SPRING DREAMS

Quando il sole inizia a prendere prepotentemente possesso del cielo azzurro, quando l’aria diventa frizzante ed i profumi della natura ti penetrano nel sangue, ti prende la voglia di liberarti dai vestiti ingombranti che non permettono al tuo corpo di “respirare”, vuol dire che la primavera è arrivata.

Almeno per me è così.

Via i maglioni, via scafandri imbottiti, sciarpe, guanti, via gli stivali, via colori scuri che rendono l’inverno ancora più pesante: via! E’ il momento di partire.

La primavera ha degli effetti pazzeschi. Il mio corpo si risveglia da un lungo letargo e avverto costantemente il desiderio di uscire, esplorare, vedere. Allora perché non accontentare e seguire il mio istinto.

È ora di partire.

Meta prescelta Umbria. Dopo 1 anno rivedo Anto.

Sabato mattina, valigia pronta, si parte.

Decido di prendere un autobus che arriva direttamente a Perugia, voglio godermi ogni istante e vedere tutto.

Tiburtina – Perugia circa due ore.

Il viaggio è piacevole, il sorriso del sole attraversa il vetro del finestrino dell’autobus e bacia il mio volto. La musica anni 80’, che mi ha caricato gentilmente il mio capo nell’ipod, accompagna il susseguirsi dei paesaggi durante il percorso.

I miei occhi sono incantati dalla bellezza di quelle immagini che scorrono come diapositive, una dietro l’altra.

Arrivata a Perugia mi accoglie l’abbraccio sincero di Anto che mi conduce alla sua macchina.

Abbiamo tante cose da raccontarci.

Un anno, ma sembra ieri.

Esperta di quei luoghi, mi illustra il programma della visita. Ha organizzato tutto nei minimi particolari.

Perugia è incantevole. Adoro i vicoletti in cui perdermi. Quel profumo profondo di antico, di storia, che si respira in ogni dove, lo si percepisce nell’aria e lo si vede su ogni portone di legno massiccio, su ogni mattone incastonato nel muro, ad ogni passo sulla strada. La cattedrale maestosa governa la piazza e guida sul viale centrale.

Mentre Anto mi racconta qualche aneddoto, arriviamo in una stradina.

“Questa è la strada degli artisti, via della viola”.

Adoro questo posto, a destra e a sinistra piccole botteghe di artigiani, che lavorano la ceramica, le stoffe, la cartapesta. Tutta la stradina è decorata con pezzi d’arte. Dipinti e quadri sui muri, o piccoli pupazzi sospesi nell’aria. Cerco di immagazzinare il più possibile.

Il sole inizia a raffreddarsi, sta per lasciare il posto alla luna, per noi è l’ora di una tisana con biscotti.

Anto ha sempre uno splendido sorriso, ha un’energia pazzesca come quando eravamo a scuola.

“Allora come va? Come procede la vita a Roma?”

In breve le faccio una sintesi delle mie giornate, dei miei amici, dei miei progetti.

Inevitabilmente si finisce a parlare di uomini.

Scoppiamo entrambe in una risata liberatoria. Ci raccontiamo le nostre esperienze, sappiamo esattamente cosa vogliamo e l’idea di accontentarsi non ci appartiene.

“e come dice mia madre…resterai zitella ti devi trovare uno che ti fa compagnia”.

Una enorme risata rimbomba in casa.

“Io vado a farmi una doccia, tu fai quello che ti pare sei a casa tua”.

In attesa di uscire per la cena, decido di mettermi sul divano, non riesco a togliere neanche le scarpe che, i miei occhi si chiudono, come se colpiti dalla pesantezza e bellezza delle emozioni vissute fino a quel momento.

“Il mio respiro è lento, delicato, scandito dal battito del cuore… lo sento.

Nelle mie narici un profumo di terra, di erba fresca tagliata. Un leggero solletico sull’occhio destro, mi stuzzica. Porto la mano al viso per strofinarmi e mi ritrovo tra le dita una coccinella che mi guarda intimorita. Cerco di non farle del male appoggiandola su un rametto.

Un rametto?

Mi guardo intorno. Alberi maestosi, che intrecciano i loro rami, il sole fa capolino tra le fitte foglie.

Sono sdraiata. In un parco? In un bosco?

Non lo so. Ho un vestito che sembra quello delle principesse delle favole. Il mio cuore inizia a farsi sentire in maniera più insistente. Credo che sia spaventato.

Non ho le scarpe.

Cerco di respirare a pieni polmoni alzandomi da quel letto di foglie ed Humus ed inizio a camminare.

Nonostante non riesca a capire cosa stia succedendo non ho paura. Mi guardo intorno cercando Anto, o qualcosa di familiare ma nulla, la natura mi circonda.

Inizio a muovermi.

