Regina di cuori – Chi é Regina? – Seconda parte

In attesa che la trasmissione televisiva inizi, Regina e sua nonna si intrattengono giocando a carte. La nonna è veramente brava, Regina riesce a batterla solo se la nonna glielo permette. “Scopa, rubamazzetto, asso piglia tutto e briscola” i giochi preferiti.

“Signori e Signori benvenuti, diamo inizio alla nuova edizione del Festival di Sanremo”.

Regina e sua nonna sono in prima fila davanti alla tv, in attesa della presentazione delle nuove canzoni, che avrebbero invaso le radio nei giorni successivi. Regina è addetta alla registrazione furtiva. Il mangianastri con cassetta vergine inserita e “Rec”. Non potevano comprare le cassette originali, e quindi da buone napoletane tentano di arrangiarsi.

La nonna adora Pippo Baudo, Regina è  affascinata dai vestiti e dalle vallette di turno che affiancano il presentatore.

“Nonna, guarda che bei vestiti, un giorno anche io andrò a Sanremo, scenderò quelle scale, Pippo mi attenderà alla fine porgendomi la mano per aiutarmi, ed io indosserò splendidi abiti di Valentino e di Armani, sarò bellissima.. ( imitando i personaggi in Tv, con una scopa come microfono e il plaid messo sulle spalle)..Presentano il brano “Felicità” Albano e Romina”…applausi applausi…poi guarda la nonna ed entrambe ridono..

Nonna:“Piccire non si sa mai tutto può succedere, ma voglio venire anche io”.

“E certo nonna, treno prima classe e albergo con camera gigante”.

Gli anni sono passati, i cantanti, i presentatori, ma Regina e la nonna sempre in prima fila aspettano Sanremo e le novità musicali. 

La nonna ormai anziana , si ammala per un problema al cuore e prima di lasciare la vita terrena: “Quando vai a Sanremo portami con te”, e consegna a Regina, raccontandole la storia, il suo prezioso orologio da taschino.

Regina è una donna ormai e non ha mai dimenticato la nonna e il suo desiderio. Ha sempre con se l’orologio da taschino.

To be continued

Don’t forget to smile

Raf

 

 

Regina di cuori – Chi è Regina? – Parte prima

“Era un giorno di febbraio del 1945. L’inverno era freddo, il vento spaccava la faccia. Giuseppe indossava la sua divisa. La corriera sarebbe partita di li a poco. Altri erano li, l’Italia chiedeva il supporto dei propri ragazzi per riappropriarsi della libertà perduta. Regina arrivò con il fiatone, ed un fagotto di stoffa pieno di cose buone da mangiare ed un paio di camice confezionate da lei stessa, Regina era una brava sarta aveva imparato il mestiere per necessità.

Il tempo di qualche sorriso, di qualche sguardo, poi il comandante esortò tutti a salire, bisognava partire per il fronte.

Mi raccomando stai attento a piccirell ten bisogn e te“, Regina disse preoccupata.

“Stai serena, tieni, prendi questo, così saprai sempre quanto tempo passa per il mio ritorno a casa”, Giuseppe poggiò sul palmo della mano di Regina un orologio da taschino dorato.

“Tu sei la mia Regina, il mio cuore è tuo, da te devo tornare”.

Mentre Giuseppe si allontanava, le lacrime di Regina iniziarono a solcare il suo viso. Teneva stretto tra le mani quell’orologio il cui ticchettio scandiva il tempo e il battito agitato del suo cuore, nel retro di quell’orologio era incisa una figura di donna, una Regina di cuori”.

“Ma poi è tornato a casa Giuseppe?”, grida un bambino.

“Ma Giuseppe è morto?” chiede un altro.

“L’Italia era stata liberata dai cattivi, e Regina era orgogliosa di suo marito, sapeva che anche Giuseppe aveva contribuito alla grande vittoria. Purtroppo Giuseppe non tornò mai più da quel lungo viaggio, la guerra lo aveva allontanato per sempre dalla sua famiglia. Regina non lo dimenticò mai e quando qualche volta si sentiva sola, prendeva l’orologio, lo avvicinava all’ orecchio e il ticchiettio le riempiva il cuore di amore.”

“Che bella storia però è triste!”, esclamò una bimba.

“Bambini guardate qua”, e Regina mostrò loro l’orologio con l’incisione della Regina di Cuori sul retro.

“Ma è una storia vera?”.

Regina risponde con un sorriso: “Giuseppe era mio nonno e regina di cui porto il nome era la mia adorata nonna, mi ha lasciato il suo orologio e mi ha chiesto di custodirlo per sempre.”

I volti dei bambini hanno una capacità di espressione che un bravo attore avrebbe difficoltà ad imitare. Tutti sorpresi ed incuriositi dall’orologio. Una bambina lo avvicina all’orecchio per sentirne il rumore e poi con gli occhi sgranati e l’entusiasmo che solo i bambini hanno dice: “E’ vero c’è il ticchettio!”

I bambini ritornano a casa entusiasti, salutano Regina e non vedono l’ora di ritornare la settimana successiva per ascoltare una nuova storia.

Regina è una giovane donna napoletana, non ha mai finito gli studi, il sostentamento della famiglia ha sempre avuto la priorità, e fin da giovanissima ha sempre trovato lavoretti, qua e la che le facessero guadagnare qualche soldino; l’hostess per i convegni, pulizie delle scale di qualche condominio, di tanto intanto parcheggiatrice, carico e scarico merci in un grosso supermercato, fino a quando ha trovato un lavoro fisso: la commessa in un negozio di libri. Il negozio ha uno spazio dedicato ai libri per bambini, ed il sabato e la domenica 1 ora al mattino ed 1 ora il pomeriggio regina intrattiene i bimbi leggendo o raccontando storie. E’ una persona solare, gioiosa, con tante passioni e tanti sogni nel cuore da realizzare.

Da piccola condivideva la gran parte del suo tempo con la nonna. Nonna Regina era una brava sarta, che spesso tentava di insegnarle qualche trucco del mestiere, ma invano. Invece altre passioni nonna Regina le lasciò in eredità: la passione per la lettura, per le carte da gioco e per il Festival di Sanremo.

To Be continued

Don’t forget to Smile

Raf

 

 

 

Regina di cuori

L’atmosfera è quella di un thriller…Il lampadario penzola al centro del tavolo, la luce fioca, illumina a mala pena la stanza, troppo grande.

