potessero indicarmi la strada da seguire…

bambino

retrobottega

fumetti

Adesso so chi sei!!

 

The End

 

The Sun’s Smile

 

 

IL TEMPO – PARTE 5

I miei respiri lenti, il battito del mio cuore scandiva ogni singolo secondo…

” Un nuovo giorno ebbe inizio, a casa dei miei zii aveva inizio molto presto, la sveglia era posizionata alle 5.30 del mattino. Il risveglio non fu difficile nonostante l’ora … L’aroma del caffè preparato da zia si era diffuso per tutta la casa, e mentre le mie cugine sognavano principi azzurri e principesse, io sgattagliolai dal letto e mi diressi verso la cucina…

Mi apparve di schiena subito zia, che aveva il suo bel da fare, nel preparare la colazione…uova fresche sbattute con lo zucchero e qualche fetta di pane tostato con fichi. Quando si accorse della mia presenza sobbalzò e disse :” Giovanotto buongiorno, avanti fai colazione che oggi ti aspetta una lunga giornata a lavoro con lo zio”. Le sorrisi ed iniziai ad assaporare le uova, che bontà… ” Aspett, a zi ti fa assaggiare una cosa buona, ma non dirlo a mamma tua”..e nel mentre mi versava qualche goccia di caffè nella ciotola con le uova…  Ricordo ancora il sapore delicato delle uova mescolate allo zucchero con il sapore del caffè”.

“Anche mia nonna aveva l’abitudine di preparare quella crema buonissima con le uova…” dissi ” abbiamo un ricordo in comune”.

Le sue mani erano appoggiate al bicchiere della Guinness ed il suo racconto continuò.

“In poco tempo ero lavato e vestito. Quel giorno avrei accompagnato mio zio a lavoro. Alle 6. 20 era davanti all’ingresso che mi aspettava, mi diede uno scappellotto dietro alla nuca, mi sorrise e mi disse: ” Allora sei pronto?” Con un cenno della testa risposi di si. Mio zio era buffo, lo ricordo sempre con gioia, il viso segnato dal tempo e dalla vita, i baffi da sparviero. Vestiva sempre con dei pantaloni con le pences, una camicia perfettamente stirata ed un gilet. Da quando lo conosco non ricordo di averlo mai visto senza…. forse la notte… (sorrise) mah comunque…stavamo dicendo?

Ah si, usciti di casa, percorremmo una strada lineare, ad un certo punto in piazza girammo a destra, e all’angolo, l’edicola. Mio zio era un giornalaio. Ricordo perfettamente il rumore stridulo della saracinesca che veniva sollevata, e come una eco si diffondeva in tutto il quartiere, squarciando il silenzio mattutino. Ogni suo gesto era attento e accurato, come un rituale giornaliero,  lasciava la saracinesca, metteva da parte il lucchetto ed iniziava ad organizzare il suo “ufficio”.

Riuscivo a percepire i ricordi dell’uomo senza volto, percepivo i suoi respiri ed il cuore era più presente che mai, ed anche il mio.

“Mentre zio sistemava le riviste sul banco, erano forse le 6.50, arrivò un furgoncino, che parcheggiò proprio davanti all’edicola- ” Capo!” il ragazzo che guidava quel furgoncino, tentava di attirare l’attenzione di mio zio, il quale accortosi del ragazzo, gli si avvicinò ritirò un pacco di quotidiani, che mi chiese di tenere, mentre lui firmava un documento. I due si salutarono con un cenno del capo ed il furgoncino si allontanò. Rimasi in attesa di ricevere indicazioni, rimasi fermo sostenendo il pacco di quotidiani, mio zio mi vide e scoppiò in una grossa risata…. “e bravo il mio nipotino” mi disse.

Il sole ormai era alto, i primi clienti iniziavano ad arrivare già alle 8.00, prima di dirigersi a lavoro. C’era un bel movimento, mio zio aveva sempre un sorriso per tutti, e spesso salutava i clienti per nome: ” Arrivederci signora Maria,, buona giornata – Dottore che il signore guidi la sua mano oggi – Don Peppino mi raccomando oggi le campane puntuali… e così via..

Mi divertivo tantissimo a contare le monete da dare ai clienti, dietro la guida di zio ovviamente, ed arrossivo quando zio riceveva i complimenti per avere un bel giovanotto come apprendista. Il tempo scorreva veloce. Ero molto attento e tanto curioso. Intorno alle 12.00 arrivò la signora Viviana, una donna per bene, corporatura robusta, accompagnata da un barboncino bianco di nome Nina, lo zio prima ancora che la signora si avvicinasse al banco, mi chiese di prendere un libro chiamato ” Eschilo – volume 3 i grandi classici”,

“lo trovi nel retrobottega sul primo scaffale sulla destra è verde non puoi sbagliare”. Feci come mi disse. Mi infilai nella porticina che andava nel retrobottega, tirai una cordicella che mi permise di accendere una lampadina basculante al centro dello spazio e restai senza fiato.

