Il viaggio

La schiena viene spinta sullo schienale, inevitabilmente nello stomaco succede qualcosa che è pari alla sensazione che provi andando sulle montagne russe al parco dei divertimenti, piano piano senti che la velocità aumenta e che il grosso bolide inizia a staccare le ruote dal suolo. Per tutto il tempo che l’areo prende quota sento di viaggiare in obliquo, ed è una sensazione divertente, ma poi l’aereo stabilisce la sua posizione e mi accompagna al raggiungimento del sogno.

Da quando viaggio ho sempre preferito il posto vicino al finestrino, anche se lo ritengo molto scomodo…soprattutto per la mia vescica, ma mi affascina sempre quello che vedo quando punto il mio sguardo al di là del vetro. Le domande, le constatazioni che accompagnano la prima parte del mio viaggio sono sempre le stesse.

“Che belle le nuvole… 

ma come cavolo fa sto coso a volare?

Che meraviglia la mente umana…. Uh guarda quella nuvola sembra un dinosauro, no forse un rinoceronte..

Chissà cosa succederebbe se mi lanciassi da questa altezza coprendomi il viso e usando il plaid e il cuscino come paracadute…cercherei di spingermi verso il mare, nuotando in aria…”

Ecco, queste sono piu’ o meno le cose alle quali penso, fino a quando la gentile hostess interrompe le mie superlative riflessioni, chiedendomi se gradisco qualcosa da bere.

“Acqua grazie”.

Non vedo l’ora di poter gridare: “Americaaaaaaa”,  come ho visto fare in più di un film, ma 8 ore e 15 minuti, devono trascorrere affinché possa lanciare il mio acuto con quella miriade di aaaaaaaaaaa, e sono solo trascorsi 55 minuti, circa.

Bisogna stare comodi, allora tolgo i miei bellissimi hugg rosa, infilo “il calzino da aereo”, in modo da lasciare il piede libero e in modo che lo possa appoggiare ovunque. Inizio a fare zapping per capire quale film posso vedere. Questo aereo ha ancora il telecomandino per variare le impostazioni, quindi dopo averci litigato un po’, scorro con il cursore:

Perfetti sconosciuti – visto

Tre manifesti a Ebbing Missouri – visto

Thor – Visto

I guardiani della galassia 2 – visto

ad un certo punto perdo le speranze, e penso ” wow ho visto tutti questi film? Ma ne ho visti io tanti o qui c’è poca offerta? “.

Mentre cerco di dare una risposta al dubbio amletico, continuo a scorrere il menu e la gentile hostess mi consegna un vassoietto, con due scodelline di plastica e chiedo :

“Mi perdoni già si cena?” La risposta è : “In realtà è un pranzo in ritardo.” e si allontana con un sorriso. 

Sono le 17.10 ora italiana.

Ovviamente non ho necessità di cibo in quel momento , ma la mia curiosità mi spinge ad aprire le scodelline di plastica per scoprirne il contenuto. Riso basmati bianco, con una sorta di verdurine bollite messe in un angolo, altra scodellina insalatina con sopra una metà di un uovo sodo, e un formaggino, pane e posate. L’odore di queste pietanze messe insieme non è accattivante, aggiungo che anche l’aspetto non lo è per cui …lascio il vassoietto sul tavolino, e continuo la ricerca del mio film.

Quando sono in viaggio non sono solita fare chiacchiere con chi mi siede di fianco, mi sembra di disturbare, ma questa volta il posto accanto al mio è occupato da una campana. Iniziamo a chiacchierare facendo commenti sul “pranzo in ritardo” appena consegnato. Noto subito che il suo accento mi è familiare. Beatrice, ha 24 anni papà salernitano e mamma americana. Ha vissuto fino ai 12 anni in Campania poi i suoi genitori si sono separati e lei ha seguito la madre negli Stati Uniti dove ha vissuto e studiato. Beatrice è stata un po’ con il papà, ed ora rientrava a New York per iniziare a cercare lavoro. Le racconto qualcosina di me e poi le consiglio di vedere assolutamente un paio di film. 

Appoggio la testa al finestrino e il mio sguardo inevitabilmente volge oltre quel vetro, e si perde nel blu di quel cielo che nasconde tanti segreti e tanta bellezza, provo a chiudere gli occhi per riposare (sono 13 ore che sono sveglia), ma nulla …l’adrenalina troppo alta.

Appunto qualche pensiero nel mio quaderno, prendo la guida della città per cecare di programmare i percorsi migliori, riafferro il telecomando e faccio iniezione di film: La battaglia dei sessi, Assassinio sull’Orient Express. Tra un film e l’altro arriva anche la cena composta da scodelline simili al “pranzo in ritardo”, trattengo il panino e i biscotti, lascio il resto.

Sono trascorse quasi 6 ore. Fuori c’ è ancora luce. L’altra parte del continente si sta svegliando mentre l’Italia è sotto la guida di Morfeo.

Le mie gambe reclamano un po’ di movimento. Lascio il mio posto e resto un po’ in piedi nel corridoio.

Osservo. Ascolto.

In questo aereo c’è una parte di mondo.

Se tendo l’orecchio ad ascoltare mi accorgo che lingue diverse, paesi, culture diverse viaggiano con me. Il mondo in viaggio. E’ bellissimo osservare chi dorme con la bocca aperta, la testa appoggiata al sedile, un po’ inclinata in un lato. La fidanzata praticamente accasciata sul fidanzato, che per non svegliarla non fa il minimo movimento. Il tizio in fondo con le cuffie che russa come se non ci fossero 500 persone con lui. Di un giovane riesco a vedere solo la punta del naso, tutto il resto del viso e del corpo sono coperti dal cappuccio della felpa e dalla copertina. In aereo la temperatura è sempre molto fredda. In prima fila una mamma che coccola la sua piccola, che dorme beata. Qualcuno si alza per stendere la schiena, qualcuno legge un libro.

Sorrido. Sorrido perché penso che viaggio con il mondo, che in 8 ore ho la possibilità di conoscere varie culture….diciamo…

Ci siamo quasi.

Mi rinfresco: lavo i denti, il viso, metto la crema idratante, lavo le ascelle ( per sicurezza), che confesso, attività non  facile nel bagno dell’aereo, deodorante e sono rinata e pronta a presentarmi alla Grande Mela.

Ritorno al mio posto.

Le hostess dopo aver cercato di vendere i vari profumi, con lo sconto del 20% per i possessori di “millemiglia”, consegnano quel meraviglioso modulino, che personalmente adoro,  quello della Dogana, in cui devi dichiarare se porti con te cibo, vino, ortaggi, droghe, ma la parte che mi diverte è quella in cui viene chiesto se soffri di disturbi pischici, se hai mai ucciso qualcuno, se sei un terrorista, se fai uso di sostanze stupefacenti. Mi chiedo se io facessi una di queste cose lo segnalerei nel modulino?….

Mah.

Il comandante annuncia che siamo pronti all’atterraggio.

Il mio sguardo è  fisso fuori dal finestrino. Quello che vedo mi emoziona ancora di più.

Una distesa di piccole lucine che mi entrano negli occhi, e mi lasciano senza fiato. Intanto le ruote hanno toccato il suolo, e sembra partire dal fondo, un piccolo applauso, che, per fortuna subito stroncato, il solito italiano…

Non sto più nella pelle.

Sono finalmente a New York.