Si gioca l’ultima mano, mentre il mazziere mescola continuamente le carte, i respiri si fanno più intensi, i battiti del cuore scandiscono il tempo. I piedi nascosti sotto il tavolo si muovono come se seguissero una musica.

Le carte intanto scivolano sul tappeto verde, prima una, poi l’altra e ancora e ancora e l’ultima.

La finale di un importante torneo di poker sta per avere inizio.

Quattro i giocatori. Il primo molto robusto, diciamo che non gli è mai mancato da mangiare, una giacca grigia una camicia azzurra, cravatta blu che nasconde i bottoni nella parte dello sterno, bottoni, che non sostengono il respiro dell’uomo, lasciando intravedere piccole parti di pelle. Nella mano destra una sigaretta spenta, Marlboro rossa, la sinistra appoggiata sul pacchetto riposto sul tavolo, un Rolex in evidenza sul polso.

Davanti a lui tante fiches. Continua a leggere

Il profumo di quel mosto selvatico – The End

Il pensiero di quei ricordi mi regala un sorriso.

Prendo il mio bicchiere, appoggio l’indice ed il medio della mia mano destra sulla base e lascio che scivoli sul pavimento creando dei cerchi, dando modo ancora una volta che i profumi inebrino i miei sensi, un sorso e ritorno…li’ in quel giardino…

“Mio padre indossa una camicia a quadri rossa e grigia, usurata, le maniche sono risvoltate, lasciando le braccia scoperte fino al gomito. I pantaloni sono quelli di una tuta. Nella mano destra ha delle forbici comuni, con la sinistra sostiene il grappolo d’uva, in modo che non cada, per poi riporlo nell’apposito secchio. Le sue grosse mani, rugose, e segnate dalle cicatrici procurate dal saldatore, si muovono delicatamente, come a sorreggere la dama in una danza da un lato ad un altro.

Il taglio è netto, le forbici compiono un gesto secco, e Tac. Il profumo ci invade. Erba, qualche acino esploso, e l’aria si riempie di gioia… la nostra vendemmia.

Non possiamo stare ferme a guardare, vogliamo partecipare a quell’evento e allora mio padre assegna i compiti: mia sorella ripone i grappoli nel secchio, io controllo che non ci siano resti di foglie e acini cattivi. Siamo una macchina perfetta. Di tanto intanto mamma e nonna ci osservano dalla finestra.

Io: “Papi ora che abbiamo finito che si fa?”

Lui: “Ora dobbiamo lavare tutti i grappoli per bene e lasciamo ad asciugare poi domani, quando l’uva sarà asciutta la lavoriamo”.

Io: “Che vuoi fare il vino? E come si fa? Lo hai mai fatto? Lo possiamo provare?”

Lui: “Faccio un esperimento, non l’ho mai fatto, proviamo, vediamo che succede, al massimo lo usiamo per condire l’insalata” e sorride.

Ma che schifo come fai a condire l’insalata con il vino, penso ad alta voce, e mia sorella piu’ sveglia, mi spiega che se il vino non riesce si puo’ fare l’aceto e con quello puoi condire l’insalata….

Ahhhhhh ecco…

I giorni seguenti sono una continua sorpresa. Papà raccoglie tutta l’uva la ripone in una bacinella, in un’altra c’è dell’acqua calda dove poggia i suoi piedi e li lava con cura. Tra un dito e l’altro, poi usa uno spazzolino per le unghie, insomma un lavoro certosino. Prende un telo che ha precedentemente appoggiato sullo schienale della sedia e tampona prima uno e poi l’altro piede.

Entrambi i piedi poi finiscono nella bacinella con l’uva. Papi non riesce ad alzarsi dalla sedia da solo e chiede il nostro aiuto. Poste su entrambi i lati, sosteniamo il peso di quell’uomo tanto robusto fino a quando non è in equilibrio, ci ringrazia ed inizia a pigiare l’uva.

Fantastico, inizia una danza tutta sua, si diverte. Alza prima una gamba che affonda e poi l’altra. Soffro di invidia mi sembra una cosa pazzesca voglio farla…ma non posso. Guardo mio padre che continua a pigiare… l’uva inizia a trasformarsi in una sorta di melma. Qualche acino schizza fuori dalla bacinella creando irripetibili momenti di ilarità. Papi rimane a pigiare fino a quando non è sicuro che tutti gli acini siano perfettamente schiacciati e compatti. L’ odore ora è forte è acre e dolce…Quella strana danza dura per un po’ di tempo, tra i sorrisi e le chiacchiere.

Lui: “Bimbe aiutatemi ad uscire”

Tutto è compiuto i piedi finiscono nella bacinella con l’acqua e dopo aver ripetuto il rito, infila gli zoccoli e poi con una cucchiaia gira quello che è rimasto dell’uva, copre la bacinella con un panno bianco immacolato.

Michy: “Ed ora che si fa?”

Lui: “Si Attende!”

Il tempo scorre mio padre al rientro da lavoro, ogni giorno controlla la bacinella e gira il contenuto, che intanto ha iniziato a fermentare. Dopo la prima settimana il mosto è già profumato, la cantina è pregna di quell’odore dolciastro.

Le settimane trascorse sono ormai due e papi continua a girare, mescolare, e ricoprire la bacinella con il prezioso contenuto. Un giorno aggiunge un po’ di zucchero un altro un po’ di acqua…poi decide che tutto era pronto…

Chiede a mia madre di portargli lo schiacciapatate, mi chiedo a cosa possa servire.

Presto detto.

Il mosto è pronto per diventare vino dopo la macerazione e va spremuto. Non avendo i mezzi tecnici, da buon napoletano si arrangia con lo schiaccia patate ed inizia a pressare il mosto. Quello che ne deriva è un liquido rosato che papi con cura versa in una botte di vetro, tramite imbuto. Questa operazione è molto lunga, in quanto lo schiacciapatate riesce ad accogliere solo un paio di mestoli per volta. 

I miei sensi sono cosi’ attenti a cogliere ogni movimento, ogni sensazione, ogni odore. I gesti di mio padre sono attenti e precisi. La pressione posta sul mosto fermentato scatena una miriade di profumi che sono diffusi nell’aria dalla lieve brezza autunnale…

La botte è quasi piena e la bacinella vuota.. Papi ha scartato le bucce, riposte su vecchie pagine di un giornale.

La botte è finalmente piena , papi affaticato ma felice in volto, richiude la botte con un grosso tappo di plastica:

Lui:”Ecco fatto, e ora dobbiamo attendere e vedere cosa è venuto fuori”.

