DWARF = NANO

Una telefonata bastò a rendermi felice.
Parole scivolavano lente attraverso la cornetta telefonica nel mio orecchio. Parole intense, dolci come la nutella, lasciavano in bocca un meraviglioso senso di soddisfazione, appagamento.
Da quella telefonata, il tempo passò in fretta, come un soffio di vento tra i capelli ed arrivò il giorno che tua madre ti catapultò in questo mondo matto e squilibrato.

Ricordo esattamente quel giorno, ma non ero presente. Ero con tua sorella, piccola, indifesa e incazzata, perché pensava che qualcuno le stesse portando via tutte le attenzioni.
L’esplosione di gioia arrivò alle 15.30. Eri reale. Il tuo primo respiro.
Comprai il tuo primo peluche, l’asinello bianco e azzurro simbolo della squadra di calcio del Napoli, tuo padre mi ringraziò e mi disse:” Brava cognatina i veri valori bisogna insegnarli subito”, un sorriso nacque sul mio viso e sul suo.

Quando ti vidi la prima volta, un nodo alla gola mi impedì di respirare, eri così piccolo, così buffo con quel cappellino azzurro sul capo delicato, non so perché, ma mi ricordai guardandoti dei nani della favola di Biancaneve. Fragile che non ebbi il coraggio di prenderti tra le braccia, mi limitai a sfiorarti la piccola morbida manina e nel momento in cui ti sfiorai qualcosa accadde di irripetibile…
Ebbi la sensazione di essere sola in quella stanza dell’ospedale, le mie orecchie udivano suoni distorti, come  quando sei al mare, ed immergendoti i suoni sembrano tutti ovattati e distanti, la tua dolce manina si aggrappò al mio mignolo, pensai che fosse una reazione istintiva, ma poi i tuoi occhi intensi, aperti a fatica, incrociarono il mio sguardo; l’imprinting, il richiamo dello stesso sangue. Il contatto era stabilito. Un contatto eterno.

Oggi ti osservo da lontano. Sei un ometto, sveglio, intelligente, capriccioso, goloso, curioso.
Oggi è il tuo sesto compleanno. Il tuo sesto anno in questo mondo complicato, difficile da cambiare.
Ti osservo diventare grande.

Il tuo animo è buono, generoso fai in modo che le cattiverie del mondo non lo inaridiscano.
Sarà difficile diventare grande, ma la grandezza sarà insita dentro di te non altrove.
Osserva il mondo con attenzione, con occhi vigili e aperti, liberi da sovrastrutture.
Gioisci per un fiore che sboccia, per il sorriso del sole, per il profumo del mare, per la fresca pioggia estiva, per un tramonto, per il cielo stellato, per i piccoli successi, il tuo cuore ne sarà felice.
Fai le tue scelte accurate, non aver paura di sbagliare, rischia!
Non portare rancore nei confronti di persone che non sono buone con te, ma non dimenticarti di quelle che lo saranno.
Non aver paura di Pensare, di mostrarti come sei agli altri, sii sempre te stesso.
Sii gentile e rispettoso sempre, regala un sorriso il tuo spirito si illuminerà.
Non sprecare il tuo tempo, quello perso non ti verrà restituito, sfruttalo, usalo per ascoltare, per ascoltarti, per imparare.
Sii curioso.Viaggia, esplora, chiedi, interrogati..la vita ha tante cose da dirti, da mostrarti.
Ama. Ama senza condizioni, senza regole. Non farti spaventare dalle delusioni, usale per trasformarle in forza.
Nutriti della passione.
Camminerai lungo sentieri a cercare quello che poi sarai, correrai, cadrai ma sono sicura troverai sempre la forza per  rialzarti.
Lungo il percorso non tornare indietro, voltati e sorridi del cammino effettuato, ricorda sempre chi sei, non fermarti.
Ridi, non smettere mai di farlo.
Sogna.
Io ti osserverò da qui.
Ti osserverò vivere.

Zia Nano

Raf
Don’t forget to smile

Incontro…a quattro mani

Quella mattina il sole mi sorrise. Mi svegliai di buona lena. Alla radio trasmettevano i Queen, ” Don’t stop me now”. Ormai era passato un pò troppo tempo dal mio ultimo viaggio, i miei occhi avevano bisogno di essere usati. Quella canzone mi diede la carica giusta per iniziare la giornata. Non mi fermerò adesso!

Come faceva a saperlo?

Quella mattina era una di quelle, che accompagnati i bambini a scuola, non ti prepari per l’ufficio, vuoi semplicemente tornartene a letto, dormire e sperare che al risveglio quel giorno infernale sia passato e che ne inizi uno migliore, ma per noi comuni  mortali non è così. Devi indossare la maschera adatta per l’occasione, dopo poco ero in macchina. Il tempo per raggiungere l’ufficio sembrava infinito. Il tragitto fu riempito da pensieri, domande e risposte multiple.. ancora domande.

Arrivai in ufficio e iniziò la mia giornata lavorativa. Nella testa ancora ” Don’t stop me now, Don’t stop me now”.

Non so perché ma ho creduto che fosse un segnale. “Non voglio fermarmi”, pensai. Mi balenò un desiderio, rivedere qualcuno, allora l’istinto guidò la mia mano sul touch screen del mio Samsung Sei Edge: “Partiamo?”.

Come era successo di perdermi? Quali scelte avevo sbagliato?
Perché avevo dimenticato di domandare a me stessa se era quella la vita che volevo?
Perché mi ero accontentata? Quando poi mi sono ripresa dal torpore, fuori da un ‘ipnosi, tutto era cambiato. Ero in auto mentre tutto veniva ingoiato contro voglia quando un suo messaggio lampeggiò sul monitor del mio telefono. Non era sabato…il sabato attendevo il suo racconto, il suo ricordo enfatizzato, una sua esperienza vissuta lungo km di viaggi:”Andiamo via” era il contenuto… e per un attimo uno sfarfallio nello stomaco.

Ero felicissima di aver preso quella decisione. Avevo voglia di condividere con lei delle emozioni come quelle che avevamo vissuto da ragazzine. Quando eravamo culo e camicia. Avevo voglia di conoscere la mamma e la moglie splendida che era diventata. Ero eccitata al pensiero, ma temevo nel messaggio di ritorno, magari non aveva il mio stesso entusiasmo… invece: ” Certo!”, la sua risposta immediata. Un sorriso accompagnò la mia giornata ed i ricordi iniziarono prepotentemente a tornare nei miei occhi.

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevo sorriso con lei? Quanto tempo era passato dall’ultimo sguardo d’intesa? Le sarei piaciuta? Lo sfarfallio iniziò a fare male ma non esitai ad accettare, quello che non le dissi è che mi sentivo sicura di andare ovunque con lei.

Budapest era la nostra scelta. Iniziai a prepararmi per rendere piacevole la nostra vacanza ed il suo mini soggiorno a Roma. Avevo sentito amici e stilato una lista di cose da fare. Avevo pulito casa affinché potesse essere ancor più accogliente, ero agitata, volevo che ritrovasse ciò che ricordava di me, forse con qualche anno in più, volevo che mi sentisse e poi : ” Scendi, sono giu'”.

In un tempo imprecisato ero ad aspettarla in strada con il tremolio alle mani e lo stomaco chiuso. Ecco le sue falcate, il suo viso acqua e sapone, il suo sorriso, il suo corpo proteso in avanti, il mento alto ….il suo abbraccio forte e doloroso ed il mio. Senza nemmeno ricordare il tempo che era passato era tutto così familiare.
Ho immaginato di leggere da quel lato del divano, lei dall’altro, quei fantasy che appartenevano a lei quanto a me… quei romanzi di Baricco che avevano riempito le sue e le mie ore in tempi e luoghi diversi. Le sue cose disposte sul tavolo, le piante finte sul balcone della cucina, le sue creme nel bagno, la disposizione degli asciugamani ereditata dalla madre…. iniziarono a tranquillizzarmi. Ero con lei, a casa.