Esco dall’aereo e seguo la folla che si dirige ai controlli di rito “Citizen” or ” Visa”, insomma cittadini, o persone provviste di visto per entrare negli Stati Uniti.

Finalmente è il mio turno. Mi accoglie un tipo mooolto carino, che mi parla talmente veloce che ovviamente non capisco nulla. ma seguo i suoi gesti… faccio il controllo delle impronte digitali e la scansione degli occhi. Poi mi chiede se ho vino, alimenti, e soldi…mi lascia andare con un sorriso e mi dirigo al ritiro bagagli…

Intanto riaccendo il telefono e mi arriva un messaggio:

Welcome.

Sorrido.

La mia valigia blu finalmente è sul rullo. La raccolgo e di corsa mi dirigo fuori, attraverso una folla di persone. 

Sono fuori e respiro profondamente l’aria della Grande mela, quell’aria che ho solo potuto immaginare per anni, guardando i film e sognando.

Ora sono proprio lì…

Una via vai di taxi e di persone, sembrano andare a 3000 all’ora, e poi arriva lui…il mio americano, con cappello, guanti. Mi abbraccia mi sorride e in un attimo siamo in macchina.

“Welcome to New York Raf”.

 

Raf 

Don’t forget to smile

 

 

La partenza

Tutto inizia quando Alitalia ti scrive… “Ricordati di fare il check in”.
Non so se vi capita, ma dopo aver letto questa mail, a me il cuore inizia a battere forte, la mente inizia a fare un sacco di giri, e un improvviso sorriso ebete mi appare sul viso…, non che lo veda…ma è un’azione meccanica…diciamo che lo sento.
L’emozione del viaggio….
L’attesa diventa essa stessa il piacere…ha detto qualcuno.

ll dramma si svolge dinnanzi alla valigia vuota.
“Ed ora come la riempio?” il dubbio amletico balena nella mente come uno starnuto all’improvviso.
Dopo aver visto le previsioni del tempo, chiesto ad amici e parenti, google cambia opinione ad ogni click, il quesito resta senza risposta fino all’ultimo giorno pima della partenza.

Da sempre ho l’abitudine, per paura di dimenticare le cose importanti, di preparare una lista delle cose necessarie e che poi depenno una volta raccolte sul divano. Il mio divano infatti, diventa un campo minato ..magliette, felpe, pantaloni, medicine, accessori vari, scarpe.. Il tutto organizzato per giorni..
Mi spiego meglio.

Per non impazzire e mettere cose a caso, preparo gli abbinamenti per il vestiario.. ad esempio.
Lunedi mattina – jeans maglietta bianca con felpa grigia. 
Lunedi sera – leggins con top.
Insomma giorno per giorno senza rischiare di aggiungere in valigia cose che magari poi non uso. Da quel momento in poi procedo con la doppia spunta:
Medicine prese ok.
ciabatte scarpe e l’occorrente per l’igiene personale…. ok.
sciarpa rosa giubbotto grigio… ok.
Come dicevo tutto sapientemente e doppiamente spuntato non appena riposto in valigia.
A questo punto ti domandi :” Ma quanto peserà?”
Il dubbio ti assale insieme al panico. Alitalia permette il carico da stiva fino a 23 kg.
La meravigliosa bilancia che interrogo tutte le mattina in merito al mio peso, riposta in bagno, che tutte le mattine mi prende per i fondelli, comunicandomi   che dovrei mettermi a dieta, ha deciso di non funzionare, batterie scariche…per cui non ho nessun tipo di riscontro.

Stimo a mano 16/17 kg, ma non posso rischiare.
Piano b – bagaglio a mano.

Alitalia oltre al tuo bagaglio personale, ti permette di portare un bagaglio a mano.
Borsa Adidas, quella che si usa per andare in palestra, ci infilo magliette pantaloni e intimo…perfetto è leggera rimane anche spazio per eventuali gadgets e non è troppo pesante per la mia schiena. Nella valigia il resto scarpe giacche e qualche felpa. È fatta!
Ultimo controllo di rito sembra ci sia tutto .

Consapevole che la metà delle cose che ho inserito non mi serviranno…ma “just in case”.

Sono le 23.15 del giorno prima della partenza. Di dormire non se ne parla. Cosa faccio? Pulisco casa.
Tutte le volte che devo partire mi piace pulire casa…si lo so è una cosa da matti, ma il pensiero di rientrare dal viaggio e trovare la casa  in disordine mi crea stress mentale …

ore 00.34

La casa è perfettamente pulita e in ordine, ma dormire…anche no.

Devo fare una cosa importante. 

Scrivo le mie ultime volontà, la mia bella letterina, scaramantica,

“Nel caso in cui non dovessi tornare da questo viaggio sappiate che sono felice ma per comodità sappiate chei codici del mio conto corrente sono qui….blablabla”, non che sia una miliardaria anzi, ma la burocrazia italiana è talmente pesante che anche per prendere due euro da un conto, devi fare una trafila pazzesca, e lo so bene lavorando in banca. Firmo la lettera metto la data. Invio un messaggio a Giovanni e a mia sorella indicando dove ho riposto la lettera… Mia sorella mi ha mandato a quel paese, Giovanni più diplomatico mi ha augurato buon viaggio…

Credo di aver fatto tutto, posso andare a dormire tranquilla…..ahahahah .

Certo come no, sveglia alle 5 con l’aereo in partenza alle 14.45…non ho chiuso occhio facendo il ripasso di tutto quello che avevo preso e pensando a cosa mi fossi dimenticata…

Mi doccio, mi depilo, passo la piastra ai capelli, alle 8.30 sono fuori casa.. con valigia borsa e zaino con il mio amico computer.
Alle 9.30 prendo il trenino che dalla stazione di Trastevere arriva a Fiumicino aeroporto.

Mi godo il primo piccolo viaggio in treno. Mi godo il paesaggio romano dal finestrino. Osservo le persone ferme sulla banchina ad aspettare il proprio treno. Donne con il tailleur pronte per andare in ufficio, uomini con tuta blu da lavoro, anziani signori che forse devono raggiungere i propri nipotini al parco.

Il treno è vuoto. Nel posto di fronte al mio un signore gigante, con altrettanti valige giganti, è italiano, del nord, l’accento è inconfondibile.

Trascorrono 25 minuti ed il treno effettua la sua ultima fermata: Fiumicino.

Sono in perfetto orario, cioè in anticipo, ma con calma e senza fretta seguo le indicazioni che mi conducono all’interno dell’aeroporto, Terminal 1, volo alitalia.

Dopo aver camminato su 7/8 tapis roulant, un paio di ascensori, e lunghi corridoi, arrivo alle postazioni alitalia.

Per sicurezza chiedo all’omino che sta fermo davanti all’ingresso:

” Mi perdoni è presto per effettuare il check- in?” e lui con sorriso falso come le borse di Chanel al mercatino di porta portese, mi dice :

“Lei viaggia in first class” ? ed io: “No, viaggio normale” lui mi sorride ancora e dice:

“Allora deve andare più avanti” ringrazio e vado via pensando che quel tizio ha avuto la capacità di farmi sentire una merda.. ma l’entusiasmo resta alto.

Dopo aver fatto la trafila per il check -in  ( la valigia solo 13 kg), aver superato tutti i controlli, e aver attraversato altri 26 corridoi, arrivo al gate 4 e attendo soltanto 3 ore prima che indichino l’imbarco del mio volo. 