Io:”Papi ma non lo possiamo provare”.

Lui:”Certo attendiamo che si posi per qualche giorno”.

Non vedo l’ora, per me e mia sorella sarebbe la prima volta, una sorta di iniziazione, e quale miglior modo se non con il vino fatto in casa.

I giorni trascorrono e non faccio altro che vantarmi a scuola della bravura di mio padre, anche la maestra è attenta ai miei racconti, e sembra conoscere tutti i passaggi che elenco.

Il fine settimana impiega poco ad arrivare, e sulla tavola imbandita per la domenica, tra un piatto di tagliatelle e le polpette al sugo della nonna, fa la sua apparizione anche una bottiglia anonima, con tappo di plastica.

Papi: “Siete pronte, che dite lo vogliamo assaggiare o no?”

Solo in quel momento ho capito che il vino era finalmente pronto.

Con una leggera pressione della mano, papi stringe il tappo e con un movimento ballerino che spinge il tappo un po’ avanti e un po’ indietro riesce a rimuoverlo ed ecco il “Ploof” di felicità che fa scaturire l’applauso…

Papi: “Allora prima alla nonna, così se il vino è cattivo, la nonna è anziana…” mi strizza l’occhio

Nonna: “Azz grazie Angiulill, ” e scoppiamo tutti in una fragorosa risata.

A seguire papà versa il vino a mamma, poi a Michy, a me e conclude versandolo nel suo bicchiere.

Lui: “Allora salute, buona domenica”.

Noi: “Salute, cin cin”.

I bicchieri si toccano in un gentile tintinnio, sono emozionata è la mia prima volta. Mia sorella ed io ci guardiamo per un attimo, i nostri sorrisi evidenziano la nostra gioia. 

Avvicino il mio bicchiere, e il profumo prepotentemente arriva ai miei sensi. Respiro profondamente e lo lascio entrare, mi godo ogni sensazione. Lentamente il liquido rosso scivola nella mia bocca a piccole dosi. Si ferma sulla lingua e poi scivola nella gola… E’ pastoso, compatto, forte e dolce allo stesso tempo. Senza accorgermene finisco il mio bicchiere…

Lui:”Uè piccirè chian che ti ubriachi” ( piccola piano che ti ubriachi)

Allora con lo sguardo smarrito, metto giù il bicchiere e sento che la lingua si muove sul labbro superiore a cercare i residui del nettare, fermandosi su di un lato.

Mi sento osservata, anche mia sorella ha gli occhi puntati su di me..

Nonna: “Ah ti è piciut”.

Sono imbarazzata e non riesco a rispondere, sorrido abbasso lo sguardo e iniziamo a ridere, per la gioia e chissà forse anche per il vino…”

 

Il mio bicchiere è vuoto, la puntina non scorre più sul vinile, il tempo riprende a scorrere, e non dimentico di respirare e di sorridere.

 

Don’t Forget to Smile

Raf

 

 

 

Il profumo di quel mosto selvatico

“Il vino eleva l’anima e i pensieri, e le inquietudini si allontanano dal cuore dell’uomo.” Così Pindaro, poeta greco, dedicava il suo pensiero al vino.

Ho salutato da qualche giorno l’estate con l’ultimo tramonto a Venezia e ho dato il benvenuto all’autunno che non ha tardato a presentarsi con qualche pioggia e la sua aria frizzantina.

Tutto in pieno movimento, ti ritrovi a girare come una trottola e non ti accorgi che il tempo ti sfugge e inevitabilmente la vita. Allora bisogna fermarsi e dedicarsi del tempo. Un giorno qualsiasi o magari durante il fine settimana stappo una profumata bottiglia di vino, non uno qualsiasi, il mio preferito è L’Amarone di Valpolicella, gentilmente fornito da mia madre, sommelier.

Ormai è un rito. Prendo la bottiglia dalla mia piccola cantina, con l’apribottiglie estraggo il tappo come il più esperto dei sommelier, lo annuso, e verso il contenuto nel mio “balloon”. Il profumo non tarda a raggiungere i miei sensi. Continua a leggere

Buon compleanno The Sun’s Smile

Ho iniziato a scrivere perché il mio cuore spinto dalla passione mi chiedeva di farlo. Il mio cuore aveva ragione.

Oggi sono due anni che scrivo, ed il mio blog è diventato un bellissimo sito ricco di cose interessanti ed i miei racconti prendono vita trasformandosi in immagini. 

Sono molto orgogliosa di questo mio piccolo successo…chi l’avrebbe mai detto…non abbiamo mai dimenticato di sorridere. Continua a leggere

La gioia della vacanza in 500

Oggi un mio amico mi ha scritto dicendomi:

“Vedendo il tuo blog di racconti-ricordi co­muni a tanti di noi, sentivo il
bisogno di racconta­rne uno mio legato ai veri piaceri del passato, gli
unici che resteranno – dentro di noi – per sempre…Sergio”.

“La gioia della vac­anza in 500…”

Andando nel Sud que­st’anno ho visto tan­te macchine di quando ero
piccolo, di quando l’aria condizionata non esisteva e neanc­he le 4
porte spesso… di quando si usava la 500 per andare magari in
Calabria….Si viag­giava in 500 per 8 ore….quella macchin­ina oggi
diventata un mito da collezione anche per le star (Tom Hanks che ha
girato in Italia ha fatto foto vicino ad ogni Fiat che vede­va)…

Ora pensate una fam­iglia : mamma, papa’ e 3 figli tutti den­tro quella
macchina ….l’esta­te durava almeno 2 mesi da fine giugno a poco prima
dell’inizio delle scuole a settembre…­il diario lo avevi più o meno
scelto, i compiti c’erano sempre e spes­so c’erano le materie per cui
eri rimandato da pr­eparare….spesso a lezione da un parente tra i
tanti..

COLORI

Partivi a giugno bi­anco cadaverico e ri­tornavi che ti scamb­iavano per
un’immigrato che a quei tempi non sbarc­avano…anzi chi ave­va lavoro
se lo teneva stretto e lo tramandava ai figli…

PONTE

Una cosa non e’ cam­biata in questi 40 anni nel Sud, anzi du­e: l’idea
di fare il Ponte su­llo stretto (una leg­genda metropolitana che
continuerà penso nei secoli) e la Saler­no-Reggio Calabria..­..quando
iniziava quel perco­rso ti facevi il seg­no della croce o cer­cavi di
dormire proprio dal quel punto per qual­che ora, perché non sapevi
quando saresti arri­vato…ma ti fidavi di chi guidava…

PORTABAGAGLI

La cosa curiosa e’ che in quella 500, poi 127 oltre a porta­re 5
persone le famiglie avevano il portabag­agli con valigie leg­ate bene
che al ritorno aume­ntava di spazio graz­ie ai prodotti della terra che
si riportavano a ca­sa….. fortunatamen­te….quanto erano buoni….