Mi precipitai per le scale, non attesi l’ascensore non avevo tempo. Dietro il doppio vetro del portone d’ingresso c’era lei. La bimba che il primo giorno di seconda elementare mi protese la mano per accompagnarmi nel gruppo già composto di bimbi, la ragazzina con la quale andavo in chiesa la domenica mattina, indossando lo stesso modello di abito, l’adolescente con la quale avevo condiviso ” La bonne Esperance” (la nostra birra preferita). Un abbraccio ed i nostri corpi si riconobbero, i nostri cuori non si erano mai dimenticati. Il suo corpo dalle forme morbide, aveva accolto due meravigliose vite, il suo sguardo fiero ma triste. Una donna, una mamma. Il contatto era stabilito . Eravamo di nuovo noi.

Abbracciata a lei sul motorino iniziai a snocciolare la mia vita e lei la sua….quanta vita da raccontare. Come era possibile che riuscivo a dirle sensazioni che prima evitavo di sentire? Lei non era impostata, non voleva essere migliore agli occhi degli altri, non le importava se il casco le aveva sciupato i capelli.
Possibile che fosse la stessa ragazzina che mi insegnò a fischiare come un maschiaccio e che con me ballava fino allo sfinimento davanti allo specchio nelle discoteche di Napoli?

Indossati i caschi iniziò il nostro tour Romano. Le strade ed il vento erano nostri complici. Le parole sgorgavano come cascate, pezzi di vita, di emozioni, l’amarezza per qualcosa che non si era scelto, i dubbi per domande senza risposta. La sua rabbia percepibile  in ogni gesto, in ogni tiro di sigaretta, gli occhi pieni di lacrime non versate. Le decisioni, le sofferenze, due bambini che con i loro sorrisi, 
le donavano la forza. La sua esuberanza, era ancora quella che io ricordavo. Alla ricerca continua di attenzione. La sua immagine appariva fiera, imponente, ma il casco le aveva scomposto un po’ i riccioli d’oro.

La vita aveva segnato anche lei, eppure aveva quel mento così alto.
“Io” conducevo una vita diversa, dove non esci con il motorino, dove non ti accodi in un tavolo per un aperitivo con amici di amici, ma esci con quell’amico e con quell’altro no.
La verità che iniziava a fare male è che lei era proprio la “Me” di un tempo.
Quella che sorrideva e non aveva pensiero degli altri, quella che non aveva necessità di apparire dieci cm più alta.

La vita la stava segnando. Subentravano in lei sensi di colpa, ” Normali per una madre” le dissi. Mi mostrò le sue paure, mi mostro’ la sua anima, non potevo fare altro che ascoltare, di questo aveva bisogno di sentire che c’ero, che fossi li per lei, che fossi presente. Volevo che si fidasse di me.

Io ero ascoltata, a mio agio finalmente e non ero abituata più, non ero abituata a lei. Iniziai a ricordare di me finalmente rilassata…e proprio nel ricordare le due ragazzine di un tempo iniziò il sollievo. Mi lasciai andare e se le fossi risultata un pò arrogante, perchè lo ero, se la mia repulsione alla bava dei cani avesse causato la sua espressione di disappunto, pazienza.

Era cambiata, una donna meravigliosamente in carriera, complessa, caparbia, combattiva, sicura di se, ma allo stesso tempo, fragile ed indifesa, aveva nascosto la sua parte goliardica, aveva nascosto il suo cuore, non poteva esporlo, perché quando l’aveva fatto era stato distrutto. Una mamma dolce  e comprensiva, la sua bocca esplodeva in un sorriso all’emissione del suono dei nomi dei suoi nanetti.

Anche lei era cambiata, aveva superato le sue paure ed era volata dal cielo con un paracadute. Aveva pianto le sue lacrime e sorriso per i suoi successi.

Inevitabilmente il tempo scorre senza sosta come un fiume alla sua foce.
Le nostre vite hanno preso strade differenti, i nostri cammini tortuosi, le incomprensioni, poi la sua esuberanza, la mia tranquillità, stili di vita, passioni differenti…Ritrovarsi per comprendersi di più, per confrontarsi oramai da donne non più da ragazzine in balia dei propri colpi di testa. Non abbiamo mai mollato ed eccoci qua ad esprimere le nostre emozioni, come mai avevamo fatto in passato, a volte non è necessario comprendere o spiegare è tutto più semplice, siamo  Noi. 
Partiamo!

Raf
Dont’ forget to smile

Un giorno da paparazzo

Nascosto dietro un grande cespuglio di gelsomini, al di là del quale un’ immensa piscina e persone, che ad occhio nudo non era facile distinguere.
Pronto con la sua Nikon con un teleobiettivo che avrebbe intercettato anche Amstrong sulla luna, sguardo fisso nella macchina, inizia a scattare a raffica. Dopo ogni sequenza di scatti controllo veloce per impostare la luce e di nuovo scatti a raffica….
Ecco, il mio amico Gigi, Paparazzo in carriera.
Durante la mia vacanza negli Stati Uniti ho avuto modo di approfondire e di vivere da vicino il mestiere del paparazzo, ma poi da dove deriva questo nome?

Ho chiesto a Google ed ho scoperto che la prima volta  che si sentì ” Paparazzo”, fu nel 1960 quando il Maestro Fellini nel meraviglioso film “La dolce vita”, diede il cognome “Paparazzo” al fotografo di cronaca rosa che accompagnava ad ogni passo il giornalista Marcello Rubini (interpretato da Marcello Mastroianni).
Il motivo per il quale Fellini scelse proprio questo cognome rimane nella mitologia della storia del magico film. Il Paparazzo viene descritto come un personaggio tutto sommato goffo, caricato, esagerato, tutto teso a sbarcare il lunario con le proprie foto a costo anche di prendere qualche borsettata dall’attricetta, o qualche cazzotto dal bellone di turno. .
Dal mito del film ” La Dolce vita”, prende piede in Italia e nel mondo un nuovo mestiere “Il Paparazzo”, anche Lady Gaga gli dedica un pensiero, identificandosi in un paparazzo per seguire il folle amore.
Lady Gaga Paparazzi

Ho sempre osservato da lontano questo lavoro, ma ora che potevo viverlo non ho perso l’occasione.
La giornata inizia con una buona colazione e tante telefonate per l’organizzazione del lavoro.
Prima tappa ” Inaugurazione per la stella dedicata ad Ennio Morricone sulla Walk of Fame”. Per questo evento non è possibile essere vestiti casual occorre la giacca ed il gel nei capelli, fondamentale il  borsone con i vari attrezzi del mestiere: due macchine Nikon, obiettivi e tante schede memoria.
Attendiamo sulla panchina l’arrivo degli ospiti che presiederanno all’evento. Ed ecco la prima limousine, un balzo e l’auto viene praticamente assalita dai flash e migliaia di scatti. Il Vip di turno viene accompagnato dalla presenza di Gigi ed i suoi colleghi fin sul red carpet. Il Vip non sembra essere infastidito ma sorride ad ognuna delle macchine puntate sulla sua figura, ammiccante, talvolta scherzoso, talvolta tenebroso. Durante la cerimonia i flash si placano, i paparazzi sembrano diventare normali reporter ordinati e silenziosi,”la cerimonia va rispettata”, mi dicono. Qualche goccia di sudore sul viso di Gigi.
Il tripudio di urla e flash riprende quando il Maestro Morricone posa vicino alla stella a lui dedicata.
“Maestro Maestro da questa parte!”
“Ennio Ennio di qua di qua!” .
Ognuno di loro cerca di accaparrarsi il sorriso migliore del Maestro.
“Gigi ma poi queste foto già sapete a chi darle?”
“Si, ora le invio alla mia agenzia che poi tramite accordi a sua volta le vende alle riviste del settore.” 
“Accipicchia che giro, una catena di montaggio! Può capitare che le foto restino non vendute?”
Certo, ma per fortuna le mie sono belle e le piazzo sempre,” mi strizza l’occhio.
 Di corsa nel primo bar più vicino per utilizzare la connessione wifi, qualche ritocchino a qualche ruga, sistematina a qualche contrasto, qualche ombra  ” Invio”.