Un sms, qualche telefonata, il mio libro, il tempo scorre lento. Mi diverto ad osservare il via. vai delle persone che corrono, bambini che dormono coccolati dall’abbraccio della propria madre, gruppi di giovani pronti per la loro prima gita scolastica, turisti che rientrano a casa dopo aver visitato Roma, una squadra maschile di basket. L’aeroporto è un micromondo, penso.

Intanto sui tabelloni girano numeri e nomi di destinazioni.

” Volo alitalia 6670 per New York aperto imbarco gate 14″, oh finalmente,  mi preparo e mi dirigo verso il gate indicato. Sono emozionata, non vedo l’ora, un altro sogno sta per realizzarsi.

” Prego, buon viaggio”, l’hostess mi fa accomodare nel tunnel che conduce all’aereo. I miei passi sembrano rimbombarmi nel cervello, o forse è solo il ” tubo” del tunnel che crea uno strano effetto sonoro ad ogni passo. Non mi importa sono felice.

Posto vicino al finestrino.

Cintura allacciata. Inizia il rullaggio.

Si parte.

 

Don’t forget to smile

Raf

The wish bracelet – Seconda parte

Lo sentivo, era ancora sul mio viso, il tepore del sorriso del sole, ed intanto, per i miei occhi scorreva una pellicola di un film già visto, un pezzo di una mia vita passata.. quel film andava goduto fino alla fine….mi lasciai coccolare da quel sorriso…e da quel tepore e intanto le immagini andavano….spedite.

Una circolare scolastica stabilì che da quel giorno in poi gli alunni di tutte le classi, avrebbero dovuto attendere nell’atrio la campanella della prima ora, affinché non si entrasse in classe prima delle maestre e rimanere quindi senza sorveglianza a bighellonare fra i banchi. Dalle 8.00 alle 8.30 tutte le mattine eravamo tutti nell’atrio, sapevo che avrei potuto sfruttare quella occasione….certo, attesi il giusto momento, ed il coraggio che si impossessasse di me…

Quel momento arrivo’.

Una mattina, l’orologio sulla parete della postazione del bidello Ciro, segnava le ore 8.23. Quelle lancette giganti erano ipnotizzanti.Qualcuno dal fondo gridò: “Forza bimbi in fila per due”. 

Una massa di ragazzini , come ogni mattina iniziò a muoversi come da indicazioni. Quella mattina qualcosa mi suggerì che era il momento giusto. Anto ed io ci muovemmo per metterci in fila e con la coda dell’occhio vidi un’ombra che da dietro, con uno scatto raggiunse la nostra postazione.

Uh porca vacca, pensai.

In men che non si dica Lui era dietro di noi: “Ciao”, mi disse “Ciao” risposi e continuai presa da un folle attimo di coraggio: “Ma tu ne hai di questi? “ e gli mostrai il polso con i braccialetti che avevo fatto e lui con sguardo curioso ed interessato mi disse:

“No perché?”

era la mia occasione, frugai nelle tasche del grembiule dove da giorni erano custoditi i braccialetti che avevo assemblato con il supporto della nonna e ne presi un paio, gli diedi la possibilità di scegliere il colore preferito e poi dissi : “Aspetta te lo lego io, devi esprimere 3 desideri che si realizzeranno quando il braccialetto si romperà o se te lo farai strappare dalla persona che ti piace”. L’ho detto , pensai, l’ho detto… e tutto in un fiato, ero fiera di me ed intanto ero intenta a fare il nodo a quel braccialetto di cotone che avrebbe dovuto realizzare anche i miei di desideri. Suonò la campanella, lui mi sorrise ed in fila per due percorremmo le due rampe di scale più lunghe di sempre. Lui era sempre dietro di me, ridevamo ci punzecchiavamo, Anto ed io …i nostri sguardi erano chiacchieroni…

Tutti in classe, Anto ed io non smettevamo di distrarci fino a quando, finalmente, la campanella dell’intervallo suonò. La solita passerella per andare al bagno, ed eccolo con il suo sorriso meraviglioso che mi fa un cenno alzando il polso per mostrare il braccialetto…come per dire…” Eccolo sta qui”..woow il mio cuore pompava che pensavo si sentisse anche fuori di me, che sciocca.

Dopo quel giorno iniziarono ad accadere delle cose strane…non proprio strane, insomma piacevoli ma strane.

Iniziarono ad arrivarmi in classe dei bigliettini. Il primo mi fu consegnato da Antonella che le era stato dato da una bambina della seconda A, alla quale era stato dato da un bambino della seconda B, ma non ne riuscimmo a capire l’origine.

“Sei bellissima”.

 Arrossì nel leggerlo. Iniziò la caccia all’uomo. Inutile dire che speravo tanto fosse Lui. Quando chiedevo in giro per tentare di capire chi fosse l’autore di quei bigliettini, mi accorsi che c’era un’omertà da fare invidia ai protagonisti dei film del Padrino parte uno due e tre. Ma questo non mi scoraggiò. Intanto approfondivo la mia amicizia con Lui che mi sorrideva tutte le mattine e correva per salire le scale dietro di me, ma non riuscì a capire se fosse l’autore di quei bigliettini. 

Trascorsero un paio di settimane, Lui ed io eravamo ormai amici. Ci aspettavamo la mattina per entrare insieme, ci vedevamo durante l’intervallo, ci aspettavamo all’uscita dove ci intrattenevamo qualche minuto prima di tornare a casa. Mi piaceva, mi piaceva proprio.

Una sera prima di addormentarmi, una fuga di pensieri incasinava il mio cervello. Cosa avrei potuto fare per farglielo capire, quale stratagemma avrei potuto organizzare, cosa avrei potuto dirgli,  Forse posso scrivergli un bigliettino e metterglielo nella tasca del grembiule, forse posso prendergli il diario e scrivere qualcosa di carino…. 

Mi arrovellai in una notte di pensieri assurdi, e strategie inutili, e poi c’erano i bigliettini.

“Mi fai vedere il tuo braccialetto” gli chiesi mentre si parlava di qualche cavolata e lui sollevo’ il polso:

“Un po’ sfilacciato, te lo strappo?” lui mi sorrise, sapeva bene che se avesse acconsentito avrebbe confermato che gli piacevo, in qualche modo si sarebbe “compromesso”, mi disse: “Vai”.

Gli sorrisi e senza esitare con uno strappo deciso staccai il bracciale dal polso e dissi: “Ora i tuoi desideri si realizzeranno”, feci per restituirgli il bracciale e lui mi chiese di custodirlo che un giorno me l’avrebbe chiesto.

Ero felice, quel braccialetto, in quel momento per me, era il dono più prezioso che avessi mai potuto ricevere, insieme ad un altro bigliettino tutto colorato con i pastelli a cera con su scritto:

“Ti voglio bene”

 

To be continued

Raf

Don’t forget to Smile

 

 

 

 

The wish bracelet – Ultima parte

“Ti voglio bene”.

Le tre parole piu’ dolci di sempre, ma chi era l’autore. Ero anche in imbarazzo perché Lui non sapeva di questi bigliettini furtivi che mi arrivavano di tanto intanto, e mi sentivo come se in qualche modo lo stessi tradendo, anche se non era così. In fondo noi eravamo solo amici.

Quel giorno le maestre ci congedarono augurandoci Buona Pasqua, ed io Lui e Anto ci trattenemmo un po’ di più all’uscita di scuola. La giornata era meravigliosa, il tepore primaverile ci permise di stare senza giacche. Dopo qualche chiacchiera veloce, Anto ci salutò lasciandoci soli.