Intanto sentivo chiacchierare mio zio con la signora Viviana, la quale chiese se il volume 3 Eschilo fosse arrivato, non persi altro tempo ritornai al banco e consegnai il volume richiesto. Mio zio mi accarezzò la testa e dopo aver effettuato lo scontrino congedò la signora Viviana e Nina  con un ” Buona lettura”.

” Zio posso restare un po’ nel retrobottega, ho visto delle cose che mi piacciono”, mio zio non esitò a rispondermi positivamente e allora alla velocità della luce attraversai nuovamente la porticina e mi immersi in un mondo tutto da scoprire.”

Vedo quei ricordi come se fossero i miei, un film proiettato nei miei occhi, nella mia mente…a questo punto non posso che continuare a viaggiare con l’uomo senza volto.

To be continued

The Sun’s Smile

 

IL TEMPO – PARTE 3

Il racconto continua fluido, in quel locale una musica accompagna le parole di quel racconto minuzioso e appassionato…

Il mio cervello si mette in moto, come un motore di ricerca… ecco trovato ” Love of my life” i miei adorati Queen.

I miei ricordi ora si focalizzano nuovamente sull’uomo senza volto.

Tutte le volte che si affrontava un viaggio cosi’ lungo, era veramente uno spasso, sai non c’erano telefonini, non c’erano videogame tascabili, per cui o dormivi e rinvenivi alla prima sosta all’autogrill per andare alla toilette, oppure rilassato sullo schienale dell’auto ammiravi fuori dal finestrino le nuvole. Ma come non lo hai mai fatto? Allora era il mio passatempo preferito, a dire il vero anche l’unico interessante. Ti spiego.

Da bambini si ha tanta fantasia, non come adesso che per qualsiasi ricerca o ispirazione si chiede a google, per cui quando la noia del viaggio si faceva sentire, puntavo gli occhi al cielo alla ricerca di una nuvola che potesse interessarmi, allora, dopo averla  individuata, appoggiavo la bocca sul finestrino, alitavo per creare una sorta di brina, con il dito indice iniziavo a designarne i contorni.  Ripetevo l’operazione più volte, ed ogni volta veniva fuori un disegno diverso, da un maialino con la pancia ondulata, ad una farfalla con le ali drappeggiate. Dovevo essere rapido nel disegnare, più ci allontanavamo dal punto in cui avevo visto la nuvola, più diventava difficile disegnarne i contorni, fino a quando usciva  dal mio campo visivo e puntavo ad un’altra nuvola. Il viaggio in questo modo era piu’ divertente come se viaggiassi in compagnia di tanti amici ed il tempo scorreva rapido, almeno fino all’autogrill.

Un sorso di birra ed un sospiro.

Lascio per un attimo la penna sulla scrivania, le mani nei capelli per allontanarli dal viso, qualche  movimento per rilassare il collo, che ovviamente emette scrocchi strani, le mani, palmo contro palmo, tornano davanti alla bocca, è faticoso molto…

Decido di prendere una pausa da quella ricerca, è tempo di cambiare aria, e postazione.

Mi dirigo verso la poltrona che ho sistemato sul balcone. E’ accogliente, non lo ricordavo, (la quarantena mi ha fatto riscoprire cose che non pensavo) Resto lì immobile con gli occhi fissi nel vuoto.

Bambino

retrobottega

Fumetti 

Le tre paroline magiche che avevano smosso il ricordo…continuavo a ripeterle e ancora e ancora…

Silenzio. 

Respiro.

Il battito del mio cuore.

Gli occhi socchiusi accarezzati dal sorriso del sole…e riprende il viaggio.

 

to be continued

The Sun’s Smile

Raffaela Anastasio

 

 

ARMANDO – IL BARBIERE DI MOZART

Quattordici febbraio, il sorriso del sole splende in questo giorno dedicato all’amore in tutte le sue forme.

Concordo un pranzo al volo con Fabri, un ristorantino carino, vegano, i profumi ed i colori del buffet, regalano ancor di piu’ buon umore.

Dopo esserci confrontati, su lavoro, famiglia, ed esserci aggiornati sulle attività che avremmo fatto nel weekend, la suoneria di un cellulare attira l’attenzione di Fabri…

” Carina vero?” 

e lui…” Eh si”..