Fatto!
La giostra ricomincia.
Telefonate ed sms con qualche soffiata di avvistamento vip, certo, sei ad Hollywood quasi normale. Via, di corsa in macchina direzione Malibu.
Arrivati in loco, Gigi mi spiega che le ville delle Stars (attori del calibro di Bruce Willis, Charlize Theron e Leonardo Di Caprio) sono inarrivabili, non c’ è modo di avvicinarsi, ma una piccola breccia in un tessuto reticolato che divide la strada dalla spiaggia, permette loro di imbucarsi ed arrivare più vicino possibile a quei meravigliosi alloggi. Li osservo sollevare il reticolato per ampliare la breccia, con l’agilità dei pachidermi in pensione, sguisciano dall’altra parte ( l’attrezzatura non permette loro nessun tipo di facile movimento), un balzo ed i piedi nella sabbia.
Ora tocca a me, tengo con una mano sollevata la rete, e con la leggiadria della cugina dei pachidermi in pensione, mi lancio nella fresca sabbia, accasciandomi in avanti. Con un sorriso di chi ha fatto una pessima figura mi sollevo e inizio a seguirli. Attraversiamo una sorta di corridoio stretto stretto, i muri sono delineati dalle pareti degli appartamenti. Il percorso è in discesa. I miei amici Paparazzi tirano fuori le loro armi dal borsone.
Il corridoio termina con la spiaggia aperta., innanzi a noi l’oceano.
Incantata da quella vista, mi accorgo di un improvviso strano brusio e poi tutti con lo sguardo a destra, come schegge impazzite, iniziano a scattare. Non riesco a rendermi conto.
Ma chi stanno fotografando? pensai.
Gigi come se mi avesse letto nel pensiero, abbassa la macchina fotografica dal volto e mi dice che dietro alla finestra c’era Paris Hilton.
Ah! Io ovviamente non avevo visto nulla.
Con andatura tranquilla camminiamo sulla battigia, i ragazzi hanno riposto le macchine per non dare troppo nell’occhio, ora siamo turisti per caso che ammirano l’architettura del luogo. Nessun altro vip nelle vicinanze, purtroppo. Buco nell’acqua.
Ritorniamo all’auto con il tramonto alle spalle.
Durante il tragitto per rientrare i telefoni impazziscono.
Gigi mi spiega che in previsione della premiazione degli Oscar si organizzano tanti eventi, ma purtroppo super blindati e quindi non vale la pena neanche provare ad avvicinarsi. La giornata termina con una telefonata da parte di una Vip italiana che chiede di fare un servizio fotografico nel famoso Hotel…
 “Ah caspita quindi sono anche loro a cercarvi?”
” Certo spesso nascono proprio delle collaborazioni, noi facciamo loro le foto e loro non perdono la notorietà, il pubblico soddisfa la propria curiosità”.
“Mi sembra un giusto compromesso, così lavorate tutti.”
Incuriosita da questo mestiere, durante la cena, sottopongo Gigi al mio terzo grado.
Perché questa scelta, cosa lo ha spinto ad intraprendere un mestiere così particolare?.

Il mio caro amico Gigi mi racconta, che dopo aver avuto un’infanzia ed un’adolescenza difficili si ha voglia soltanto di riscattarsi, di capire quali siano i propri sogni e realizzarli.
Dopo aver lasciato la casa natia giovanissimo inizia la sua avventura a Milano dove diplomatosi inizia a lavorare come apprendista fotografo in un’agenzia di moda. Appassionatosi poi al tipo di lavoro e alle belle donne, decide di volerlo fare sul serio ed inizia a frequentare la Scuola di fotografia. I suoi sacrifici sono stati tutti ripagati, mi dice.
Gigi mi ha spiegato che non ci si può improvvisare in questo mestiere.
Molti come lui hanno fatto tanta esperienza e tanta gavetta per diventare dei bravi fotografi. Scattare una bella foto non è semplicemente premere un pulsantino, ma cogliere l’attimo giusto, quel lasso di tempo che ti permette di catturare i colori la luce perfetta prima che muti, e poi il tuo punto di vista è fondamentale. E’ il tuo punto di vista che permette di differenziare la tua foto da un’altra con lo stesso soggetto, è fondamentale per farti vedere Oltre, è la tua firma, ed è questo “quid”che ti fa vendere le tue foto, in modo che possano essere pubblicate ed apprezzate.

Gigi mi parla con tanta passione negli occhi. Soddisfatto. L’amore per il suo mestiere è palese.
Si percepisce in ogni sua parola.Questa giornata da Paparazzo è stata faticosa e divertente. Immedesimandomi in ognuno di loro ho percepito la fatica, la passione. Allo stesso tempo un’esperienza che mi ha aperto gli occhi su vecchi pregiudizi caricati da altre fonti. Sembrerà banale ma se non si vive questo mestiere non lo si può capire veramente.  Poi diciamoci la verità loro sono artisti nel cogliere l’attimo, anche quello più strano!
Raf
Dont’ forget to smile

Un giorno qualunque

Meravigliosa domenica mattina.
In viaggio per la gita fuori porta. Il sole sembrava essere timido e nascondersi dietro le grosse spumose nuvole bianche. Dal finestrino dell’auto e protetta dagli occhiali, osservo attentamente i suoi movimenti. Buon ballerino, si accompagna prima all’una e poi all’altra nuvola, da egocentrico qual è, poi, prende pieno possesso del suo spazio, allontanandosi dalle sue bianche amiche danzatrici.
Mi faccio coccolare dal suo sorriso. Il tepore dei suoi raggi penetra nella mia pelle donandomi una sensazione di benessere, di serenità. La leggera brezza che arriva da una piccola fessura del finestrino appena aperto, l’andamento dell’auto, contribuiscono a far calare sui miei occhi il buio…

Bambini che ridono in lontananza, un profumo di limoni molto forte, uno strano ronzio, una mosca si poggia sulle mie labbra per un secondo, apro gli occhi.Il viso appoggiato su un materiale che sembra quello delle reti da pesca, mi muovo, vedo solo un pavimento grigio e qualche formica, che a fatica trascina piccoli resti di pane forse, portati dal vento. Provo a girarmi con cautela, sono avvolta nell’abbraccio alquanto pericoloso di un’amaca. I limoni penzolano dal maestoso albero, il sorriso del sole si fa spazio tra le foglie: sono a casa. Da lontano, una figura imponente seduta al tavolo, la nonna, intenta a pulire dei piselli freschi.

I sensi si risvegliano a poco a poco dal torpore.
Come arredare il giardino in modo sostenibile
” We’ ti si scitat a nonn’?
Ancora stordita faccio un cenno di assenso con il capo.
Mi siedo accanto alla nonna, con lo sguardo perso nella bacinella contenente i piselli. Lo sguardo poi viene attratto dalle sue mani e  si sposta su un baccello  che viene aperto con maestria. Il pollice della mano destra spinge fuori i frutti, tutti insieme, all’ interno della bacinella. Questa fase di ipnosi mistica, viene interrotta da mia sorella: ” Mamma ha detto che è ora di merenda“.
Mi porge una profumata fetta di pane ricoperta di nutella e un succo di frutta al gusto pesca.