NO DISTRAZIONI

Ai tempi non c’erano frasi tipo “lascia il cellulare”, al massimo
stavi da in attesa del pranzo o della cena in un’altra parte della
casa a leggere un romanzo di fantascien­za ..Asimov, Philip K. Dick o
ti appassionavi con romanzi di Edgar Al­lan Poe che ti prend­evano tanto
mentre passava que­ll’aria tra una stan­za all’altra e davan­ti avevi
una finestra che da­va sulla strada ed in fondo il mare che amavi….

ORARI

Esistevano appuntam­enti ben chiari dalle prime ore…una co­sa che
sarebbe servita per il militare da gran­de quando si faceva.­…

Sveglia mattutina, il “vengo dopo” non era previsto….prep­arazione
immediata per il ma­re con inevitabile e grossa “colazione”
mattutina…e prepa­razione della merenda da portare in spia­ggia
(chiamala merenda).­..i genitori dicono sempre vicino ai pas­ti “non
esagerare poi non mangi” i nonni sono sempre leader per il “ma non
mangi?”

ASTA

Arrivavi in spiaggia e piazzavi l’ombre­llone….dove piazza­rlo lo
decideva sempre la nonna e il nonno dic­iamo si adeguava…g­irl power
..sempre stato anche quando comandavano gli uomini….

Una volta piazzato l’ombrellone (dal no­nno che era contento per aver
fatto qualcosa per la famiglia oltre ad averla educata con la nonna
sempre il carattere decisionale della famiglia) ci si butta­va al mare:

quello delle nonne durava circa 45 seco­ndi,

quello delle mamme 1 minuto e 45 secondo per poi ripiegare in discorsi
con i vicini di omb­rellone o parenti…

quello di noi nipoti durava 3 ore, 59 minuti e 45 secondi per poi
mangiare qualcosina­…diciamo “qualcosi­na”……con un pane che oggi
non lo dimentichi ….era tutto buono..­..anche quando andavi in
campagna e passavi la giornata a fare “i pomodori” io amavo mettere i
tappi….

TAPPI

Quei tappi di botti­glia con cui da picc­oli giocavamo….cre­avano una
pista di terra con percorsi intervallati da “montarozzi” ov­vero
piccoli pezzettini di terra da scavalca­re per arrivare primi a colpi
di schicchere sui tappi…era strepitos­o…durava tanto e giocavi con
tanti altri amici…

noi non eravamo una touch generation ..­virtuale…quello che toccavamo
era reale e indimen­ticabile…anche se non avevamo la rispo­sta su
google i problemi li abbiamo risolti con l’educazione e il modo di
relazionarci con gli altri….che spesso manca ai giovani di oggi che
sembrano orfani se non di smartphone…­..

RITORNO

Ad una certa ora in spiaggia c’era il richiamo….si andava. a
riprendere la macch­ina… Che non era mai vicinissima….e poi non
esisteva l’aria con­dizionata…chi guid­ava andava per primo e apriva
il forno…ma non avevamo problemi,,, eravamo a mille per tutto quello
che avevamo, il sol­e, il cibo, la famig­lia, il mare.la gioia di alzare
gli occhi e sorride­re…..

Il numero di persone al ritorno in macc­hina aumentava sempre rispetto
l’andata, a volte per la strada incontr­avi anche persone di altre
famiglie amiche….­.i carabinieri si sa sempre gentili con le famiglie
chiudevano un occhio anche se la vettura raggiungeva un num­ero vicino
ai guinnes dei prim­ati…

STANIERO?

Per la strada di ri­torno magari alle fe­rmate dei bus per to­rnare
trovavi tante perso­ne che conoscevi….­alla fine nei paesi tutti sono
o credono di esser parenti il “di chi sei figlio” ritorna nelle nostre
teste quando per i paesi camminavi e vo­levano sapere se seri uno
straniero o no…e per straniero era se­mpre “un italiano an­che se non
del posto…”.

CHE FAME

Arrivati dopo il ma­re la fame era mille ma le nonne si sa si portano
avanti col lavoro ed ecco che al ritorno vedevi la nonna con tutto già
pronto….ma come può essere? Spesso me­ntre si dormiva lei si
svegliava e prepara­va il sugo ….che consumavi con una sca­rpetta
indimenticabile..

MAI LASCIARE QUALCO­SA

Ai tempi non esiste­va solo il primo….­.intanto si stava tu­tti a
tavola non esisteva­no altri posti dove mangiare, unica alte­rnativa era
la tv che trasmette­va il telegiornale, unico momento in cui i nonni
riescono a decidere (vedere) qualcosa ma ai tempi non era show must go
on ….il vero show per i nonni era con­vivere tutti insieme­….

E tornati dal mare eri pronto a mangiar­ti di tutto e dovevi
mangiartelo….seco­ndo, contorno..frutt­a. e che frutta vera­mente a km
zero….

COPRIFUOCO

E a quel punto scat­tava la pennichella.­..inutile resistere perché il
mondo intorno a te si fermava, se prova­vi a metter il piede fuori casa
arrivavano gli sgua­rdi di quei pochi con la sedia fuori che ti
guardavano tipo “ma non sai che e’ l’ora del copri..fuoco”?

MERENDA

Naturalmente ti sve­gliavi ed ecco la me­renda pronta…. …­.pane..o
frisella bagnate con acqua e saporite con olio, pomodori e sale…..

I PARENTI …

Si tornava di pomer­iggio a volte al mare altre volte si fac­evano le
classiche visite ai parenti….ora calc­olando che ai tempi le nostre
nonne avevano almeno 8 tra sorelle e fr­atelli…per vedere tutte le
sorelle delle nonne, i figli, i nipoti e pronipoti impiegavi tutta
l’estate, era un to­ur di parenti….e se provavi a dire
qualcos…partiva un “pare brutto”…..­”zio o zia ci rimane male…dai
vatti a preparare su..”