Quel “si ” aveva un quid di malinconico, i suoi occhi iniziano ad allontanarsi da quella conversazione, dal quel luogo…puntano il vuoto…forse un ricordo nella sua mente sta facendo capolino.

” E quindi?”, tento di riconnettermi con lui, ” bene, dimmi qualcosa che no so ” gli chiedo.

Ho avuto la sensazione come se non aspettasse altro che gli rivolgessi quella domanda, e con il suo bel “vestito da riunione”, si protrae in avanti, appoggia i gomiti sul tavolo e con un sorriso mi dice:

” Sai Raf mio nonno era un melomane. Era anche un barbiere, un bravo barbiere. Entrare nella sua bottega significava essere catapultati in un meraviglioso mondo melodico il cui sottofondo si accompagnava al ticchettio incessante della forbice. Talvolta sembrava quasi andare a tempo. Un antico registratore rimaneva acceso per ore riproducendo famose arie, registrate a più riprese nelle lunghe afose serate estive, quando la solitudine casalinga offriva solo cene frugali e telefonate a gettone di mia nonna che chiamava dalla cabina centrale del paese d’origine al centro della Ciociaria.

Immersa nel racconto, vedo la bottega, vedo suo nonno che lavora…il ticchettio della forbice scandisce il tempo…ora.

I clienti sapevano che il martedì era dedicato a Verdi, il mercoledì Rossini, Bellini e Leoncavallo, il giovedì tornava Verdi e qualche autore d’oltralpe, come usava dire, ma il venerdì invece c’era Mozart! Era il giorno che preferivo. Il venerdì non si mormoravano arie come “e lucean le stelle” , non si canticchiava a labbra serrate “questa o quella…”, c’era solo la musica, c’era solo Mozart!
Mio padre lavorava in centro, vicino alla bottega di mio nonno, ed io, quando iniziava la stagione calda, quasi tutti i venerdì, ormai adolescente, chiedevo a mia madre di aspettarlo all’uscita della Banca, insieme a mia sorella che veniva trasportata nel suo passeggino “inglesina” dalle ruote bianche bicolore. Abitavamo poco distante, tra io rione Monti e l’Esquilino e il venerdì l’aria del pomeriggio sembrava più leggera, portava con se il riposo del sabato, almeno per alcuni. Non andavamo ogni santo venerdì, ma quando questo accadeva il tragitto cha va da Via Carlo Alberto a Piazza del Parlamento mi sembrava infinito. Si partiva alle 16.00 dal portone di casa, al numero 24 e dopo i consueti saluti dei due tre negozianti di rito le tappe salienti erano Santa Maria Maggiore, il Teatro dell’Opera, poi Via Nazionale, la faticosa Via Quattro Fontane ed infine la lunga discesa di Via del Tritone fino a Piazza San Silvestro, dopo aver strizzato l’occhio a Piazza Barberini.

Le sue parole mi portano in quei quartieri di Roma, sono con lui lo vedo bambino.

Era una lunga passeggiata che presagiva in me due ricompense, il gelato che mio padre ci avrebbe offerto da Giolitti e il passaggio nella bottega di mio nonno. Mio padre poi ci avrebbe riportato a casa con l’autobus, il 71 che prendevamo a Piazza San Silvestro e lasciavamo a Via Rattazzi verso le 8 di sera. Era il tempo in cui sugli autobus v’erano ancora i bigliettai e il costo della corsa, ricordo, era di 50 lire e i biglietti erano arancioni di una filigrana leggera. Di solito rimanevamo in fondo a l’autobus, nella cosiddetta piattaforma, con il passeggino piegato su se stesso e mio padre che si caricava mia sorella in braccio.
Fremevo sin dal momento della partenza sapendo che avrei trascorso del tempo nella bottega di mio nonno dove le poltrone girevoli sembrano per un bambino i destrieri di una giostra, ma soprattutto sapevo che il venerdì mi aspettava Mozart. Mi auguravo sempre di non trovare clienti o che fossero seguiti da Angelo, l’aiutante di mio nonno, così da poter parlare con lui e sentire i suoi racconti, i suoi commenti sulle note di Mozart!
Mio padre a volte si seccava del mio comportamento, effettivamente sembravo rapito dalla musica e cercavo di catalizzare l’attenzione, ma io non potevo farci niente, quella musica era come una calamita che mi attirava a se e mi teneva prigioniero, ostaggio di quelle meravigliose note. Mio nonno al contrario si esaltava e diveniva complice di quel gioco musicale rispondendo alle mie continue domande o facendo finta di sorprendersi se indovinavo la sonata o il titolo del concerto. Era divertente mio nonno Armando, stava al gioco e soprattutto era fiero di quel nipote che come lui amava la musica, quel tipo di musica, solo quel tipo di musica.
Durava poco quella visita, ma aveva un fascino indescrivibile che ancora ricordo in modo vivido e malinconico. A distanza di anni mi capita di ricordarlo quando mangio un gelato, perché portavo con me quel sapore in quei momenti, visto che il passaggio a bottega avveniva dopo la classica tappa di Giolitti. Nello specifico aveva il sapore della crema perché nei miei ricordi romani di bambino il sapore del gelato al cioccolato era invece quello del palazzo del freddo di Fassi.
Ho sempre ascoltato musica, in ogni luogo, in ogni tempo, avevo un giradischi compatto con delle piccole casse è una puntina la cui sensibilità era pari a quella di uno scalpello, ma passavo ore ad ascoltare e fantasticare, la musica accompagnava le mie giornate, la merenda, i compiti, talvolta le serate in cui mi era permesso fare tardi. Il fatto strano però era che a casa preferivo ascoltare musica leggera, di vario genere, mentre la musica classica era e rimaneva una prerogativa della bottega di mio nonno.