Sotto lo sguardo vigile e premuroso della nonna finita la merenda, mia sorella ed io iniziamo a scorazzare per il giardino come due mine impazzite. Iniziamo, senza mai finire, vari giochi con la palla, con l’elastico, gare con l’hula hoop, quando compare al cancello di ingresso l’altra nonna, Michy.

Perfetta nel suo vestito della domenica, blu, i suoi capelli rossi perfettamente acconciati e quella voce inconfondibile: “We We Bonasera, comme stai a nonn”.

Attraversato il cortile nonna Michy raggiunge l’altra nonna, dopo i saluti di rito, inizia un lungo dibattito sulla freschezza dei piselli, su come riconoscerli, come sceglierli, tutte le varie specialità possibili nelle quali si può utilizzare il pisello.Vincitrice del dibattito la pasta mista con i piselli freschi
“Chell azzeccos azzeccos” ( quella senza tanto brodo).
Una leggera brezza accompagna l’arrivo del tramonto. Fioco, leggero.
I grandi ora sono totalmente rilassati. Mamma accomodata con le gambe sulla sedia, chiacchiera degli ultimi eventi con zia Luisa, papi nell’altra parte del giardino ad innaffiare il piccolo orto, il tramonto è il momento giusto per farlo, le nonne chiacchierano vivacemente sull’altalena, dondolandosi.
Mia sorella ed io, a turno, ci arrampichiamo come piccole scimmiette sull’albero, cogliamo i limoni più esposti per poi tagliarli a fettine sottili ed intingerli nello zucchero. Il sapore dolce dello zucchero, il succo aspro del limone, ci fanno strizzare gli occhi ed arricciare il naso, ma che bontà..

” We’ Antone pije e fav spuzzuliamm nu poc” ( Antonella prendi le fave sgranocchiamo un poco).
“Uhhhh o ver mo ve pije”.
Mamma con uno scatto felino, rientra in casa, dopo 10 minuti riappare con una busta piena di fave e un vassoio con tutto quello che aveva trovato in frigo: pancetta, prosciutto di quelli imbustati che portava papi da lavoro, piccoli pezzi di groviera e tocchetti di formaggio, credo semi piccante, qualche pomodoro del pane e le friselle. Appoggia tutto sul tavolo in giardino ritorna in casa per prendere dell’acqua.
Non è ancora ora di cena,  ma sempre un ‘ora giusta per uno spuntino.
Le nonne continuano a dondolarsi, l’altalena accompagna  il movimento con un rumore leggermente fastidioso…noi mangiamo.
Le fave hanno un sapore particolare, dolciastro. La cosa divertente è infilare tra i denti il frutto, con un’incisione eliminare il baccello, sputarlo con energia più lontano possibile , magari colpendo mia sorella, e mangiare il cuore. Il profumo delle fave riempie l’aria.
Si continua a chiacchierare.
All’improvviso un tonfo!
Un rumore di metallo battuto, o qualcosa di simile raggiunge le mie orecchie e quelle di mia sorella.
Ci voltiamo.
Silenzio.
Uno sguardo veloce per capire cosa è successo, poi una fragorosa risata.
“Oddio mi manca il respiro”…
L’altalena ha smesso di cigolare, i ganci del lato sinistro hanno ceduto, le nonne sono crollate a terra, solo su un lato.
Io non riesco a non ridere, lo stesso vale per mia sorella. Mia madre, dapprima preoccupata poi emette una sonora risata, zia Luisa la segue.
Tutti ridiamo.
Le nonne intanto restano lì per terra, insieme alle fave e alla pancetta.
Rido così tanto che mi manca il respiro, gli addominali sono contratti.
Povere nonne non riescono a rimettersi in piedi da sole, allora mi avvicino prendendo per un braccio nonna Michy, che ride come una matta coinvolgendomi a tal punto che non riesco a sollevarla. Mamma prova con nonna Raffa, ma le risate hanno un’energia più forte.
Nonna Raffa ha le lacrime agli occhi, intanto che rimane a terra con il grembiule asciuga gli occhiali che le si sono appannati.
Papi che non aveva assistito all’accaduto, inizia a ridere e cerca di capire dalle parole sbiascicate di mamma che l’altalena ha ceduto e che ci vogliono più persone per tirare su le nonne, allora
prende per un braccio nonna Michy che riesce finalmente a rimettersi in piedi, poi passa all’altra.
Ora nonna Raffa si fa seria per un attimo, poi ricomincia a ridere quando papi tenta di sollevarla.
” Jamm a no’ si no nun c’ a faccj” ( su nonna altrimenti non ci riesco)!
” 1 – 2 eeeeee 3!”
Ohhhhhhhhhhhh”
“ja”
” 1 – 2 eeeeee 3 “
“ohohohohohoh”
” ja nata vota”
“Oohohoho ahhhhhhhh ecco qua”
“Nonna ti sei fatta male”, chiedo tra le risate.
” No a nonn, teng o mazz ruoss, è cusc” ( non a nonna ho i sedere grande come un cuscino).
” Ahahah ahahahah”.

Qualcuno mi scuote prendendomi per il braccio, nonna prova a sistemarsi la sottana
qualcuno mi scuote ancora…nonna Michy recupera le fave cadute.
Qualcuno mi scuote ancora mi giro…apro gli occhi,
sono in auto:

” Raffa Tutto bene, siamo arrivati, ma che cosa hai sognato, prima che ti svegliassi stavi ridendo”
Ancora legata a quel bellissimo ricordo appena rivissuto gli rispondo:
”  Sognavo un bellissimo giorno d’estate, mi divertivo, ero a casa.!”

Un sorriso sereno sul mio viso mi avrebbe accompagnata per tutto il giorno.

Raf
Dont’ forget to smile

Carluccio

Sabato mattina, il mio corpo non risponde ai miei comandi, le lenzuola mi tengono prigioniera da un capo all’altro, sono costretta (come se mi dispiacesse), a rimanere a letto.
Lo sguardo a contare le stelle fluo del soffitto, poi il lieve movimento delle tende, che spinte da una leggera brezza, danzano avanti e indietro con intervalli non stabiliti. La luce fioca del sole, a fatica, si inserisce nelle fessure delle serrande, poi nei ricami delle tende proiettandosi direttamente sugli ampi spazi bianchi degli armadi, disegnando piccole forme astratte che si inseguono tra loro.
Mi piace a volte provare ad immaginare che quelle piccole forme astratte siano amiche e che si stiano organizzando per partire insieme, per una nuova avventura, lungo quella bianca e immacolata strada; percorso arduo fatto di maniglie e materiali scivolosi, ma giungere all’obiettivo ripagherà sempre dalle fatiche e ….
poi, una voce che dalla strada raggiunge il mio orecchio, distogliendomi dalle mie fantasie, ecco “L’Arrotino” simpatica storica figura romana tutto fare, che annuncia il suo arrivo ed i suoi servigi con un megafono.
Non so perché ma poi, pensando “all’arrotino”, un’immagine archiviata da tempo, ritorna nella mia mente, mi fa sorridere, mi riporta a quella che è stata una figura storica stabiese.
Una figura esile, andatura claudicante, due ceste una per ogni braccio, un cappello di paglia ricoperto di foglie… era il vecchietto più simpatico del mondo “Carllucciell ‘de ricuttell” (Carlo delle ricottine).