La cosa era che non capivi neanche il grado di parentela…­cugini di
cugini. Zii di zii.­…mah ma non chiede­vi….sarà per quello che
iniziavi ad odiare i matrimoni che dive­ntavano una sorta di esame di
maturità dove indov­inare chi fosse pare­nte di chi…. Li in­iziavi ad
incontrare decine di persone che fingevi di ricordarti chi
fossero….ma quello accade anche oggi.­..

Facevi la tua prese­nza dai parenti “str­etti” stile riunione di
condominio…dove si iniziava con “quan­do sei arrivato” e con “allora
vediamoci…” (Un po’ come quando finis­ci una vacanza e poi non ti
rivedi più )

GELATO

Ecco che usciti dal­la visita dei parenti scattava il gelato­….e che
non te lo fai? Il nonno aveva la leader­ship per questo…am­ava andare
a prenderlo per i nipoti…ai tempi c’e­ra il gelato con la pipa che
succhiava gelato…­.e tanti alti gelati belli…..i nonni giravano per
la villa noi ci god­evamo il momento..co­rrendo guardando…..

Non esistevano I ce­llulari ma I nonni hanno sempre avuto un orologio
mentale…alle 19 in punto si tornava dalla nonne che aveva già’
preparato la cena mentre i nonni erano a vedere il telegior­nale…che
diceva sempre le st­esse cose, il traffi­co …il caldo….la
politica….a parte gli attentati ai te­mpi di mafia che era­no
frequenti (li ricor­do tutti soprattutto Falcone e Borsellino sono
rimasti dentro di me) e lo sport che ai tempi era fatto di calciatori
quasi tutti italian­i… con pochi campi­oni stranieri che ti ricordi
oggi Platini, Bonie­k…

PIAZZA

E dopo mangiato si tornava in piazza per le vasche solite su e
giù’…. Prima con I nonni,poi con amic­i…

Fino al giorno del Santo del paese norm­almente il 16 agosto o giù di
li..e ascoltavi
concerti de i Ricchi e poveri, Morandi, Toto Cutugno…
le Proloco dei paesi a seconda dei fondi e delle offerte co­ntattavano
e vedevano chi pote­sse cantare su quel palco con la piazza gremita di
persone che erano andate a lavorare al nord… i giovani che tornavano
con la macchina “sp­ortiva” , ai tempi non c’erano i social e per farsi
vedere giovani torn­avano nel paese con la macchina tipo con i fari
colorati e l’aletto­ne…

E vivevi quel posto con grande amore…­.Più di due mesi che volavano….
Ibiza? Formentera? Madeche’

LA VERA CONDIVISIONE TERMINE ABUSATO

La vera gioia era quella di condividere (non sui social) una cosa
ormai persa oggi : la gioia di mangiare tutti insieme con i nonni e i
nipoti, in un tavolo dove notavi i dial­oghi tra genero e su­ocera, tra
le nonne e le mamme­…

E si tornava a dorm­ire tutti nello stes­so tetto per risvegl­iarsi per
vivere un altro gio­rno con tutti quanti, un giorno apparent­emente
simile ma mai uguale e sempre indimenticabile.

S.F.

Don’t forget to smile 

Raf

Funambole – Storie alla ricerca di equilibrio – The end

“Todo Cambia”, recita una canzone meravigliosa di Mercedez Sosa, donna dalla grande tenacia. Il mio amico C. mi ha fatto conoscere questa immensa donna, l’ho amata, apprezzata e comprato la sua biografia che ho divorato in pochi giorni….

Pero no cambia mi amor
por mas lejos que me encuentre
ni el recuerdo ni el dolor
de mi pueblo y de mi gente
Lo que cambió ayer
tendrá que cambiar mañana
así como cambio yo
en esta tierra lejana
Cambia todo cambia
cambia todo cambia

Ma non cambia il mio amore
per quanto lontano mi trovi
né il ricordo né il dolore
della mia terra e della mia gente.
E ciò che è cambiato ieri
di nuovo cambierà domani
così come cambio io
in questa terra lontana.
Cambia, tutto cambia…”.

Adoro questo testo. Il contesto storico molto diverso da quello attuale, e di amore si parla, ma un’amore totale per la vita, per la propria terra, per il proprio popolo.

L’ho fatto, ho usato inadeguatamente questa canzone per i miei scopi. Qualcuno ha detto ” non importa il mezzo, importa raggiungere l’obiettivo” o qualcosa del genere.

Ale attraversa un periodo di totale isolamento. Inizio a sentirla di rado, come se volesse tenermi lontana. Non mi piace, non è da lei. Mi domando perché un uomo debba trattare una persona che ritiene amica in questo modo, purtroppo non ho risposta.

Un venerdì sera invito Ale per una birra, ho dovuto convincerla per farle muovere  quel culo pesante dalla poltrona di casa, mai avrei dovuto insistere così tanto prima… Andiamo nel nostro posto preferito “Open Balladin”, il regno delle birre artigianali, (in realtà è il mio posto preferito). Ho bisogno di capire cosa frulla in quel meraviglioso cervello, che mi è stato spesso d’aiuto, e di cui avrei avuto ancora bisogno.

Io: “Mi dici esattamente, cosa ti aspettavi? C’ é qualcosa che vuoi dirmi che non so? Hai omesso qualche particolare? Come sta il tuo cuore?.

Ale mi guarda con un’ espressione da punto interrogativo e dice: “Raffaela perché tutte queste domande?”.

Qui le cose si mettono male. Capisco subito che qualcosa non va, che qualche domanda le ha dato fastidio, mi ha chiamato Raffaela, lo fa soltanto quando qualcosa non le piace, allora indago con cautela e tergiverso.

Io:“Oggi inizio con quella alle castagne, tu quale vuoi? , io prenderei anche delle patatine da dividere che dici?”

Ale :” Si, per me una ai cereali”, risponde distante.

Sembriamo due estranee e questa cosa non mi piace per nulla, non riesco a capire, ed è una cosa che odio. Mi gioco Mercedez.

Io : “Ale oggi ho sentito mia nipote, che tipo.. mi ha detto : ” Zia quando vieni facciamo un video che devo metterlo su youtube”, caspita, ormai non si pensa che ai social…. Tutto cambia.

Ale: ” In effetti, tutto corre molto veloce e non capiamo esattamente a che punto ci troviamo della nostra vita”.

Qualcosa si sta muovendo, il suo sguardo è triste, come se ci fosse rammarico, quegli occhi felici che ho visto qualche tempo fa sono spariti.