Adoro ascoltare, ha rapito totalmente la mia attenzione, sono curiosa di saperne di più.

Di questo breve scorcio dei mie ricordi adolescenziali non dimenticherò mai quanto avvenne un pomeriggio quando mio nonno per sottolineare ad un cliente la sua predilezione per Mozart raccontò a tutti noi un aneddoto che, anche fosse frutto della fantasia e non un fatto storicamente comprovato, rimane affascinante ed essenziale: “una volta alcuni allievi di un grande Maestro d’orchestra, alla chiusura della lezione di composizione, posero al Maestro la seguente domanda:…Maestro chi è secondo lei il più grande compositore di tutti i tempi? E il Maestro rispose prontamente…senza dubbio Beethoven! Dopo aver risposto il Maestro si accorse che i suoi allievi erano rimasti un po’ interdetti e poco convinti della sua risposta è di tutto punto chiese loro…ragazzi vi vedo un po’ titubanti…c’è qualcosa che non vi convince nella mia risposta? Ed i ragazzi prima timidamente e poi con un po’ più di coraggio risposero…ma sa Maestro lei ci ha sempre detto che Mozart un po’ per la genialità, per i canoni innovativi, per l’età…insomma noi pensavamo che…Ed il Maestro interrompendoli disse loro…ragazzi…dipende da come si pongono le domande…voi cosa mi avete chiesto? chi è secondo lei il più grande compositore di tutti i tempi? E la risposta a questa domanda rimane Beethoven! Infatti non mi avete chiesto…Maestro che cos’è la musica? Perché la Musica è Mozart!!!!”.

Avevo le lacrime agli occhi allora, quando ascoltai questo breve racconto è ancora oggi quando lo ricordo ho un groppo in gola.

I suoi occhi persi nel vuoto come a cercare quelle immagini che le parole raccontavano, lasciavano trasparire l’emozione di quei tempi.

Quello era mio nonno e devo a lui se ancora oggi quando ascolto Mozart mi emoziono e torno col pensiero a quei momenti in cui rapito giravo in tondo veloce sulla poltrona del barbiere, allora sai cosa penso che se Mozart fosse nato nel nostro secolo avrebbe certamente scelto mio nonno come barbiere.

Un sorriso e beve un sorso’d’acqua.

Incantata da quel racconto, dall’emotività nell’esposizione, il tempo si è fermato, mi sono ritrovata su quella poltrona girevole in compagnia di Fabri bambino, con Armando che dedicava le sue attenzioni ai clienti nella bottega…. a tempo di Mozart.

 

The Sun’s Smile

 

Il viaggio

La schiena viene spinta sullo schienale, inevitabilmente nello stomaco succede qualcosa che è pari alla sensazione che provi andando sulle montagne russe al parco dei divertimenti, piano piano senti che la velocità aumenta e che il grosso bolide inizia a staccare le ruote dal suolo. Per tutto il tempo che l’areo prende quota sento di viaggiare in obliquo, ed è una sensazione divertente, ma poi l’aereo stabilisce la sua posizione e mi accompagna al raggiungimento del sogno.

Da quando viaggio ho sempre preferito il posto vicino al finestrino, anche se lo ritengo molto scomodo…soprattutto per la mia vescica, ma mi affascina sempre quello che vedo quando punto il mio sguardo al di là del vetro. Le domande, le constatazioni che accompagnano la prima parte del mio viaggio sono sempre le stesse.