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Carlo Donnarumma, in arte “Carlucciell”, un anziano gentiluomo di campagna, carattere forte, temprato dal lavoro e dai sacrifici, furbetto ma non cattivo, affabile e sempre disponibile a regalare delle perle di saggezza di quelli che furono i “suoi tempi”. Sagace, arguto aveva sempre la battuta pronta e mai volgare.
Operativo  tutte le mattine all’alba, preparava meticolosamente i suoi formaggi freschi, tra cui le buonissime ricottine.
Ricordo che era impossibile non accorgersi della sua presenza.
Poggiato sul capo, un cappello di paglia ricoperto da grandi foglie di alloro, dalle quali penzoloni sbucavano piccolissimi cestini di paglia.
Giacca e maglione in inverno, camicia più leggera in estate, pantaloni larghi e scarpe che sembravano essere di qualche misura più grande.
Due grandi ceste di paglia, una per braccio, dalle quali fuoriuscivano lembi di foglie di fico.
Le ceste contenevano i suoi formaggi e le ricottine che erano adagiate sulle foglie di fico.
Girava in lungo e in largo la città, era instancabile, a vederlo sembrava primavera tutto l’anno.
Se qualche volta lo stupido ragazzetto di turno gli gridava:” Carlucciell tien e corn!”, (Carluccio hai le corna) lui prontamente rispondeva:” Buon teng coc cos e chiu” (bene ho qualche cosa in piu’).
” Signori’ la volete la ricottina?, fatevi la merenna con la ricottina nel panino”…
Mitico Carluccio.

Allungo la mano per recuperare il cellulare posto sul comodino, richiamata automatica e:“Ohi Papi buongiorno, ma ti ricordi di Carluccio delle ricottine?”

Uh certo, diceva sempre: “Signori’ la volete la ricottina?”. Quando ero piccolo lui annunciava il suo arrivo e tutti noi ragazzini andavamo a comprare con 5 lire la ricottina. Con tanta cura la prendeva dalla cesta avvolta nella foglia di fico, (che profumo che emanava), la porgeva nelle nostre mani, sorrideva e ringraziava.
Altre signore invece, chiamavano Carluccio dal balcone, calavano il paniere con all’interno le monete e Carluccio riponeva  i formaggi richiesti e salutava:” Bona jurnata Signo'”.
 ” Raf come mai, mi hai chiesto di Carlucciell?”
” A C.mare non l’ho più visto in giro e ci stavo pensando.Che bellino che era, ok babbuccio ci aggiorniamo più tardi”.
Immagine correlata
La tecnologia mi permette di rimanere ancora a letto e curiosare e cercare notizie più approfondite in merito a Carluccio, qualora ce ne fossero state.
Con mio stupore, noto che ci sono vari link dedicati a ” Carlucciell de’ ricuttell”;
“StabiaChannel – Libero ricercatore.it – un video su youtube, a lui dedicata anche una pagina di Facebook – Gli Amici di Carluccio de’ ricuttell.
Inizio  a documentarmi su quella figura che tanto mi ha incuriosito.
Cascate di belle parole e aneddoti raccontati, da chi aveva vissuto tutta la vita apprezzando la cortesia di quell’umile uomo, immortalate nell’etere Il profumo ed il sapore delle sue ricottine, indelebile nei ricordi di chi le aveva comprate e mangiate. L’estrosità di Carluccio, il suo cappello, erano ancora negli occhi di molti stabiesi.
Primo attore protagonista su di un palco quotidiano in una città che al tempo, aveva l’animo pulito.
Continuo a leggere:” 11 agosto  anno 2000 Carlo Donnarumma Muore!”
Porca miseria 16 anni ed io non ne sapevo nulla!
” Carluccio aveva 97 anni, dei teppisti lo avevano deriso e aggredito facendolo cadere, procurandogli la rottura del femore. Dopo due mesi in ospedale  Carluccio è morto,
un pezzo di storia di Castellammare è muore con lui.”

I miei occhi di nuovo al soffitto, un sospiro ed un pensiero; possibile che l’ignoranza della gente arrivi a tanto? Che il rispetto sia cosi’ lontano dalla mentalità di molte persone? Possibile che una persona che ha sempre vissuto la sua vita con tanti sacrifici e onestamente, debba subire la rabbia e la prepotenza di alcuni personaggi che non conoscono la gioia nel loro cuore?
Nessuna giusta risposta alle mie domande.
Lancio il telefono dall’altra parte del letto, occhi sulle forme astratte che giocano sul mio armadio….  immagino …

Raf
Don’t forget to smile

Semplicemente Carluccio

Buon viaggio!

Il mio viaggio alla scoperta della terra degli angeli stava volgendo al termine. Mi svegliai quella mattina, del mio ultimo giorno, con la voglia di assaporare tutto, ma proprio tutto.

Tipica colazione americana: Apple pie, pan cake, french toast.
Quelle pietanze avevano la capacità di svegliare tutti i sensi, per i profumi, i sapori, i colori, insomma pura gioia culinaria.

Il mio saluto a quella città non poteva essere migliore.

Ancora un ultimo sguardo alla “Walk of Fame”, che fino a qualche giorno prima brulicava di operai e gente che correva a destra e a manca, chi per un motivo chi per un altro, ora Hollywood era diventato un tranquillo quartiere turistico.
Differentemente dagli altri, ebbi la sensazione che quel giorno stesse passando troppo in fretta. Salutati gli amici mi ritrovai con l’Avvocato, nella sala d’attesa dell’aeroporto di Los Angeles, a chiacchierare “del mondo e dei massimi sistemi”.

Salutai Los Angeles con un sorriso.

Ora chiudendo gli occhi, sparisce il rumore, il frastuono della vita reale e mi ritrovo ancora lì, immersa in quel trambusto per l’organizzazione degli Oscar, con lo sguardo sul marciapiede a cercare la Stella di questo o di quell’attore, i parchi, la cortesia delle persone, l’oceano, il mio lungo ed intenso compleanno, la libertà, le spiagge bianche, gli Universal Studios, gli artisti di strada e loro, che hanno dato a tutto la gioia: Gigi, Eugenio, Giuseppe, Francesco, i loro sorrisi, la loro follia…la mia energia.

Immagini che hanno lasciato il segno nei miei occhi e rimarranno indelebili nel tempo.
Il respiro di quella terra è entrato a fondo nelle mie vene. Ogni piccola cellula del mio corpo vive anche di quel respiro. Mi basta poco per tornare lì. Sensazioni che la mia pelle ha imparato ad apprezzare ed amare, ed ora riconosce come proprie. Uno strano meccanismo però, che a volte comporta momenti di nostalgia, come se venisse a mancare quell’ossigeno che nutre le cellule, il mio cuore ne avverte la mancanza. Quella fantastica terra che mi ha permesso di sognare da bambina e di sognarla e di viverla in pieno da adulta, è diventata la mia.

La mia anima, incisa da questa esperienza ora vive nell’attesa di nuove altre emozioni. Vive in attesa di quei piccoli miracoli, quegli attimi, piccoli istanti, che probabilmente non torneranno più, ma che puoi però, scegliere di cavalcare come la “Teahupoo” l’onda perfetta, l’onda che tutti i surfisti attendono, perché arriva una volta sola, perché è UNICA.

In attesa di un’altra “Tahupoo” continuo il mio viaggio e come dice Cesare Cremonini in una sua canzone:

” Buon viaggio che sia un’andata o un ritorno che sia una vita o solo giorno, che sia per sempre o un secondo, l’incanto sarà godersi la strada…

BUON VIAGGIO! E per quanta strada ancora c’è da fare amerai il finale.”

Allora Buon Viaggio!

Raf
Dont’ forget to smile

Universal (volevano stupirmi con effetti speciali…ci sono riusciti)

Qualche tempo fa quando mi chiesero:” Raf come mai hai deciso di intraprendere un percorso così arduo e complicato, fare l’attrice non è semplice”;
avevo solo 20  anni e la mia risposta fu:” perché voglio emozionare, come il cinema mi emoziona, voglio regalare un sorriso, una sensazione nuova, voglio regalare la mia anima ecco il perché”.
Ma avevano ragione non era facile bisognava aver talento nel donare emozioni e probabilmente quel talento non mi apparteneva, ma ho continuato a portare con me quella immensa passione.
Ora mi trovavo nel posto in cui tutto era cominciato.
I film che avevano fatto la storia del cinema internazionale, i grandi attori, avevano mosso i primi passi proprio in quei luoghi.
Gli Universal Studios.