 

Un pallone raggiunse la mia schiena, dandomi uno scossone, mi voltai restituì il pallone, mi appoggiai nuovamente sul lato sinistro, poggiando la mano sotto la guancia a mo’ di cuscino…ed il mio film riprese….

 

Non era mai capitato che fossimo rimasti proprio soli soli, o c’era Antonella, o altri bambini intorno a fare confusione. Ma quella volta eravamo proprio soli soli, forse erano passate le 13.3o. Eravamo noi due ed il sole e di salutarci proprio non ne avevamo voglia. Stavamo lì sul muretto dell’ingresso della scuola a chiacchierare e a fermare il tempo, fino a quando Lui mise una mano in tasca e di getto mi diede una busta contenente una lettera ed un oggetto. Arrosiì e chiesi cosa fosse, ma non mi rispose, mi diede un bacio sulla guancia e mi disse:

“Apri”.

Porca miseria era emozionatissima. Una lettera…riconoscevo quella scrittura…lo sapevo me lo sentivo che lo sconosciuto dei bigliettini era proprio lui….Insieme alla lettera c’era un oggetto. Era una spilla con la forma di un cuore con le ali dei colori dell’arcobaleno. Gli sorrisi e lessi la lettera:

“Mi piaci tanto, ti voglio bene, scusa se mi sono sempre nascosto, questo cuore con le ali è quello che sento  per te”

Lessi non una volta quelle parole scritte con la penna blu, fuori dalle righe del foglio strappato di un quadernone.

Allora lo feci, indossai quella spilla sul grembiule dalla parte del cuore e conservai la lettera mettendola nel diario. Gli chiesi di strappare il braccialetto che avevo sul polso, che di rompersi non ne aveva intenzione, ma con uno strappo netto venne via. “Tienilo tu” gli dissi. Lui sorrise e con lo sguardo basso, e intimidito mi disse:

“Ma quindi ora stiamo insieme? senza pensarci risposi : “Che ne so, bho tu che dici?” e presi totalmente dall’imbarazzo iniziammo a ridere, felici.

“Bimbi che fate ancora qui, forza andate a casa che si è fatto tardi”, la voce del bidello Ciro interruppe il nostro idillio.

Allora Luigi mi disse: “Dai ti accompagno fino alle strisce pedonali”  e mi prese la mano. Ero felice, il braccialetto aveva funzionato, e lungo il tragitto Lui mi disse: “Grazie per il braccialetto, devi farmene un altro ho altri desideri da esprimere”. 

“Quindi qualcuno lo hai realizzato? Chiesi incuriosita.

“Si uno lo tengo per mano” ero la bambina più felice del mondo…attraversai la strada ci salutammo, e lungo il marciapiede mi voltai per guardarlo e mi accorsi che Lui mi guardava…sollevai la mano per salutarlo ancora e gli urlai:

“Ci vediamo domani ai giardini della chiesa” e lui urlando allo stesso modo mi rispose di si.

Ero felicemente, incondizionatamente persa per quel bambino dal sorriso meraviglioso….

Il sole aveva cambiato colore, il suoi raggi avevano iniziato a raffreddarsi, l’aria diventava frizzantina. Aperti gli occhi, sollevai la schiena, restando seduta, ripensai a quel periodo e a cosa stesse facendo Luigi in quel momento…e come si fosse evoluta la sua vita…pensai a quel sorriso….

Lasciato il parco con una breve passeggiata mi diressi a casa di Simona per una cena con gli amici del gruppo “No +1″…Dopo sorrisi e svariate chiacchiere ed i commenti sul fantastico cibo preparato da Simo, successe qualcosa che mi lasciò senza parole.

Alessandra con il suo sorriso contagioso mi disse:

“Raffa finalmente ho ripreso a leggerti e questo è per te”,

mi legò al polso il braccialetto dell’amicizia, non era quello di cotone, ma fatto con le perline… anche lei sapeva del braccialetto, anche lei come me probabilmente aveva una storia da raccontare grazie a quell’oggetto, chissà da chi lo aveva ricevuto, o se lo aveva comprato, o se l’aveva trovato in qualche scatola  dei ricordi…. sarebbe stato interessante scoprirlo,

 

ad ogni modo quel gesto mi riempì il cuore di gioia e mi catapultò nuovamente in quella vita passata e a quel sorriso del mio Lui, che mi aveva messo le ali al cuore.

 

Don’t forget to smile 

Raf

 

The wish bracelet

Quel bracciale dei desideri… la mia speranza di aver preso il posto nel suo cuore.

Una giornata in cui il cielo di Roma era meravigliosamente terso, me ne stavo li’ distesa sul prato a godermi il mio tempo libero. Finalmente mi ero fermata per ascoltare i miei respiri. Qualche volta ne ho bisogno, spesso. Intorno a me la natura parlava e acuendo i sensi potevo sentirla. Il vento tra le foglie in bilico sui rami, qualche insetto che si faceva spazio nell’erba. Il tepore del sole conciliava il mio riposo, fino a quando una coppia di adolescenti attirò la mia attenzione. Lei sorrideva come se avesse avuto in dono un’altra vita, lui come se la stesse vivendo. Uno scambio di dolci sguardi e lui mise la mano destra nella tasca da cui estrasse un braccialetto di quelli fatti a mano di cotone colorato poi prese il polso di lei, dove con cura adagiò il bracciale e lo legò. Un’immagine bellissima, il sole faceva da cornice a quel gesto così perfetto, romantico…lei non smise mai di sorridere e donò un tenero bacio, timido, furtivo a quel ragazzo, come se con quel bracciale le loro vite fossero state unite per sempre…

Immediatamente mi resi conto di aver visto quel tipo di bracciale, ma quando…

Mentre i due adolescenti si allontanarono mano nella mano, mi sdraiai a fissare per quel che potevo il cielo…il mio sguardo mi condusse a quel giorno…il mio giorno perfetto.

La campanella dell’intervallo finalmente suonò Antonella ed io saltammo via dai banchi e iniziammo a gironzolare per la classe, e poi, come da nostra abitudine, andavamo in bagno, non soltanto per fare la pipì, ma per sbirciare nelle altre classi lungo il percorso prima di arrivare al bagno, questo prevedeva una lenta ma lenta camminata. Il bagno era il nostro quartier generale per confrontarci su chi avevamo visto..ed il piano da attuare per il ritorno, per farci notare prima di entrare in classe, dal ragazzino che ci interessava. Le strategie erano svariate, tipo sistemarsi il grembiule davanti all’ingresso di una classe in particolare, o offrire una bigbabol  (gomma da masticare)al primo essere umano che passava. Talvolta queste strategie avevano successo, talvolta fallivano miseramente.