“Che belle le nuvole… 

ma come cavolo fa sto coso a volare?

Che meraviglia la mente umana…. Uh guarda quella nuvola sembra un dinosauro, no forse un rinoceronte..

Chissà cosa succederebbe se mi lanciassi da questa altezza coprendomi il viso e usando il plaid e il cuscino come paracadute…cercherei di spingermi verso il mare, nuotando in aria…”

Ecco, queste sono piu’ o meno le cose alle quali penso, fino a quando la gentile hostess interrompe le mie superlative riflessioni, chiedendomi se gradisco qualcosa da bere.

“Acqua grazie”.

Non vedo l’ora di poter gridare: “Americaaaaaaa”,  come ho visto fare in più di un film, ma 8 ore e 15 minuti, devono trascorrere affinché possa lanciare il mio acuto con quella miriade di aaaaaaaaaaa, e sono solo trascorsi 55 minuti, circa.

Bisogna stare comodi, allora tolgo i miei bellissimi hugg rosa, infilo “il calzino da aereo”, in modo da lasciare il piede libero e in modo che lo possa appoggiare ovunque. Inizio a fare zapping per capire quale film posso vedere. Questo aereo ha ancora il telecomandino per variare le impostazioni, quindi dopo averci litigato un po’, scorro con il cursore:

Perfetti sconosciuti – visto

Tre manifesti a Ebbing Missouri – visto

Thor – Visto

I guardiani della galassia 2 – visto

ad un certo punto perdo le speranze, e penso ” wow ho visto tutti questi film? Ma ne ho visti io tanti o qui c’è poca offerta? “.

Mentre cerco di dare una risposta al dubbio amletico, continuo a scorrere il menu e la gentile hostess mi consegna un vassoietto, con due scodelline di plastica e chiedo :

“Mi perdoni già si cena?” La risposta è : “In realtà è un pranzo in ritardo.” e si allontana con un sorriso. 

Sono le 17.10 ora italiana.

Ovviamente non ho necessità di cibo in quel momento , ma la mia curiosità mi spinge ad aprire le scodelline di plastica per scoprirne il contenuto. Riso basmati bianco, con una sorta di verdurine bollite messe in un angolo, altra scodellina insalatina con sopra una metà di un uovo sodo, e un formaggino, pane e posate. L’odore di queste pietanze messe insieme non è accattivante, aggiungo che anche l’aspetto non lo è per cui …lascio il vassoietto sul tavolino, e continuo la ricerca del mio film.

Quando sono in viaggio non sono solita fare chiacchiere con chi mi siede di fianco, mi sembra di disturbare, ma questa volta il posto accanto al mio è occupato da una campana. Iniziamo a chiacchierare facendo commenti sul “pranzo in ritardo” appena consegnato. Noto subito che il suo accento mi è familiare. Beatrice, ha 24 anni papà salernitano e mamma americana. Ha vissuto fino ai 12 anni in Campania poi i suoi genitori si sono separati e lei ha seguito la madre negli Stati Uniti dove ha vissuto e studiato. Beatrice è stata un po’ con il papà, ed ora rientrava a New York per iniziare a cercare lavoro. Le racconto qualcosina di me e poi le consiglio di vedere assolutamente un paio di film. 

Appoggio la testa al finestrino e il mio sguardo inevitabilmente volge oltre quel vetro, e si perde nel blu di quel cielo che nasconde tanti segreti e tanta bellezza, provo a chiudere gli occhi per riposare (sono 13 ore che sono sveglia), ma nulla …l’adrenalina troppo alta.

Appunto qualche pensiero nel mio quaderno, prendo la guida della città per cecare di programmare i percorsi migliori, riafferro il telecomando e faccio iniezione di film: La battaglia dei sessi, Assassinio sull’Orient Express. Tra un film e l’altro arriva anche la cena composta da scodelline simili al “pranzo in ritardo”, trattengo il panino e i biscotti, lascio il resto.

Sono trascorse quasi 6 ore. Fuori c’ è ancora luce. L’altra parte del continente si sta svegliando mentre l’Italia è sotto la guida di Morfeo.

Le mie gambe reclamano un po’ di movimento. Lascio il mio posto e resto un po’ in piedi nel corridoio.

Osservo. Ascolto.

In questo aereo c’è una parte di mondo.