Fondati il 30 aprile del 1912, da Carl Laemmle, immigrato ebreo tedesco, inizialmente proprietario di un negozio di stoffe. Gli Universal Studios, sono gli studi più antichi ancora in uso.
In quegli studi, in cui stavo per entrare, erano stati prodotti i capisaldi della storia del cinema come : Apollo 13, Jurassic Park,  E.T., Blues Brothers,  La Stangata, Lo Squalo e tanti altri.

Da buona turista cercai di immortalare ogni momento, anche il mio ingresso. Non ero più nella pelle.
Ero emozionatissima, eccitatissima, come i miei nipoti quando scartano i regali sotto l’albero a Natale.
Percorsi il tappeto rosso che mi guidò all’ingresso, dove fui accolta da delle simpatiche Hostess che mi consegnarono la piantina degli Studios.
Con la mia Crew i commenti si sprecavano, eravamo tutti molto presi da quello che appariva ai nostri occhi, un mondo nel mondo. Non so spiegare esattamente cosa stava scatenando in me quel posto, ma ero felice, estasiata.
Erano così tante le cose da vedere, non volevo perdermene nessuna.
Il mio viaggio in quel mondo incantato iniziò con la visione di uno spettacolo dell’orco buono, Shrek.
Prima di entrare nel teatro, bisognava attraversare piccoli vialetti con le case tipiche della palude dell’orco e ad indicarci l’ingresso c’erano dei folletti.
Non sapevo che cosa aspettarmi da quello spettacolo, ma poi mi accorsi che eravamo parte integrante dello Show, infatti eravamo in carrozza con gli orchi, volavamo con il drago, ci bagnavamo con gli sputi di ciuchino e ci riscaldavamo con le fiamme che fuoriuscivano dalla bocca del drago.
Esperienza in 4 D molto divertente.
“Un ottimo inizio” pensai, “chissà il resto”.
Il nostro tour continuò tenendo sempre d’occhio gli orari degli altri spettacoli. Intanto girovagavamo da un quartiere all’altro, da quello spagnolo a quello francese, dove i miei amici speravano di incontrare le ballerine di Can Can, ma rimasero delusi, a quello di Chicago anni 30′.

Iniziammo poi il vero tour, quello all’interno dei set cinematografici.
Un trenino semi aperto blu, una voce stridula che parlava in spagnolo, (avevamo sbagliato fila, ma Eugenio fu contento di ascoltare la guida in Spagnolo invece che in inglese) e partimmo  per il viaggio nella storia del cinema.

Lungo il percorso, erano esposte tutte le locandine originali dei film girati negli Studios. Entrammo all’interno di alcuni set dove stavano lavorando. Gli “addetti ai lavori” abituati a quell’ andirivieni ci salutarono carinamente. Visitammo i set dei film Western, quello della “Guerra dei Mondi” con Tom Cruise, “Il Grinch” con Jim Carrey, le case con giardino di “Disperate Housewife”, assistemmo anche ad una bellissima reinterpretazione del film di Hitchcock ” Psyco”, l’attore inseguì il trenino armato di coltello… veramente inquietante.

Il viaggio in quel mondo surreale continuò con la visita al set dello ” Squalo”, poi con la piena di un fiume, sembrava che l’acqua dalla cascata ci arrivasse direttamente addosso e poi ci ritrovammo immersi all’interno del film ” King Kong”. Il grande gorilla era alle prese con un T-rex, per difendere la sua donna e saltava da un lato all’altro del trenino, che sobbalzava come se il gorillone lo urtasse realmente.
  Ci ritrovammo poi, all’interno del garage di  Dominic Torretto, quando spari e sirene ci colsero di sorpresa e iniziammo a scappare più veloci che potevamo, con noi lo stesso Torretto, Letty e il mitico The Rock. Wow! Partecipammo ad ogni cambio di marcia,  ad ogni sterzata, ad ogni scontro. Spettacolare!

Il mio cuore esplodeva di gioia, di meraviglia, ecco, in realtà era alle prese con tante emozioni.
Finito il tour ebbi la fortuna di incontrare la donna più sensuale e triste del mondo la grande Marylin, che si concedeva ai suoi fan con sorrisi ed autografi.

Mi ritrovai immersa nell’antico regno egizio dove Faraoni e Mummie erano veramente impressionanti.
Entrai nel magico mondo di Harry Potter, il maghetto che aveva riscosso tanto successo con la sua saga. Grazie ad una scopa volante, mi condusse su laghi, all’interno di castelli, all’inseguimento di Draghi, per conseguire il mio brevetto da apprendista mago. Mi appassionai a quel mondo e vi rientrai anche una seconda volta. Mi diede una sensazione di libertà, non avevo  freni, ebbi proprio la sensazione di volare con Harry…che meraviglia!

Le emozioni si susseguirono senza sosta. Ebbi la fortuna di assistere all’addestramento di uno dei dinosauri di Jurassic World, ebbi l’onore di conoscere e fotografare Optimum Prime.

 Catapultati da un mondo fantastico ad un altro, ci ritrovammo poi nel mondo acquatico di ” Water World”, lo show pazzesco e divertente. Stuntman che saltavano da una piattaforma all’altra con estrema disinvoltura. Colpi di pistola e di cannone. Tuffi da altezze impressionanti…acrobazie con moto d’acqua pazzesche, che creavano piccole onde, che spesso finivano per bagnare le prime file degli spettatori ignari.

Lo spettacolo mi lasciò senza fiato. La mia ammirazione verso quegli artisti era immensa, totale. Ad essere sincera una riflessione rapida andò anche ad alcuni dei ” pseudo artisti italiani”….ma come ho detto fu rapida.

Poi ancora: gli effetti speciali, uomini in fiamme, uomini volanti, i mitici Simpson…
Ero senza più parole per descrivere ciò che stavo vivendo in quei momenti… probabilmente neanche esistono le giuste parole.
Non ebbi il tempo di meravigliarmi per uno spettacolo, che un altro mi impressionava ancora di più.
Quella giornata volò via come un Pteranodon nei cieli disegnati nei racconti di Michael Crichton.
Le sensazioni provate erano ” varie ed eventuali”. Il mio entusiasmo non aveva pari.
Quella giornata così intensa volse al termine troppo presto. Non ero stanca, più vedevo più avevo voglia di vedere, un po’ come i pop-corn, più ne mangi più ne vuoi non ti poni un limite…
quella giornata doveva finire così…

Con pop- corn e la follia nei miei occhi, alla ricerca di un taxi per rientrare nel mondo reale ad Hollywood.

Raf
Dont’ forget to smile

The Winner is….

Fin da bambine mia sorella ed io, incantate davanti al televisore, ammiravamo “le stars” che a testa alta, sorrisi brillanti, abiti da sogno, gioielli tutt’altro che modesti, salutavano il bagno di folla che li attendeva, mentre calpestavano il Red Carpet più ambito in assoluto per i professionisti del mondo del cinema.
Ed ora io ero lì ad un passo da quel tappeto…
Ma come nascono gli Oscar? Da dove deriva questo nome?
Da buona appassionata di cinema avevo letto notizie in merito a questo evento che tutto il mondo cinematografico e non, attende ogni anno con ansia.
L’Academy of Motion Picturte Arts and Sciences, organizzazione professionale onoraria fondata l’11 maggio 1927, istituisce gli “Academy Awards”, vero nome degli Oscar, con lo scopo di sostenere lo sviluppo dell’industria cinematografica.
Attorno al nome attribuito agli Oscar nascono varie leggende, due tra queste sono quelle più famose: la prima riferita ad una bibliotecaria dell’Accademy, Margaret Herrik, che guardando la statuetta esclamò “Assomiglia proprio a mio zio Oscar!”, la seconda riferita invece all’attrice Bette Davis che rivendicò l’attribuzione del nome, affermando di aver chiamato Oscar la statuetta in onore del suo primo marito Harmann Oscar Nelson jr.