 Poi un giorno lo notai, bruno, occhi scuri, sembrava più alto di me ed un sorriso che mi ghiacciava il sangue e mi mandava in disibilio il cuore: Luigi, classe seconda elementare sezione A, il bambino più bello della scuola per me, si avvicinò chiedendomi una bigbabol, impietrita come un’automa provai a mettere la mano nella tasca del grembiule, ma quello che estrassi fu solo una gomma per cancellare profumata alla fragola che gli porsi dicendo :

” Certo, tieni”…

Il mio sguardo dal suo viso passò sulla mia mano…arrossì e riposi la mano in tasca, alla ricerca di ciò che mi era stato chiesto…trovai…….il nulla…“Scusa le ho finite”, dissi con un sorriso falso  (pensai cavolo le ho finite proprio ora)….e la campanella che segnalava la fine dell’intervallo, mi salvò, corsi via più veloce del vento…Durante le due ore successive il mio corpo era in classe ma la mia testa era altrove, di tanto in tanto Anto mi dava dei pugni sotto il banco per farmi disincantare…cioè rimanevo con lo sguardo fisso nel vuoto e lei mi dava una botta per farmi rinvenire. I giorni seguenti evitavo di uscire, o prima di farlo mandavo Anto in avanscoperta. Ma non era facile rimanere defilata. Più cercavo di evitare di incontrare quello splendido sorriso, più me lo ritrovavo davanti…

Un giorno feci una scoperta. Alcune compagne di classe durante l’intervallo restavano sedute e preparavano dei bracciali che avrebbero regalato, in quel periodo erano ricercati e mi feci spiegare ogni cosa. Con il nastro adesivo fermavano sul banco tre ciuffi di cotone che precedentemente avevano tagliato prendendo la lunghezza del proprio polso, di tre colori diversi, poi iniziavano ad intrecciare per tutta la lunghezza fino a terminare il lavoro con un nodino per bloccare la treccia. Il risultato era carino, ed alcune delle mie compagne di classe ne indossavano svariate tipologie. Ma la cosa che di più attirò la mia attenzione fu la storia che si celava dietro quei bracciali…

“Allora io te lo faccio tu lo indossi,  ma te lo deve chiudere qualcuno che ti piace o la tua amica del cuore ed esprimi il desiderio che si avvera soltanto quando il bracciale si romperà da solo, se invece te lo strappa qualcuno che ti piace il desiderio che hai espresso si avvera prima, hai capito?”

Feci un cenno con la testa che non era identificabile con un Si ne con un No.

Non mi era ben chiaro il tutto, ma perché non provare. Il pomeriggio stesso dopo pranzo, presi alla nonna dei rocchetti di cotone e scegliendo l’azzurro il rosa ed il bianco inizia a tagliarne la quantità giusta per due bracciali. Non avevo il nastro adesivo e chiesi alla nonna di tenermi i tre ciuffetti di cotone per entrambi i bracciali.

“Nonna se mi vengono bene te ne regalo uno”

La nonna : “Eh a nonn nun te preoccupa’ c’aggia fa cu stu cos me da impicc” ( Non ti preoccupare che devo fare con questo coso, mi da fastidio). Molto bene, ma la nonna non uccise il mio entusiasmo.

I miei due bracciali in men che non si dica erano finiti. Mi sentivo soddisfatta. Avevo fatto un buon lavoro.

To Be Continued

Don’t Forget to Smile

Raf

 

 

 

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Audizioni – attori e attrici

Per uno spettacolo teatrale previsto al Prati di Roma da metà gennaio
a fine marzo 2018,

si cercano un attore tra i 40 ed i 50 anni
e un’attrice tra i 35 ed i 45 anni.
Si ricercano professionisti.

– Uomo tra i 40 e i 50 anni
– Donna tra i 35 e i 45 anni

Gli interessati devono possono candidarsi inviando la consueta
documentazione (foto, curriculum, dati personali) a:
teatroprati@libero.it

FONTE blastingnews.com

Regina – Revolutions

Regina rientra a Napoli, con una valigia ricca di esperienza e di sogni ed un portafoglio un po’ piu’ gonfio. I giorni passano.  

Regina riprende a lavorare in libreria ma è concentrata su una sola cosa… Il festival della canzone italiana tenuto a Sanremo. Non vede l’ora.

Il suo giorno libero decide di andare a fare shopping, doveva andare al festival non poteva presentarsi con uno straccetto qualunque ne occorreva qualcuno nuovo.

Nonostante avesse una disponibilità economica piu’ importante Regina non è abituata a spendere molti soldi per il suo abbigliamento, quindi accompagnata da sua madre e dalla sorellina, entrano ed escono dai negozietti dove puoi acquistare vestiti carini senza dover fare un mutuo.

Regina acquista 5 abiti spesa totale 138 euro. Felicissima rientrata a casa inizia a preparare gli abbinamenti con le scarpe anche queste acquistate in un negozio chiamato “Schizzetto”,( negozio in cui si trovano scarpe di tutti i tipi, per tutte le tasche, a volte scarpe bizzarre).

Ogni gesto è curato nel riporre nella valigia le sue cose. 

La notte è lunghissima, poi finalmente si parte. Ed ecco Regina nuovamente a Sanremo per la seconda volta in un mese.

L’Hotel Europa l’accoglie sempre in modo affettuoso e le ha riservato la stessa camera dell’ultima volta, quella con la vista sul mare.

Alberto si è già fatto sentire per organizzare le cose al meglio.

Regina trascorre l’intero pomeriggio a prepararsi all’evento. Cura tutti i particolari estetici, partendo dai capelli fino ai piedi. Indossa i vari vestiti facendo le prove per sedersi, per presentarsi a colui o colei  che le sarebbe stato seduto accanto durante lo show.

Un trillo di telefono l’avvisa che all’ingresso c’è una macchina ad attenderla.

“Wow una macchina per me”, non riesce a crederci.

Prende la sua borsetta, il suo scialle di pizzo nero e si precipita in ascensore.

Ad attenderla Alberto in smoking.

“Regina stai benissimo” si complimenta Alberto, la sua espressione è più chiara delle parole appena pronunciata.

“Anche tu, grazie per essere passato a prendermi, non me lo avevi detto”.

“Sorpresa!” risponde.

Entrambi sorridono.

Regina rimane estasiata alla vista dell’auto nel quale sarebbe salita. Una limousine degna di un film Holliwoodiano. Non crede di riuscire a gestire tutte quelle emozioni tutte insieme, tiene stretto il ciondolo, come alla ricerca di sostegno e respira.

All’interno della grande auto ci sono altre persone che Alberto presenta come colleghi e rispettive consorti. Regina con fare elegante (o almeno ci prova) tende la mano per la presentazione e sorride dicendo: “Molto lieta” (proprio come aveva provato qualche ora prima nella sua camera in Hotel)

Cerca di mantenere la calma, di respirare a fondo e di guardare fuori dal finestrino. Quello che vede la terrorizza piacevolmente.

Una folla immensa accalcata davanti alle transenne che delimitano il tappeto rosso che arriva all’ingresso del Teatro Ariston.

L’auto si ferma ed il conducente apre la portiera dell’auto. Regina è l’ultima ad uscire per la posizione in cui è seduta, e questo le permette di osservare il comportamento delle persone che la precedono, in modo da poterlo imitare.

Il cuore in gola, fa fatica a muoversi. Alberto le porge la mano per aiutarla a scendere. Il vestino nero lungo di pizzo si impiglia nei tacchi, lo scialle le scivola dalle spalle… un grosso respiro e finalmente Regina prende possesso del tappeto rosso accompagnata da Alberto.

Le luci sono abbaglianti, l’ingresso del Teatro Ariston le sembra l’ingresso del suo paradiso.

“Vuoi vedere come funziona questa enorme macchina?” le chiede Alberto.

“Scusa?” 

“Ti va di venire dietro le quinte, a sbirciare, poi ti accompagno al tuo posto”.

“Ma dai sul serio, certo che voglio venire, quando mi ricapita.” Regina non aspettava altro che curiosare.