Se tendo l’orecchio ad ascoltare mi accorgo che lingue diverse, paesi, culture diverse viaggiano con me. Il mondo in viaggio. E’ bellissimo osservare chi dorme con la bocca aperta, la testa appoggiata al sedile, un po’ inclinata in un lato. La fidanzata praticamente accasciata sul fidanzato, che per non svegliarla non fa il minimo movimento. Il tizio in fondo con le cuffie che russa come se non ci fossero 500 persone con lui. Di un giovane riesco a vedere solo la punta del naso, tutto il resto del viso e del corpo sono coperti dal cappuccio della felpa e dalla copertina. In aereo la temperatura è sempre molto fredda. In prima fila una mamma che coccola la sua piccola, che dorme beata. Qualcuno si alza per stendere la schiena, qualcuno legge un libro.

Sorrido. Sorrido perché penso che viaggio con il mondo, che in 8 ore ho la possibilità di conoscere varie culture….diciamo…

Ci siamo quasi.

Mi rinfresco: lavo i denti, il viso, metto la crema idratante, lavo le ascelle ( per sicurezza), che confesso, attività non  facile nel bagno dell’aereo, deodorante e sono rinata e pronta a presentarmi alla Grande Mela.

Ritorno al mio posto.

Le hostess dopo aver cercato di vendere i vari profumi, con lo sconto del 20% per i possessori di “millemiglia”, consegnano quel meraviglioso modulino, che personalmente adoro,  quello della Dogana, in cui devi dichiarare se porti con te cibo, vino, ortaggi, droghe, ma la parte che mi diverte è quella in cui viene chiesto se soffri di disturbi pischici, se hai mai ucciso qualcuno, se sei un terrorista, se fai uso di sostanze stupefacenti. Mi chiedo se io facessi una di queste cose lo segnalerei nel modulino?….

Mah.

Il comandante annuncia che siamo pronti all’atterraggio.

Il mio sguardo è  fisso fuori dal finestrino. Quello che vedo mi emoziona ancora di più.

Una distesa di piccole lucine che mi entrano negli occhi, e mi lasciano senza fiato. Intanto le ruote hanno toccato il suolo, e sembra partire dal fondo, un piccolo applauso, che, per fortuna subito stroncato, il solito italiano…

Non sto più nella pelle.

Sono finalmente a New York.

Esco dall’aereo e seguo la folla che si dirige ai controlli di rito “Citizen” or ” Visa”, insomma cittadini, o persone provviste di visto per entrare negli Stati Uniti.

Finalmente è il mio turno. Mi accoglie un tipo mooolto carino, che mi parla talmente veloce che ovviamente non capisco nulla. ma seguo i suoi gesti… faccio il controllo delle impronte digitali e la scansione degli occhi. Poi mi chiede se ho vino, alimenti, e soldi…mi lascia andare con un sorriso e mi dirigo al ritiro bagagli…

Intanto riaccendo il telefono e mi arriva un messaggio:

Welcome.

Sorrido.

La mia valigia blu finalmente è sul rullo. La raccolgo e di corsa mi dirigo fuori, attraverso una folla di persone. 

Sono fuori e respiro profondamente l’aria della Grande mela, quell’aria che ho solo potuto immaginare per anni, guardando i film e sognando.

Ora sono proprio lì…

Una via vai di taxi e di persone, sembrano andare a 3000 all’ora, e poi arriva lui…il mio americano, con cappello, guanti. Mi abbraccia mi sorride e in un attimo siamo in macchina.

“Welcome to New York Raf”.

 

Raf 

Don’t forget to smile

 

 

The wish bracelet – Ultima parte

“Ti voglio bene”.

Le tre parole piu’ dolci di sempre, ma chi era l’autore. Ero anche in imbarazzo perché Lui non sapeva di questi bigliettini furtivi che mi arrivavano di tanto intanto, e mi sentivo come se in qualche modo lo stessi tradendo, anche se non era così. In fondo noi eravamo solo amici.

Quel giorno le maestre ci congedarono augurandoci Buona Pasqua, ed io Lui e Anto ci trattenemmo un po’ di più all’uscita di scuola. La giornata era meravigliosa, il tepore primaverile ci permise di stare senza giacche. Dopo qualche chiacchiera veloce, Anto ci salutò lasciandoci soli.

 

Un pallone raggiunse la mia schiena, dandomi uno scossone, mi voltai restituì il pallone, mi appoggiai nuovamente sul lato sinistro, poggiando la mano sotto la guancia a mo’ di cuscino…ed il mio film riprese….