L’ambita statuetta che premia il vincitore rappresenta un guerriero appoggiato ad uno spadone su una pellicola cinematografica. La statuetta è di metallo placcato in oro ed ha un valore reale di 295 dollari.
Ed ora era lì davanti a me quasi potevo toccarla.
Certo, era la versione gigante della statuetta, ma comunque un’emozione indescrivibile.
La mattina del 28 febbraio Hollywood era blindata, qualsiasi strada si volesse percorrere sia in auto sia a piedi era chiusa. I quartieri adiacenti al Dolby Theatre erano impraticabili e super controllati da “omaccioni” in divisa che bevevano redbull over size.
Per ovviare al problema quella mattina, decidemmo di andare in giro, fin dove era possibile, in esplorazione, in attesa di assistere agli Accademy Awards.
La prima tappa Griffith Observatory.
 
 

E’ l’ osservatorio astronomico della città, uno dei punti più panoramici di Los Angeles. Una vista mozzafiato su Hollywood, il bacino della city, la downtown e l’oceano, tutto in unico solo sguardo, tutto in un respiro che di tanto intanto esitava innanzi a così tanta immensità.
Dopo essermi piacevolmente arricchita di vecchie nozioni di scienza, il giorno e la notte, il sole e la luna, l’eclissi e l’alternarsi delle stagioni e aver ricordato il tempo in cui le avevo acquisite, lasciammo l’osservatorio astronomico per tuffarci totalmente nella natura. Il Griffth Park, è un meraviglioso parco, con piccoli sentieri sterrati, facilmente percorribili. Lungo i vari sentieri Gigi, l’Avvocato ed io eravamo ispirati, intraprendemmo discorsi sulla bellezza della vita, l’importanza di viverla profondamente e nell’intento, farsi accompagnare dalla persona giusta.
Alla fine di un sentiero, che sbucava su una piccola piazzetta all’interno del quale erano posizionate delle graziose panchine, c’era lei.

 Maestosa dall’alto di quella collina, lei protagonista in migliaia di film e telefilm che avevano accompagnato la mia adolescenza. ” Hollywood sign”
Decisi di cogliere quegli attimi, immortalarli non solo nella  mia memoria, ma all’interno di una memoria digitale. Gigi si immolò per la causa e ci divertimmo a scattare foto in cui la famosa scritta fosse evidente.

La mattinata trascorse così tra foto e sorrisi. Il sole non aveva mai smesso di accompagnarci.
Ero serena.
Uno dei miei sogni era diventato reale.
Intanto l’atmosfera attorno al Dolby Theatre era divantata incandescente.
Purtroppo dopo vari tentativi falliti, di avvicinarci alle “Limo” degli artisti, prendemmo la saggia decisione di vivere gli Oscar, come avrebbe fatto un comune americano, guardandoli alla tv.
Entrati in un pub, dove il profumo di patatine fritte scatenò i miei sensi, ordinammo da mangiare e iniziò l’attesa.
Occhi fissi sugli schermi. Il Red Carpet iniziò ad affollarsi di personaggi eleganti e particolari. Con attenzione i miei occhi scrutavano ogni particolare, ogni loro gesto per carpirne le emozioni o la tensione del momento e lo stilista che aveva creato l’abito, ovviamente. Tutto si svolse al di fuori del pub in cui ero in quel momento, per me era pazzesco. Solo delle transenne e qualche “omaccione” mi divideva dall’ingresso del Teatro.
Ero lì.
Una birra dopo l’altra, trascorsero un paio d’ore all’inizio della cerimonia ufficiale. La mia attenzione era focalizzata sul Maestro, Ennio Morricone, candidato per ” Miglior colonna sonora” nel film di Quentin Tarantino. Eccolo, che in lacrime sul palco, finalmente ritirò il suo primo premio Oscar ( premio alla carriera a parte). Emozionante momento, intenso. Il nostro applauso era d’obbligo, attirammo così l’attenzione degli altri ospiti del pub, che sorridendo parteciparono alla nostra gioia.
 Il silenzio calò nel pub quando si avvicinarono le premiazioni per le candidature più importanti, una in particolare ” Miglior Attore Protagonista”.
Tra i candidati a questa categoria Eddie Redmayne, che personalmente adoro e lui …l’eroe del Titanic, l’uomo che aveva vissuto con una maschera di ferro, che aveva esplorato l’inconscio, ed era stato aviatore, agente segreto, ladro, figlio disabile, per questa candidatura Un Redivivo… Leonardo Di Caprio.
Tutti tifavamo per lui, troppi Oscar immeritatamente persi, anche se in questo film, a mio avviso non aveva dato il meglio di se, ora era arrivato il suo momento.
” The Oscar goes to…….Leonardo Di Caprio”…
 Un boato da pelle d’oca, la gente esultò come se la nazionale di calcio avesse vinto i mondiali, si abbracciarono, urlando il nome: ” Leo Leo Leo”… un applauso interminabile, e poi nuovamente silenzio per ascoltare il discorso del vincitore dell’Oscar.
Osservai con attenzione i visi delle persone, i loro occhi puntati sulle labbra dell’attore, come se quelle parole avessero qualcosa di magico, di ipnotico, spesso le loro teste accennavano un piccolo movimento di assenso, di tanto intanto partiva un applauso solitario.
Da quel momento in poi sentì la tensione diradata, quasi sparita.
Iniziai a vedere i visi più distesi, le schiene iniziarono a spostarsi sugli schienali delle poltrone, il corpo si abbandonava alle emozioni, le mani lasciavano delicatamente i bicchieri colmi di birra.
I fidanzati ripresero a parlarsi.
Una valanga di “roba” mi arrivò addosso, woow!
Avrei voluto chiamare subito mia sorella per raccontarle tutto! Che finalmente avevo partecipato a modo mio alla vera “Notte degli Oscar”, che l’atmosfera vissuta in quel pub aveva reso tutto perfetto e ancor più reale, ma pensai che magari  mia sorella nonostante tutto non avrebbe avuto piacere a ricevere una telefonata alle 4 del mattino, per cui pagato il conto, stanchi  ma eccitati decidemmo di rientrare in Motel.
Un altro giorno era trascorso nella città degli angeli, un altro giorno meraviglioso, un altro giorno pieno di vita…
Ah! Anche io avevo ricevuto il mio Oscar…

Raf
Don’t forget to smile

27 – 2.2

Giungemmo lì dove la Route 66 terminava: Santa Monica.

Fu così chiamata dagli spagnoli che visitarono l’area in cui sorge la città nel giorno dedicato a Santa Monica.
Era diversa dal mattino, quando l’avevamo visitata. Ora aveva un fascino particolare.
La luce del sole donava un particolare scintillio alle piccole onde del mare che si infrangevano sulla battigia, come se all’interno di esse ci fossero dei piccoli diamantini, dei piccoli punti luce, che venivano poi lasciati sulla sabbia e ad intermittenza brillavano.
Migliaia di persone correvano per raggiungere il punto migliore in cui poter assistere a quel miracolo quotidiano che la natura regalava.
Noi facemmo lo stesso.
Ed era lì maestoso, fiero, il sole giunto alla fine della sua giornata di lavoro. Il suoi colori brillanti, incandescenti, rapivano il cuore.

Istanti brevi, ma così intensi. Ebbi la sensazione che quel pezzo di mondo si fosse fermato.
Solo il mio respiro scandì quel tempo, fintanto che il sole non baciò il mare e scomparve.