Io: “Tutto cambia, ricordi quella canzone di Mercedez Sosa che ti ho fatto ascoltare?” mi fa cenno di si ” non pensi che sia attualissima? La trovo meravigliosa…tutto cambia, il mondo, l’aria che respiriamo, i nostri obiettivi, noi, ma non l’amore…”.

Ale: “E’ vero l’amore non cambia mai”… Lo sguardo di Ale perso nel bicchiere di birra appena consegnato, gli occhi seguono una goccia di schiuma che scivola fino alla base del bicchiere per poi scivolare sul tavolo.

Ale: “Ho visto Christian”, lo dice come se avesse dovuto richiamare tutte le sue energie, ” ne avevo necessità alla mia età non riesco ad avere cose in sospeso”.

Io: “Perché non me ne hai parlato?”.

Ale: “Sto ancora cercando di metabolizzare e come dici sempre tu, M’aggia riacchiappa’, non sono più io”.

L’ascolto, non emetto un fiato.

Ale: “Qualcosa è cambiato, questa amicizia ci ha un po’presi e si stava trasformando, avevo bisogno di chiarirlo a me e di capire esattamente lui cosa volesse. Dopo svariati messaggi, che mi hanno anche infastidito, perché spesso ha cambiato gli orari, mi ha trattato con superficialità, avrei dovuto mandarlo a quel paese solo per questo, ma siamo giunti ad un accordo per vederci in un pub in centro, ad un’ora decisa da lui.”

Continuo ad ascoltare, osservo le sue mani che si tengono come in una preghiera, poi si distendono a mò di farfalla, poi si stringono, i pollici direzionati sotto al mento e poi le mani ritornano, ad avvolgere il bicchiere di birra.

Ale: “Sono stata diretta, schietta, non potevo lasciare cose in sospeso, gli ho chiesto esattamente cosa volesse da me, perché eravamo arrivati a quel punto. Christian, aveva gli occhi bassi poi mi dice :

“Sono stato uno stronzo, ti ho allontanato, perché sono stato travolto da un sacco di eventi. Ho pensato al mio nuovo ingaggio e mi sono spaventato. Eri il mio unico pensiero…Tu mi distraevi.

Mi piaci, mi sei sempre piaciuta, ho preferito averti come amica che perderti totalmente…poi mi sono innamorato della mia ex, sono sparito,  sono ricomparso…avrei dovuto dirtelo forse in puglia, sono convinto che forse se avessi provato a baciarti sotto quel cielo stellato, le cose sarebbero cambiate, o forse mi avresti tirato uno schiaffo, ora non possiamo saperlo, ma ho rispettato te e la tua storia.

Ora devo partire lascerò Roma per una nuova città, un nuovo lavoro, dovrò riorganizzare la mia vita, pensare di dover vivere questa cosa…qualsiasi cosa sia….a distanza….con la testa totalmente impegnata….non posso farcela…Ho inseguito questo lavoro da tanto, troppo tempo, questa è la mia priorità.”

Io: “Certo poteva dirtelo prima”.

Ale: “Esatto, avrei voluto essere spietata, ma sono stata solo sincera e gli ho risposto dicendogli: ” Anche tu mi piaci adesso, ho vissuto un periodo in cui mi hai fatto sentire una principessa, il mio sentimento amicale si è trasformato in infatuazione, mi hai travolto nella tua vita come un tornado e poi ti sei allontanato lasciando brandelli e pezzi dietro di te e non ti sei mai voltato, ma siamo adulti, e queste cose avremmo potuto gestirle in altro modo. Mi hai cercata perché ti faceva comodo che qualcuno applaudisse ai tuoi successi, che ti facesse sentire importante, perché il tuo ego era stato ferito da un tradimento… avevi bisogno di sentirti voluto, in qualche modo amato…avevi bisogno di sentirti di nuovo un Uomo, poi quando hai ottenuto tutto questo dalla sottoscritta hai pensato bene che la cosa si stesse facendo più importante, ma la voglia di riscatto, per una vita fatta di sacrifici, ha prevalso… e sei scappato via… “.

Io: “Porca miseria , per fortuna che non volevi essere spietata, hai analizzato ogni cosa e sparato in pieno petto, ti adoro, brava”, mi rendo conto dopo qualche istante di aver esagerato e cerco di rimediare: ” immagino che non sia stato facile per te, anche ammettere che il sentimento stava cambiando”.

Ale: “Già, poi ha continuato dicendomi, se volevo andare a trovarlo una volta stabilito, senza progetti, e che se ora dovesse pensare ad una persona al suo fianco, più di qualsiasi altra penserebbe a me. Raf, mentre lo diceva il suo sguardo era da un’altra parte, e sai quanto sono attenta al linguaggio del corpo, ai segnali…., provavo a cercare i suoi occhi ma non erano nei miei…. ho continuato:” Mi hai trattato da schifo, io nonostante tutto sono sempre stata presente, perché capivo, ho chiesto scusa anche quando non era necessario, ma tu non sei mai sceso da quel piedistallo, ora ti rifaccio la domanda cosa vuoi da me?”.

Io: “Ti ha risposto?”.

Ale: “Si, mi ha detto ..Nulla, poi per la prima volta ci siamo baciati”.

Io: “Azz, bastone e carota, ora come stai?”

Ale: “Da quella sera non l’ho più sentito, ne mi ha scritto…che cosa assurda, saranno passati 10 giorni”.

In effetti lo avevo notato , pensai.

Ale:”Due giorni fa mi arriva un suo messaggio:” Sto partendo, ho firmato, volevo salutarti”, la mia intelligenza è troppo spiccata per rispondergli  e mandarlo a quel paese come meritava, ho semplicemente scritto ” Ciao Buon Lavoro”, ora sono in quella fase che non mi spiego….ma passerà…”

Non mi era chiaro il motivo per il quale mi aveva tenuto nascosto l’ultimo incontro con Christian, le ho chiesto nuovamente di spiegarmelo, altrimenti che amica sarei stata…

Ale:”Raf sapevo che mi avresti caricata per la battaglia, e che forse non avresti approvato questo mio ” sottostare” ad un uomo che nei miei confronti aveva la carineria attivata a tempo..ahahah, insomma avevo bisogno di essere lucida e di non pensare a… “cavolo Raf me lo aveva detto”, dai è stato meglio così…”

 

Da quel messaggio Ale non ha più avuto notizie di Christian, lei non lo ha più cercato. Di rado le capita di leggere qualcosa di lui, su qualche sito internet e mi dice: ” Sono felice che abbia trovato il suo equilibrio”.