Il dietro le quinte è un viavai di gente, che corre a destra e a manca. Tecnici con le cuffie che indicano l’orario di inzio del telegiornale, prova microfoni, sarte che vanno in giro con abiti e pezzi di stoffa sulle spalle, cavi elettrici sparsi ovunque. Una sala grande è attrezzata con del cibo e delle bevande, Aberto invita Regina a prendere qualcosa ma non le va, quelle emozioni la saziano.

“Alberto ma dimmi una cosa i presentatori da dove escono” chiede Regina.

” Vieni ti faccio vedere”, e Alberto conduce Regina ad una scalinata.

“Wow” esclama Regina, “Eccola la famosa scalinata che spaventa tutte le presentatrici e le modelle, hanno proprio ragione”.

Intanto qualcuno chiama Alberto urgentemente, Regina intuisce che sta succedendo qualcosa perché sente parlare ad alta voce, probabilmente tutto normale visto che c’è una diretta televisiva da fare.

Regina ripensa a quante volte con la nonna ha fantasticato su quel festival ed ora è li, proprio li.

Regina prende il ciondolo, lo avvicina alla bocca e sussurando dice: “Nonna hai visto dove ti ho portato, le promesse sono promesse, finalmente siamo qua al festival di Sanremo…. Signori e Signore ecco a voi Regina Esposito” poi sorride e riprende a guardarsi intorno, attendendo che Alberto le dica qualcosa.

Alberto ritorna e affannato le dice che ci sono dei problemi con la presentatrice, qualche ora prima durante le prove ha discusso sia con il regista che con il presentatore a causa dei suoi continui ritardi e per il fatto che non aveva studiato la scaletta, ed ora era andata via, facendo comunicare dal suo agente che non era intenzionata a tornare, annullando il contratto.

“O porca vacca, e lo può fare?”

“Certo, pagherà una penale ma evedentemente non è un problema”. risponde Alberto preoccupato.

“Il pane a chi nun ten e rient”.

“Scusa??” Alberto non ha capito quella espressione in dialetto napoletano.

Dicevo il pane a chi no ha i denti, ma come si fa a rinunciare ad un’occasione del genere, io farei carte false per scendere da quella scalinata correndo il rischio di ammazzarmi, ma lo farei, e queste tipe rinunciano..ma pensa un po’..”

“Quindi tu lo faresti?”.

” E certo” risponde Regina senza esitazione.

“Ok vieni con me”.

Alberto trascina Regina nella sala trucco: “Per favore trucco e parrucco  per Regina, dove sta la costumista, la voglio qui ora”.

Si mette in moto una macchina strana, Regina non riesce a capire cosa sta succedendo, arriva la costumista, le prova delle scarpe, la truccatrice le dice di tenere su la testa… in men che non si dica è truccata, pettinata e vestita con un abito di Armani che le sta un po’ stretto sui fianchi ma non importa..

Un attimo solo per guardarsi allo specchio, sembra una principessa…

“Sei pronta a portare la nonna al Festival?” il tono di Alberto è strano e termina la domanda con l’occhiolino.

“Certo lo sai sono qui per questo, grazie mille”. Regina inizia a pensare che il suo abito non era adatto all’evento, e che magari essendo ospite di uno degli autori avrebbe dovuto indossare qualcosa di più “importante”, ma è felice per la prima volta indossa Armani.

“Regina, ho bisogno di te, il Festival non lo guarderai in poltrona”, il tono di Alberto è serio e sostenuto.

“Alberto che cosa intendi dire?”

“Affiancherai il presentatore in questa prima puntata, non devi preoccuparti avrai il gobbo e potrai leggere, e comunque il presentatore farà tutto per darti una mano, e poi è tutta la vita che ti prepari a questo evento.”

“Ahhhhhhhhh tu nun stai buon ca cap…va ben il sogno, realizziamo, vediamo il festival, a nonn… stai nu poc esaggerannn”, tuuta la napoletanità di regina vien fuori in quel momento, per una richiesta che ritiene assurda.

Un silenzio terribile trai due. Regina capisce che la richiesta di presentare il festival di Sanremo è reale, un grosso respiro anticipa la domanda:

“Alberto che cosa dovrei fare?”

“Entrare, salutare, leggere il gobbo che sarebbe quel tabellone in alto che ti suggerisce cosa dire, salutare, uscire e respirare”

Il panico la fa da padrone Regina non sa più a cosa pensare, intanto il tipo con le cuffie chiama il tempo “10 minuti alla diretta”.

Regina si siede sull’ultimo gradino di quella famosa scalinata, intanto un tizio le mette un microfono, lei tiene stretto tra le mani il suo ciondolo.

Una donna le chiede come si chiama quanti anni ha, e da dove viene, segna tutto su una cartellina.

” 5 minuti alla diretta”.

Alberto prende la mano di regina e le dice: ” Ti prego puoi farcela, tua nonna sarà fiera di te”.

” Eh tu cu stu fatt e mia nonn, me fatt fess” (con questa storia di mia nonna mi hai fregato) scherza.

“Bene rieci ancora a scherzare è buon segno”, Alberto le sorride.

“In onda” grida il tizio con le cuffie.

Il panico.

“Alberto scusa ma chi è che presenta, non mi hai detto nulla”.

Una voce dal palco “Per me è un onore presentarvi una napoletana doc, per la prima volta calca questo palco Signori e Signore Regina Esposito”

Una musica dolce parte…..

“Regina tocca a te, forza”, sollecita Alberto.

Regina inizia a salire i gradini uno per volta reggendo con la mano destra il meraviglioso vestito, è in apnea, le manca il respiro, ma sa che ormai non puo’ tirarsi più indietro.

Mentre sale quegli scalini, nel suo cuore una miriade di emozioni, e tutte le immagini di ragazzina, con la scopa e il mantello, sognava quel festival.

Non se ne rende conto…. Regina è in scena sulla piattaforma prima delle scale che la conducono al palco….

Le luci sono abbaglianti, riesce a vedere a mala pena l’orchestra. Un grosso respiro ed inizia a salutare, a guardare a destra e a sinistra come aveva visto fare in passato…

Fin a quel momento non è riuscita a vedere il pubblico, che si apre davanti a lei come il mare dietro una collina….applausi, sorrisi sui volti della prima fila.

Ad attenderla all’ultimo gradino c’ è lui Pippo Baudo, l’unico che avrebbe voluto accanto a lei in quel momento, che le porge la mano, Regina si affida a lui e respira.

Nell’ altra mano il ciondolo con la regina di cuori disegnata sul retro.

Uno sguardo oltre e applausi.

The End

Don’t forget to Smile

Raf

 

Regina – On the road

Quel giorno di febbraio, Regina è avvolta nel bianco caldo piumone di una stanza dell’ Hotel Europa, una raggio di sole fa capolino, infiltrandosi attraverso le serrande, Regina apre gli occhi a fatica, guarda il soffitto, respira e sorride. Vuole ancora godersi quel momento della giornata, in cui tutto tace, il mondo sembra ancora dormire, quella città ancora non è in piena attività..tutto scorre lento…

Ripensa a tutto quello che è successo il giorno prima, ancora fa fatica a credere.. sembra come in un film con il lieto fine…felice che quel film sia il suo.

Continua a sorridere. Presa da una sprizzata di energia tira via le coperte, accende la tv su un canale musicale e inizia a ballare sul letto, scatenata come morsa da una tarantola, emettendo suoni come ” Yuppy Yhea” a squarciagola, e poi si rituffa sul letto affannata.  Si rigira nel letto, si allunga fino al comodino posto di fianco, apre il cassetto e prende l’assegno che aveva riposto li la sera prima…. Sorride e decide di riporlo nella cassetta di sicurezza.