Poi come uscita da un’ipnosi, le uniche parole a cui riuscì a dare forma furono:
“Che meraviglia”!
I commenti con la mia crew furono interminabili… uno spettacolo fantastico.
Altrettanto piacevole fu visitare e fotografare quel molo, il Santa Monica Pier.
Il cinema, la tv mi avevano inondato il cervello di quelle immagini, ed ora ero lì, i miei occhi non avevano filtri.

Ero così emozionata, che dissi all’Avvocato:
“Fra mi sto commuovendo”, lui .” Perché?”, alzai le spalle e per me la risposta fu così semplice:” Perché ho la possibilità di essere qui in questo momento, in questo preciso istante della mia vita”.
Era ancora il giorno del mio compleanno.
I miei sensi erano super attivi per cogliere suoni, voci, le persone, il mare, i profumi, il vento, i colori.

Artisti si esibivano con gioia davanti ad un piccolo gruppo di persone, attente e sorridenti.
I bambini correvano da un gioco ad un altro, di tanto in tanto chiedendo un pacchetto di popcorn facendo sentire la loro voce.
Noi eravamo immersi in tutto questo, non potevamo non immortalare la nostra felicità.

Una giornata intensa di emozioni sensazioni che ridestavano in me il senso della vita, la voglia di viverla, la curiosità di sapere, di vedere con tutte le energie possibili.
A proposito  di energie, era ormai ora di cena, la cena del mio compleanno organizzata da Gigi a Beverly Hills.
Rientrati in Motel ad Hollywood, rinfrescati, vestiti di tutto punto, andammo a cena.
Una napoletana non poteva festeggiare il suo compleanno in un posto qualsiasi…
Pasquale a Beverly Hills,  Pasquale a Beverly Hills ci aprì le porte del suo ristorante, dove accoglienza e cibo erano proprie di un napoletano doc, trapiantato da 30 anni a Los Angeles.

Quella sera mangiai divinamente, il dialetto di Pasquale musica nel mio sangue.

Quel giorno stava giungendo ormai al termine, il compleanno più lungo e più intenso che io abbia mai vissuto. Non avrei potuto chiedere di meglio.
Hollywood, Santa Monica , Venice, Malibu…immagini scolpite sulla mia pelle, marchi nel mio cuore, cibo per la mia anima.
Quella notte trascorse lenta e dolce, il sorriso non lasciò mai il mio viso, un altro giorno stava per arrivare …la mia avventura nel paese a stelle e strisce aveva un sapore ancora più dolce intenso
e non era finita…

Raf
Don’t Forget to smile

O’ munaciell (ultima parte)

La domenica era il giorno della famiglia.
Figli e nipoti si recavano da nonna Margherita, alcuni per il pranzo, altri per il caffè.
Una tradizione che ancora vive nella nostra famiglia.

Di solito gli ospiti si accomodavano nella stanza più grande e più luminosa della casa, la camera da letto. Quella domenica  nonna Margherita stava preparando il caffè, mentre tra gli ospiti succedeva qualcosa di strano.
Si chiacchierava dell’ultimo varo, di quella tale che aveva lasciato il marito per scappare con un giovane e aitante americano, insomma chiacchiere da bar, quando zia Marga (nipote di Margherita), con lo sguardo fisso in un angolo del letto disse:

” Uh Elvi Antonio s’è scitat” ( Elvira Antonio si è svegliato).
” Marga chill sta ancor rummenn” ( Marga ancora sta dormendo)

Zia Marga si girò verso zia Elvira e vide che Antonio effettivamente dormiva tra le braccia della madre.
Allora chi era quel ragazzino biondo che aveva appena visto all’angolo del letto che rideva??

Zia Marga iniziò a raccontare con animo concitato quello che aveva appena visto, nonna Margherita entrò per servire il caffè, ma non disse una parola.
Dopo poco gli animi furono smorzati da battute e risate, la domenica si concluse a cuor leggero.
Nonna Margherita aveva imparato a convivere con quello strano essere che veniva chiamato il monaciello che si dimostrò  essere anche un giocherellone.
Si divertiva a spegnere le luci mentre la nonna andava in bagno, le tirava la gonna, le spostava le cose in casa, insomma sembrava essere proprio un ragazzino birichino.
Purtroppo però sapeva essere anche dispettoso, non amava alcuni “intrusi” in casa.
Capitava spesso che cugini o parenti della nonna da Napoli, si fermassero qualche notte a dormire a C.mare per godere un po’ del mare, ma gli ospiti dopo due giorni, scappavano a gambe elevate perché terrorizzati nella notte dal monaciello.
Nonna Margherita non poteva farci nulla, nonostante parlasse con quell’essere dispettoso, lui non sentiva ragioni.
La casa di nonna Margherita era diventata motivo di chiacchiere in famiglia e soprattutto di scherzi dei fratelli più grandi di mia madre che si divertivano a creare situazioni “paurose” con lo scopo di sentire grida di terrore e ridere a crepapelle.
Il monaciello non lasciava mai la casa senza cibo.Olio, pasta e sale riempivano le dispense.
Un giorno però zia Marga si recò da nonna Margherita per consegnarle delle buste con varie pietanze, appoggiò la busta a terra per liberare la mano e poter suonare il campanello, l’attimo dopo la busta era squarciata. La reazione di zia Marga appena si accorse dell’anormalità del fatto, fu immediata, salutò la nonna e scappò via, i gradini non erano contemplati nella corsa.
Dopo questi eventi, si andava in due in bagno e senza chiudere la porta. Si andava in due per prendere un bicchiere di acqua in cucina, in tre se bisognava lasciare una stanza per andare in un’altra dove regnava il buio totale. Ad ogni piccolo cigolio il terrore regnava sovrano.

Il tempo passava inesorabilmente, la nonna invecchiava ma il monaciello era sempre il giovane bimbetto dai capelli dorati.
A causa dell’avanzare dell’età, la nonna decise di cercare un’altra casa in una zona di periferia vicino all’abitazione della figlia Raffaella.
Da quel giorno iniziò il suo inferno.
Il monaciello non faceva altro che picchiarla, le lanciava i piatti a terra, le posate. Durante il trasloco, squarciava le scatole imballate. Non le permetteva di dormire. Era incazzato.
Nonna Margherita spaventata.
Quando arrivò il momento di lasciare la casa di via Sarnelli, la nonna cadde per le scale.
Gonfia e piena di lividi prese possesso della nuova casa, ma dopo esattamente un giorno fu accompagnata in ospedale, era grave e confessò di essere stata picchiata e spinta per le scale dal monaciello, perché non voleva che se ne andasse che lo lasciasse solo.
Nonna Margherita dopo 1 settimana morì.

Tolti gli abiti da investigatore, deposta la lente, spenta la pipa, mi sono resa conto che la leggenda del monaciello per quanto ” leggenda” è storia vera nella mia famiglia, ed è storia vera anche per la città di C. Mare di Stabia che ha denominato una strada ” via monaciello”, poiché si dice che in quel luogo, fino agli anni cinquanta, approfittando del calar della notte, sovente appariva il monaciello che con calci e percosse aggrediva il mal capitato di turno.
Non chiedetemi se in quella casa di via Sarnelli c’è ancora il ragazzino biondo tanto benefattore quanto dispettoso e violento, non ho avuto mai modo di poter verificare, ma a quanto si dice in giro quella casa non è mai più stata abitata da “umani”.

” Chiedete ad un vecchio, ad una fanciulla, ad una madre, ad un uomo, ad un bambino, se veramente questo monaciello esiste e scorazza per le case, e vi faranno un brutto volto, come lo farebbero a chi offende la fede. Se volete sentirne delle storie, ne sentirete; se volete averne dei documenti autentici, ne avrete. Di tutto è capace il monaciello”
Matilde Serao, leggende Napoletane

Raf
Don’t forget to smile