Ale ora è continuamente in viaggio per lavoro, il suo sorriso ha faticato a tornare, ma ora è sempre sul suo viso,  a meno che non scleri per qualche progetto dei suo collaboratori andato male. Credo anche che stia iniziando una nuova storia…non ho ben capito… in che modo si stia evolvendo ma lo scoprirò presto…in fondo Ale è sempre stata una tipa tosta e nonostante tutto ha ripreso a camminare su quel filo sospeso nel vuoto alla ricerca di un nuovo equilibrio…

In fondo Tutto cambia inevitabilmente… 

Funambole, Storie alla ricerca di equilibrio  The End!.

Raf 

Don’t forget to smile

 

 

 

FATE PRESTO

Giorno 23 novembre 1980, ore 19.34 circa la terra tremò.

 

 Avevo solo 1 anno e non ho ricordi definiti di quei momenti,  ma tutte le volte che in famiglia si parla di quell’evento, riesco a riviverlo tramite le loro parole ed i loro occhi:

 

“Una domenica in famiglia, di quelle napoletane in cui gli uomini giocano a carte e litigano per un asso di bastoni e il posacenere pieno di sigarette, le donne si perdono nelle chiacchiere dei nuovi acquisti, le lenzuola sbiancate con una nuova candeggina, la vicina in attesa di un bebè per opera di chissà quale mascalzone ed il nipote di Franco, quello giovane, che ha preso il posto fisso in banca.

 

Tutto qua, la domenica era fatta per stare insieme, noi stavamo là seduti, ma mai avremmo immaginato quello che sarebbe accaduto.

Tu dormivi sul divano, ad un certo punto la bambola amazzone sul pianoforte, con il cappello nero con il nastro fuxia, i capelli biondi, gli occhi sgranati evidenziati da un finto mascara, quella che ti aveva regalato zia Marga, iniziò a muoversi, dondolando avanti e indietro, senza mai cadere. Dapprima quasi nessuno ci fece caso, poi le persiane della cucina cominciarono a strusciare sulla finestra, uno strano vento caldo invase la casa… le pareti iniziarono ad oscillare… un grido partito forse dal nonno Giuseppe :” O’ Terremoto”!

 

Iniziò un via vai, chi correva di qua chi di là, senza avere ben chiaro che cosa stesse succedendo.

Michela scappò di casa con le tue cugine Sonia e Simona, allora ti avvolsi in un plaid e mi ritrovai giù insieme agli altri, non ricordo neanche di aver fatto le scale.

 Nonna Raffa, non si trovava, era rimasta in camera alla ricerca delle scarpe:

“ A No ata scennr è pericolos” ( Nonna dovete scendere è pericoloso)

“ Uè e che scendo con le ciabatte mi devo mettere le scarpe, pare brutto in miezz a vi a ccussì”

“ Ma che Vi importa fate presto, fate presto ia’”

Così ci ritrovammo tutti per strada, in mezzo ad altri che spaventati dalla terra tremante cercavano rifugio lontano da muri e pavimenti ondeggianti.

Furono i 90 secondi forse 100 piu’ lunghi di sempre.

 

La sera sembrò che la situazione fosse un po’ piu’ tranquilla, allora per smorzare un po’ la tensione decidemmo di cucinare uno spaghetto aglio, olio e peperoncino veloce veloce, in giardino, faceva freddo , ma che dovevamo fare meglio sopportare il freddo che avere un lampadario in testa.

 

Dopo qualche giorno apprendemmo dai giornali che i morti erano stati tanti e che molte case erano state distrutte. Povera gente.

Noi dormimmo un paio di giorni in macchina, poi rientrammo in casa che per fortuna era rimasta intatta, ospitammo così anche gli zii che invece avevano avuto dei problemi.

E questo è.

Noi ci siamo ripresi, ma ci sta ancora la povera gente che dopo quasi 36 anni ancora non ha casa e vive in containers o case mobili. Eh piccire’ mica ci stava quello di facebuk che regalava soldi. Il presidente Pertini cercò di smuovere qualcosa, ma sul iss che puteva fa ( ma solo lui cosa poteva fare)  Invec stu signor sta facend n’opera e bene, e sono felice”.(invece questo signore sta facendo un’opera buona e sono felice).

Dopo il terremoto dell’Aquila, speravo che non ci fossero piu’ eventi del genere invece, purtroppo …di nuovo. Nuj stamm ca e dicimm na preghier ( noi siamo qua e diciamo una preghiera).

Queste le parole di chi ha vissuto un evento tragico che ha sconvolto la vita di molte persone. Dopo 36 anni purtroppo la natura ancora si ribella colpendo al cuore l’Italia, prima l’Aquila e ora Amatrice e gli altri paesi.

Un giorno di 36 anni fa Pertini urlò “ Fate presto”, chiedendo che i soccorsi si attivassero e che le vite delle persone colpite potessero tornare alla normalità quanto prima, seppur con meno voce vi chiedo “ Facciamo presto e non lasciamoli da soli, che il sole possa riprendere a sorridere su quelle terre”.

 

Raf
Don’t Forget to smile

 

 

Il Malocchio

 

Maria,
la Signora Maria così si chiamava.

 

Il villaggio, ovvero le così dette “palazzine americane”, costruite nel dopoguerra su stile americano, erano abitate da personaggi rari e surreali, me inclusa.
I miei occhi osservavano attentamente.
C’era La Comara T., non so perché la chiamassero così, ma so che lavorava in un posto grazie al quale sapeva tutto di tutti e tutti le chiedevano questo o quel favore.
C’era Josuè, uomo buono e di cuore, la sua famiglia numerosa e molto cattolica, sua moglie era una donna molto gentile, mi accolse amorevolmente quando chiesi se fosse possibile farle un’intervista per la scuola, credo fosse proprio sull’importanza della famiglia o cose del genere: ” Gesu’ è nostro fratello, nostro padre il nostro miglior amico:” mi disse.
C’era Gennariell, uomo magro magro, carnagione scura, viso segnato dal dolore e dalla sofferenza, di lui si raccontavano cose non adatte alle orecchie dei bambini, ma io lo vedevo solo come un uomo triste.
C’era  Don Ciro con la Signora Vittoria, che coppia. Erano i miei vicini. Lei donna prosperosa, abbondante, il viso con le gote rosa e sempre luminoso, molto napoletana, lui il mio bidello alle scuole elementari. Mi aiutava ad attraversare la strada, aveva sempre pronto un sorriso al suono della campanella e mi riaccompagnava a casa quando, dopo aver vomitato anche l’anima, a causa dell’influenza, non riuscivo a reggermi in piedi.
Poi, dietro i vetri di una bianca finestra c’era lei, la signora Maria.