Doccia, vestiti e via..pronta in orario per il giro turistico.

Alle 10 puntuale Alberto è all’ingresso che l’attende. Questa volta è vestito in maniera informale Jeans maglioncino azzurro e un cappottino grigio, occhiali da sole rayban. Sembra quasi carino, pensa Regina.

“Buongiorno campionessa, pronta per lanciarti alla scoperta di questa città sconosciuta”, dice Alberto con fare solenne.

Regina risponde: “Sono nata pronta!”.

Il sole accompagna i due giovani lungo le strade di questa accogliente città. Entrano in vicoletti, acquistano gadgets, mangiano dolci caratteristici, chiacchierano, ridono. Una sosta è obbligatoria su lungo mare, dove Regina sembra quasi incantata.

“Ti piace proprio il mare vero?” Chiede Alberto.

“Eh Già!”.

Camminando, camminando arrivano in una piccola piazzetta..e Regina non crede ai suoi occhi ed esclama: “Non ci posso credere finalmente ci sono!”

Alberto osserva Regina senza capire bene cosa stia succedendo. Lui aveva visto tante volte quella piazzetta e quello che vi era nei dintorni, per cui proprio non capiva.

“Regina ti piace?”

Alberto non può capire, Regina si trova davanti ad uno spettacolo che fino a quel momento aveva solo sognato con sua nonna, che aveva solo visto in tv, ed ora le riempiva gli occhi.

Regina si trova nel luogo in cui ha sognato di essere, il luogo che è stato protagonista delle sue messe in scena teatrali durante il Festival, con scopa plaid a mò di mantello, i sorrisi della nonna e la promessa: “Però quando vai a nonna voglio venire pure io”..

Regina stringe forte il suo ciondolo come se volesse chiamare sua nonna ed estasiata corre a vedere il teatro piu’ da vicino. Alberto la segue. Davanti al Teatro Ariston, Regina prova a spiegare ad Alberto quanta emozione prova a stare li, e della promessa  fatta a sua nonna, i giochi che facevano insieme durante il Festival….Alberto sorride.

Purtroppo il Teatro Ariston è chiuso al pubblico in quei giorni perché è iniziata la preparazione del nuovo Festival della canzone italiana. Regina è come una ragazzina che scarta i regali a Natale, non le importa se il teatro è chiuso, lei è li in quel momento e proprio mentre si prepara il Festival non puo’ chiedere di meglio.

Un altro sguardo, un altro respiro e si riprende a girovagare.

“Regina ma dimmi una cosa, quindi non hai mai visto il Festival dal vivo, solo in tv giusto?”

“Giusto Alberto, io e mia nonna siamo appassionate del festival, non abbiamo mai perso un’edizione, e guai a chi interrompe il rito. Ora mia nonna guarda il Festival da un’altra parte dell’universo, e vedere il Teatro Ariston, wow…nonna ne sarebbe felicissima”.

“Regina ti devo dire una cosa importante”, Alberto si fa serio, il suo tono di voce è cambiato e Regina è quasi impaurita da quella espressione.

“Senti Alberto, non mi dire che sei un pazzo maniaco schizzato, guarda che mi metto ad urlare qua in mezzo e chiamo i carabinieri”, Regina ha un tono concitato e respiro teso.

Uno sguardo di Alberto e Regina fa un passo indietro.

Una risata fragorosa rompe il silenzio.

“Me che dici ahahahah, ma no, ti voglio solo dire che posso realizzare in parte il tuo sogno e quello di tua nonna….”

Regina riprende a respirare ma è incuriosita da ciò che sta per dirle Alberto, quindi gli presta molta attenzione. 

Vedi regina oltre ad essere un giocatore di poker, ho un lavoro molto interessante, sono autore Rai”.

“Scusa non capisco cosa vuol dire?”, chiede Regina incuriosita.

Vuol dire che conosco bene questa città non solo per i tornei organizzati al casinò, ma anche perché lavoro al Festival della canzone italiana”.

Regina ancora non riesce a comprendere cosa sta succedendo, e dal suo viso traspaiono le sue perplessità.

“Oh insomma, ti posso portare a vedere il Festival, sono uno degli autori, come te lo devo dire in napoletano?”

Regina rimane interdetta, non comprende o forse si, ma no riesce a realizzare, guarda Alberto e guarda il teatro in maniera cosi’ veloce che sembra presa da un raptus di follia e respira veloce e vuole dire qualcosa ma balbetta.

“Insomma ti va di andarci o no a questo Festival?” 

“Non mi prendi in giro vero?, non è che pensi che sono napoletana ingenua e quindi hai altri scopi e premi sul mio punto debole?

“Accipicchia Regina quanti pregiudizi, non voglio nulla da te e non voglio raggirarti, solo fare un gesto carino non mi costa nulla, ma devi dirmelo, perché i posti degli invitati rai finiscono presto per cui devo farti mettere il lista il prima possibile, mancano 20 giorni”..

Il film di Regina continua e non sa rispondere in altri modi che con un semplice:“Siiiiiiiiiiiiiiiii per favore”.

Alberto sorride con soddisfazione e fa subito una telefonata. Regina è in estasi, un sogno che si realizza, stringe forte tra le sue mani il suo prezioso ciondolo:

“Nonna hai visto ti porto al Festival”.

to be continued

Raf

Don’t Forget To Smile

 

 

Regina di cuori – Il poker Ultima parte

La sera del giorno seguente Regina è puntuale con la pizza margherita bollente, bussa alla porta di Don Gennarino, che apre con la solita sigaretta tra le labbra. “Uè tras” (entra).

Dopo aver mangiato un pezzo di pizza e aver ricordato insieme la nonna di Regina, Don Gennaro si dirige nel saloncino e fa cenno a Regina di seguirlo.

Don Gennaro si china, apre degli scaffali sotto la cristalliera, prende una scatola marrone con sopra i simboli delle carte, cuori quadri fiori picche, poggiandola poi sul tavolo. Solleva i ganci che tengono la scatola chiusa e scopre il contenuto. Regina rimane estasiata. La scatola contiene non solo le carte ma anche delle fiches colorate lucide…Regina è totalmente in trance.

Don Gennaro: “Reginella mia chiudi la bocca che entrano le mosche” e sorride.

Prima cosa devi imparare tutte le carte, i simboli, i valori, poi piano piano con l’esercizio ti insegno i vari punteggi… colore, tris, scala, scala bilaterale, reale, insomma…tutt sta robb…sei pronta?

“Si si” risponde lei timidamente.

Don Gennaro:”Lo faccio per tua nonna, promettimi una cosa che questo gioco per te resterà sempre e solo un gioco, non mi far pentire…. e poi mi devi dire perché e pijat sta capat?” (perché ti sei incaponita per questo gioco?).

Reginella lo guarda negli occhi spiegandogli dell’orologio della nonna e del disegno inciso sul retro : “Vedete ho una sensazione, non vi so spiegare, come se questo fosse il mio cammino, una strada tracciata per me da qualcuno”.

Don Gennaro: “Piccirè dimmi una cosa, ma tu ti droghi, ti pigli quelle pasticche che vendono questi scimmanati qui fuori, ti fumi qualcosa, no perché sta robb t fa mal…se ne parte il cervello”.

Regina: “Don Gennarì ma che dite, sono strana ma non sono scema!”.