 

Non era mai capitato che fossimo rimasti proprio soli soli, o c’era Antonella, o altri bambini intorno a fare confusione. Ma quella volta eravamo proprio soli soli, forse erano passate le 13.3o. Eravamo noi due ed il sole e di salutarci proprio non ne avevamo voglia. Stavamo lì sul muretto dell’ingresso della scuola a chiacchierare e a fermare il tempo, fino a quando Lui mise una mano in tasca e di getto mi diede una busta contenente una lettera ed un oggetto. Arrosiì e chiesi cosa fosse, ma non mi rispose, mi diede un bacio sulla guancia e mi disse:

“Apri”.

Porca miseria era emozionatissima. Una lettera…riconoscevo quella scrittura…lo sapevo me lo sentivo che lo sconosciuto dei bigliettini era proprio lui….Insieme alla lettera c’era un oggetto. Era una spilla con la forma di un cuore con le ali dei colori dell’arcobaleno. Gli sorrisi e lessi la lettera:

“Mi piaci tanto, ti voglio bene, scusa se mi sono sempre nascosto, questo cuore con le ali è quello che sento  per te”

Lessi non una volta quelle parole scritte con la penna blu, fuori dalle righe del foglio strappato di un quadernone.

Allora lo feci, indossai quella spilla sul grembiule dalla parte del cuore e conservai la lettera mettendola nel diario. Gli chiesi di strappare il braccialetto che avevo sul polso, che di rompersi non ne aveva intenzione, ma con uno strappo netto venne via. “Tienilo tu” gli dissi. Lui sorrise e con lo sguardo basso, e intimidito mi disse:

“Ma quindi ora stiamo insieme? senza pensarci risposi : “Che ne so, bho tu che dici?” e presi totalmente dall’imbarazzo iniziammo a ridere, felici.

“Bimbi che fate ancora qui, forza andate a casa che si è fatto tardi”, la voce del bidello Ciro interruppe il nostro idillio.

Allora Luigi mi disse: “Dai ti accompagno fino alle strisce pedonali”  e mi prese la mano. Ero felice, il braccialetto aveva funzionato, e lungo il tragitto Lui mi disse: “Grazie per il braccialetto, devi farmene un altro ho altri desideri da esprimere”. 

“Quindi qualcuno lo hai realizzato? Chiesi incuriosita.

“Si uno lo tengo per mano” ero la bambina più felice del mondo…attraversai la strada ci salutammo, e lungo il marciapiede mi voltai per guardarlo e mi accorsi che Lui mi guardava…sollevai la mano per salutarlo ancora e gli urlai:

“Ci vediamo domani ai giardini della chiesa” e lui urlando allo stesso modo mi rispose di si.

Ero felicemente, incondizionatamente persa per quel bambino dal sorriso meraviglioso….

Il sole aveva cambiato colore, il suoi raggi avevano iniziato a raffreddarsi, l’aria diventava frizzantina. Aperti gli occhi, sollevai la schiena, restando seduta, ripensai a quel periodo e a cosa stesse facendo Luigi in quel momento…e come si fosse evoluta la sua vita…pensai a quel sorriso….

Lasciato il parco con una breve passeggiata mi diressi a casa di Simona per una cena con gli amici del gruppo “No +1″…Dopo sorrisi e svariate chiacchiere ed i commenti sul fantastico cibo preparato da Simo, successe qualcosa che mi lasciò senza parole.

Alessandra con il suo sorriso contagioso mi disse:

“Raffa finalmente ho ripreso a leggerti e questo è per te”,

mi legò al polso il braccialetto dell’amicizia, non era quello di cotone, ma fatto con le perline… anche lei sapeva del braccialetto, anche lei come me probabilmente aveva una storia da raccontare grazie a quell’oggetto, chissà da chi lo aveva ricevuto, o se lo aveva comprato, o se l’aveva trovato in qualche scatola  dei ricordi…. sarebbe stato interessante scoprirlo,

 

ad ogni modo quel gesto mi riempì il cuore di gioia e mi catapultò nuovamente in quella vita passata e a quel sorriso del mio Lui, che mi aveva messo le ali al cuore.

 

Don’t forget to smile 

Raf

 

Regina di cuori – Chi è Regina? – Parte prima

“Era un giorno di febbraio del 1945. L’inverno era freddo, il vento spaccava la faccia. Giuseppe indossava la sua divisa. La corriera sarebbe partita di li a poco. Altri erano li, l’Italia chiedeva il supporto dei propri ragazzi per riappropriarsi della libertà perduta. Regina arrivò con il fiatone, ed un fagotto di stoffa pieno di cose buone da mangiare ed un paio di camice confezionate da lei stessa, Regina era una brava sarta aveva imparato il mestiere per necessità.

Il tempo di qualche sorriso, di qualche sguardo, poi il comandante esortò tutti a salire, bisognava partire per il fronte.