 

La vedevo seduta a quella finestra la maggior parte del tempo, o meglio, tutte le volte che andavo e rientravo da scuola o quando nel pomeriggio uscivo. Era sempre lì. Dalla sua finestra aveva tutto sotto controllo, non c’era estraneo che potesse entrare senza che passasse sotto il suo vigile sguardo.
In estate la vedevo seduta sul portico su una di quelle sedioline di legno con la seduta in paglia, e stava lì, con i suoi capelli bianchi, un vestito a fantasia floreale le sue ciabatte aperte sulle dita, tra le sue ortensie e piante aromatiche ed i suoi gatti, tanti gatti. Proprio per questo ho sempre pensato bene di lei, una persona che ama gli animali come li amava lei, doveva essere una persona buona.

 

Da bambina ero spesso malata a causa delle tonsille.
Mia nonna un giorno decise che non potevano essere solo le tonsille infiammate a farmi ammalare:
“Sta creatur ten l’uocchj n’ guoll, ten o mal uocch”. (questa bimba ha gli occhi addosso ha il malocchio).
Il malocchio a Napoli, è una cosa seria e molte persone soprattutto anziane la considerano come una vera e propria malattia e come tale va curata.
Secondo la leggenda napoletana il Malocchio deriva semplicemente dall’invidia e dalla gelosia, dalle maldicenze di altre persone, che causano energia negativa che si trasforma poi in mal di testa, insonnia etc.
Mia nonna aveva un rimedio, sapeva come rimuovere il malocchio, o meglio una persona che potesse effettuare il rito, eh già era un vero e proprio rito.

 

Un pomeriggio ripresa dal mio stato influenzale, mia nonna disse a me e a mia sorella che avremmo dovuto accompagnarla a fare una cosa.
Mia sorella ed io non obiettammo in merito.
Lasciata casa facemmo 57 passi circa e la nonna si fermò al cancello della Signora Maria, che avevo già scorto essere nella sua posizione di “guardia”, dietro la finestra.
Ci accolse in casa con il sorriso.
Era la prima volta che entravo in quella casa, non ero perfettamente a mio agio. Attraversata la porta d’ingresso c’era un piccolo disimpegno, a sinistra c’era la camera da letto e a destra dopo aver attraversato un archetto si entrava nel soggiorno. L’ambiente era molto in ombra, una luce fioca illuminava l’arredamento di legno scuro. Numerosi centrini, di quelli fatti ad uncinetto sparsi qua e là sulla tavola rotonda. Nell’aria odore di cera, una candela posta davanti a dei santini bruciava. Il mio sguardo girava in tondo, foto di bambini, vecchie riviste appoggiate in un angolo.

 

“Ja assittatv o facc o cafe’? ( Sedetevi , faccio il caffè)
” No Marì grazie”.
“Allora facimm stu fatt” ( allora facciamo questa cosa)..

 Mentre le due signore chiacchieravano, mia sorella ed io eravamo in attesa di capire che cosa mai facessimo a casa della Signora Maria.

 

“Mo torn”. (ora torno)

 

La signora Maria si allontanò per rientrare con un piatto all’interno del quale c’era dell’acqua ed una tazzina con all’interno dell’olio.

 

“Viè piccire’ assittet ca” (vieni piccola siediti qua)

 

Senza nessun tipo di obiezione seguì le indicazioni della Signora Maria, non con serenità al dire il vero, ma c’era mia nonna, per cui qualsiasi cosa fosse successa, avevo un parente accanto a me, pensai.
Silenzio e la signora Maria prese il piatto con l’acqua e lo portò sul mio capo, senza appoggiarlo. Sentivo bisbigliare qualcosa, ma non riuscivo a capire che cosa stesse dicendo, intanto incrociavo lo sguardo di mia sorella, che rideva cercando di non farsi vedere. Era proprio surreale mi sentivo a casa di una strega che di li’ a poco mi avrebbe trasformata in una maialino rosa,(già all’epoca guardavo molti film).
Dopo qualche minuto Maria portò il mignolo all’interno della tazzina dell’olio, per raccoglierne qualche goccia da far scivolare nel piatto, qualche istante e disse:

 

“Ah sti ftient, eccoli eccoli!!” ( ah questi cattivi, eccoli, eccoli).

Mia sorella ed io ci trattenemmo dal ridere, ma l’esclamazione della nonna ci aiutò a capire.

 

“Ten l’uocchi n guoll, eh vist! ( ha il malocchio , hai visto!).

 

La signora Maria ci mostrò il piatto all’interno del quale aveva fatto cadere le goccioline di olio che nell’acqua avevano formato tanti piccoli cerchietti ed in gruppo si spostavano da una parte all’altra della superfice. Maria ci spiegò che quelli erano occhi invidiosi  e parole cattive delle persone attorno a me. Non ero molto convinta di quello che stavo vedendo, ma in ogni caso, lo accettai come vero.
Quel rito durò per qualche minuto successivo, poi Maria sputò nel piatto e andò a buttare tutto nel water. Tornando si fermò a dire una preghiera.
Maria riprese il rito con mia sorella, con le stessa sequenza, concludendo poi nuovamente con una preghiera.

“Mi raccomando, mettete o santin n’piett,”. ( Mi raccomando ora mettete un santo sul petto).

Mia nonna ringraziò, salutammo ed uscimmo accompagnate dai gatti.
Ritornammo dalla Signora Maria altre due volte, la leggenda del malocchio vuole che il rito si effettui per tre volte consecutive, per eliminare del tutto le energie negative.
Dopo quella esperienza ricordo che mi ammalai ancora, fino a quando il mio medico non decise di asportare le tonsille, l’unica causa della mia salute cagionevole.

 

Ora incuriosita da quei ricordi, ho provato a cercare quali fossero esattamente le parole pronunciate dalla signora Maria durante il rito, ma purtroppo non ci sono notizie in merito.
Si narra che la persona che pratica il rito contro il malocchio abbia una sensibilità particolare e che quello sia un rito che venga tramandato di generazione in generazione e solo in punto di morte viene trasmessa l’eredità inclusa di “parole magiche”.
Sapete non mi importa sapere se il malocchio esista oppure no, mi piace pensare di aver preso parte a qualcosa di inspiegabilmente speciale e magico.

 

 

Raf

Dont’ forget to smile