Don Gennaro: “Meglio cosi’ cominciamo”.

I due iniziano la lezione, Don Gennaro non sa che Regina ha studiato tanto su quel gioco, quindi apprende subito le figure, i colori , i punteggi. i giorni passano, cartoni di pizza si accumulano, posacenere pieni di sigarette, e Regina acquisisce tutte le informazioni di cui ha bisogno per iniziare finalmente a giocare.

Trascorrono settimane.

Regina:Don Gennarino stasera vi ho portato la pizza fritta con salsiccia e friarielli per cambiare”.

Don Gennaro:”Bella Reginella mia, e oggi ti faccio giocare sei contenta?”.

L’anziano signore ha organizzato una partita di poker con altri 3 anziani amici, conosciuti anche da Regina, che la salutano dal tavolo.

Per l’occasione Don Gennaro ha tirato fuori il vecchio copritavolo verde.

 Sul tavolo le carte, i posacenere, ma niente soldi, solo lenticchie fagioli e ceci, ad ognuno un valore economico differente.

Regina è emozionata, non vede l’ora di iniziare. Don Gennaro le fa da tutor.

Regina non riesce a piazzare un punto, i suoi avversari sono dei vecchi astuti. Perde per tre mani consecutive, ma impara….impara…, a ricordare le carte, e osserva, i gesti, i tic, ascolta i respiri, i silenzi… 

Don Gennaro chiama l’ultima mano è ormai passata mezzanotte… le carte scivolano sul tappeto verde… il primo “cip” segue un “vedo” il piatto si riempie di legumi…due passano, rimangono in gara Regina e Pasqualino (uno dei tre amici anziani)

“Ja piccire shij sti cart” (dai piccola scopri queste carte) dice Pasqualino con aria beffarda. Don Gennaro intano rientra dal bagno, e assiste alla scena senza proferire parola.

“Scala” dice fiera Regina. Pasqualino rimane a bocca aperta il suo punto anche se buono è nullo a confronto.

“Don Gennaro, è salita la Regina di cuori…”

Lui sorride compiaciuto.

Seguono altre gare, altri tornei amichevoli, passano notti, e feste natalizie, regina seduta a quel tavolo verde. Regina vuole allenarsi, il gioco è diventato la sua passione più grande… Durante il lavoro tra una lettura e l’altra, gioca e si tiene in allenamento con un’applicazione scaricata sul telefonino.

E’ di nuovo febbraio, il Festival di Sanremo la distoglie dalle sue carte. Si siede sul divano in compagnia della famiglia, un nuovo presentatore due nuove vallette scendono quelle scale di plexiglass, trasparenti, con abiti da principesse. Sono eleganti, delicate, di classe. Allora Regina come era solita fare con la nonna si alza prende la scopa, sulle spalle il plaid blu di pail..

Imita la voce del presentatore: “Per questa nuova edizione del festival mi affiancherà una dolce presenza napoletana, ecco a voi Regina Esposito”….

 Sottovoce… applausi applausi pubblico in delirio..

Regina con fare maestoso muove il plaid e finge di scendere le scale, volgendo lo sguardo a destra e a sinistra come aveva visto fare da altre, poi finge di dare la mano al presentatore e dice:”Buonasera, grazie a tutti per l’accoglienza per me è un onore essere qui su questo palco al tuo fianco, quest’anno avete scelto un’altra straniera”.

imita di nuovo la voce del presentatore: “Ma no Regina, tu non sei straniera cosa dici!”.

“Caro, come no, sono di Napoli, qui in Italia come va tutto bene?”.

La famiglia ride a crepapelle e la sorellina più piccola applaude… e poi silenzio per l’inizio della canzone e l’avvio della consueta registrazione.Tutto scorre… qualcuno ha detto:

“La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”.

To Be continued

Don’t forget to smile

Raf

 

 

 

Regina di cuori – Il poker parte seconda

Napoli è la città dai mille colori, dalle mille sfaccettature e ti concede tante possibilità. I quartieri sono pieni di vita, di gente che si arrangia ..chi tir a campa’… e di chi si reinventa ogni giorno.

La gente di Napoli è disponibile, è buona, ci si aiuta sempre, e Regina sa che può contare sulla sua città. Nei vicoli di Napoli spesso trovi dei simpatici vecchietti che con le loro seggiole di legno e i loro tavolini, trascorrono il tempo fumando una sigaretta, discutendo del Napoli Calcio o giocando a carte.

Regina conosce bene quei vicoli e quei vecchietti, diciamo anche che sono i suoi angeli custodi.

“Uè buongiorno Don Gennarino come andiamo? Mannaggia a voi ma quante sigarette avete fumato, il posacenere è pieno”.

Don Gennaro: “Eh Reginè, quello è il Napoli, me fa asci pazz…je m n cazz e fumm” (Reginella il Napoli mi fa arrabbiare e io fumo)

Regina:”E ma tanto voi vi incazzate e quelli guadagnano i milioni e che ci volete fare..Don Gennarino sentite io vi debbo chiedere un favore enorme”.

Don Gennaro:”Dimmi Reginè che è successo? Che è, mamma non sta bene? Eh dici ja non mi far preoccupare, non mi chiedi mai niente, stu fatt è stran.”

Regina:”Eh lo so, perché non ho mai avuto bisogno di niente, ringraziando il cielo, pero’ mo mi dovete aiutare, mi dovete insegnare a giocare a carte.”

L’espressione di Don Gennaro è tutto un programma, prima pensieroso, poi sollevato e poi : “Uh mamma mia e questo è m è fatt pija na paur! Ma come tu pazziav semp cu tua nonn o ver?”( mi hai fatto prendere uno spavento, ma tu giocavi sempre con tua nonna è vero).

Regina: “Si Don Gennarino la nonna mi ha insegnato con le carte napoletane, io voglio imparare le francesi, voglio imparare il poker”.!

Don Gennaro è sbigottito, il suoi occhi persi nel vuoto, il suo sguardo fisso su immagini che Regina non può vedere, immagini del passato. (Don Gennaro è stato un giocatore di poker accanito, nella Napoli dei quartieri lo conoscevano tutti come il più bravo in assoluto, lo chiamavano a “Cap e quadr” ( la testa di quadri simbolo delle carte francesi) ma i suoi successi diventarono azzardo e malattia, e perdita di averi. Ora un simpatico vecchietto dei vicoli.).

Gli occhi di Don Gennaro riprendono vita, quando Regina :”Don Genna’ allora, solo Voi mi potete aiutare”.

Prendendo un lungo respiro Don Gennaro: “Va bene Reginella mia, lo faccio solo per il rispetto per tua nonna e perché sei cresciuta cu me…io ti insegno…ma senza sord…vabbuo?

“Eh certo Don Gennarino, grazie assaje”, e Regina butta le braccia attorno al collo di Don Gennaro abbracciandolo con affetto, lui timidamente ricambia.

“Ne piccirè ma dimmi una cosa, ma come mai vuoi imparare il poker? E’ un gioco da maschi…?, Regina risponde sorridendo..

Mi Piace la Regina di cuori, ci vediamo domani sera quando stacco Vi porto un bella pizza Margherita.”

Regina si dirige verso casa, e Don Gennaro la segue con uno sguardo..

” Sta waglincell che ci tiene….una forza della  natura”,  spegne l’ultima sigaretta della giornata, ritira la sua sedia di legno, rientra in casa chiudendo il portone alle sua spalle.

To Be Contniued

Don’t forget To Smile