Mi raccomando stai attento a piccirell ten bisogn e te“, Regina disse preoccupata.

“Stai serena, tieni, prendi questo, così saprai sempre quanto tempo passa per il mio ritorno a casa”, Giuseppe poggiò sul palmo della mano di Regina un orologio da taschino dorato.

“Tu sei la mia Regina, il mio cuore è tuo, da te devo tornare”.

Mentre Giuseppe si allontanava, le lacrime di Regina iniziarono a solcare il suo viso. Teneva stretto tra le mani quell’orologio il cui ticchettio scandiva il tempo e il battito agitato del suo cuore, nel retro di quell’orologio era incisa una figura di donna, una Regina di cuori”.

“Ma poi è tornato a casa Giuseppe?”, grida un bambino.

“Ma Giuseppe è morto?” chiede un altro.

“L’Italia era stata liberata dai cattivi, e Regina era orgogliosa di suo marito, sapeva che anche Giuseppe aveva contribuito alla grande vittoria. Purtroppo Giuseppe non tornò mai più da quel lungo viaggio, la guerra lo aveva allontanato per sempre dalla sua famiglia. Regina non lo dimenticò mai e quando qualche volta si sentiva sola, prendeva l’orologio, lo avvicinava all’ orecchio e il ticchiettio le riempiva il cuore di amore.”

“Che bella storia però è triste!”, esclamò una bimba.

“Bambini guardate qua”, e Regina mostrò loro l’orologio con l’incisione della Regina di Cuori sul retro.

“Ma è una storia vera?”.

Regina risponde con un sorriso: “Giuseppe era mio nonno e regina di cui porto il nome era la mia adorata nonna, mi ha lasciato il suo orologio e mi ha chiesto di custodirlo per sempre.”

I volti dei bambini hanno una capacità di espressione che un bravo attore avrebbe difficoltà ad imitare. Tutti sorpresi ed incuriositi dall’orologio. Una bambina lo avvicina all’orecchio per sentirne il rumore e poi con gli occhi sgranati e l’entusiasmo che solo i bambini hanno dice: “E’ vero c’è il ticchettio!”

I bambini ritornano a casa entusiasti, salutano Regina e non vedono l’ora di ritornare la settimana successiva per ascoltare una nuova storia.

Regina è una giovane donna napoletana, non ha mai finito gli studi, il sostentamento della famiglia ha sempre avuto la priorità, e fin da giovanissima ha sempre trovato lavoretti, qua e la che le facessero guadagnare qualche soldino; l’hostess per i convegni, pulizie delle scale di qualche condominio, di tanto intanto parcheggiatrice, carico e scarico merci in un grosso supermercato, fino a quando ha trovato un lavoro fisso: la commessa in un negozio di libri. Il negozio ha uno spazio dedicato ai libri per bambini, ed il sabato e la domenica 1 ora al mattino ed 1 ora il pomeriggio regina intrattiene i bimbi leggendo o raccontando storie. E’ una persona solare, gioiosa, con tante passioni e tanti sogni nel cuore da realizzare.

Da piccola condivideva la gran parte del suo tempo con la nonna. Nonna Regina era una brava sarta, che spesso tentava di insegnarle qualche trucco del mestiere, ma invano. Invece altre passioni nonna Regina le lasciò in eredità: la passione per la lettura, per le carte da gioco e per il Festival di Sanremo.

To Be continued

Don’t forget to Smile

Raf

 

 

 

Il profumo di quel mosto selvatico

“Il vino eleva l’anima e i pensieri, e le inquietudini si allontanano dal cuore dell’uomo.” Così Pindaro, poeta greco, dedicava il suo pensiero al vino.

Ho salutato da qualche giorno l’estate con l’ultimo tramonto a Venezia e ho dato il benvenuto all’autunno che non ha tardato a presentarsi con qualche pioggia e la sua aria frizzantina.

Tutto in pieno movimento, ti ritrovi a girare come una trottola e non ti accorgi che il tempo ti sfugge e inevitabilmente la vita. Allora bisogna fermarsi e dedicarsi del tempo. Un giorno qualsiasi o magari durante il fine settimana stappo una profumata bottiglia di vino, non uno qualsiasi, il mio preferito è L’Amarone di Valpolicella, gentilmente fornito da mia madre, sommelier.

Ormai è un rito. Prendo la bottiglia dalla mia piccola cantina, con l’apribottiglie estraggo il tappo come il più esperto dei sommelier, lo annuso, e verso il contenuto nel mio “balloon”. Il profumo non tarda a raggiungere i miei sensi. Continua a leggere