Il mio sguardo si perde nei riflessi del sole tra le foglie, il mio udito volto ad ascoltare il canto degli uccelli, i miei occhi piacevolmente impressionati dai giochi di luce creati dal sole su alcune pietre.

Poi qualcosa mi distrae. Un’ ombra.

Si nasconde dietro un albero, riesco a vedere soltanto una spalla, quella destra, mi sembra un uomo.

Hey ciao!” ma nessuna risposta al mio saluto.

Si sposta dietro un altro albero

Mi sento una stupida ma gli parlo:” Ciao io sono Raffaela, per favore mi sai dire dove siamo”.

Come se fosse una cosa normale, ritrovarsi in mezzo alla natura con indosso il vestito di cenerentola, invece che sul divano della tua amica.

La mia domanda non riceve risposta.

Provo ad avvicinarmi e allora si palesa.

Raf

Don’t forget to smile

 

TO BE CONTINUED…

 

 

Eroe

Ore 4.18 del mattino.
I miei occhi improvvisamente si aprono come se la notte fosse finita.Un sorso d’acqua, poi la pipì di rito, un’occhiata al telefono e mi rimetto a letto tentando di sfruttare le ultime ore di buio per rilassare il mio corpo. Ma nulla, Morfeo decide di abbandonare i miei occhi. Mi rimetto sul divano, mi gioco l’opzione tv, le televendite che solitamente giocano un ruolo fondamentale nella ripresa della mia sessione di riposo, questa volta non mi aiutano, non hanno l’effetto soporifero desiderato.“La musica, la musica è quello che ci vuole”. Allora premo “on” del mio nuovo giradischi, sistemo con cura il disco di Sting, posiziono la puntina ed ecco le prime note arrivare alle mie orecchie ed al mio cuore.

Nel voltarmi per andare a stendermi sul divano, sono attirata dai miei diari posti in un angolo della libreria, decido di prenderne uno e di iniziare a sfogliarlo.
Su ogni pagina un disegno, il mio nome in grassetto, o una di quelle frasi, a mo’ di filastrocca tipo: ”C’è chi scende e c’è chi sale ma tu che sei il mio amore puoi prendere l’ascensore”, oppure “Conosco un ragazzo di nome non lo so ma quando mi bacia mi mette K.O.” e frasi di canzoni di artisti ormai sconosciuti.
Leggendo quelle pagine, immagini si sovrappongono nella mia mente, immagini chiare.
Un pensiero: “Accipicchia, ma quanto scrivevo!”.
Poi la mia attenzione ricade su pagine e pagine di inchiostro. Non c’è data. Inizio a leggere.

“Caro diario, siamo in vacanza finalmente, siamo arrivati qualche giorno fa in campeggio in un posto bellissimo. La scuola è lontana e mi godo questi giorni di vacanza allontanando dai miei pensieri i compiti, e la maestra. Sono in roulotte ora, tutti fanno il riposino pomeridiano, ma io sono troppo agitata per farlo, poi la nonna ha iniziato a respirare in modo pesante. Come sai io e lei condividiamo il letto.
Approfitto della calma e ti scrivo.
Oggi ho trascorso una bellissima giornata e sono felice.Il sole di agosto è caldo caldo, il cielo è limpido e sembra unirsi al mare se provi ad allontanare lo sguardo.Questa mattina in spiaggia il mio cuore si è riempito di gioia.

Michy ed io eravamo in riva al mare, dopo essere state in ammollo in acqua per molto tempo, stavamo giocando con la sabbia, facendo scritte o disegni e sfidandoci a “Tris”, quel gioco in cui bisogna mettere tre “0” o tre “X” in fila per poter vincere. Le nostre risate rombavano nell’aria trasportate sulla spiaggia dal vento, fino ad arrivare alle orecchie vigili di papi, che da lontano ci osservava sorridendo.
Papi aveva appena finito di pescare, era rimasto ore in acqua con la sua fantastica muta che lo copre tutto, sembra un omino di gomma. Tutte le volte Michy ed io lo aiutiamo a vestirsi e a svestirsi, gli prendiamo il fucile, le pinne e il bottino della giornata, polpi, cozze, pesci vari, e con aria beffarda ai ragazzini, che sono incuriositi dai tentacoli dei polpi, ho detto: “Non toccare questi li ha presi mio padre”. Eh si, non devono toccare, è una cosa veramente fastidiosa.
Comunque poi finiamo sempre per prenderlo in giro perché anche se papi toglie la maschera, dopo due ore ancora ne porta i segni e allora: “papi ti sei dimenticato di togliere la maschera, guarda che sulla spiaggia non serve!”

E’ sempre così, poi ridiamo.
Abbiamo continuato a giocare sul bagno asciuga,facendo cose con la sabbia, polpette, torte. Papi attirato dal nostro impegno ci ha raggiunte e ci ha proposto: “Vi va di fare una nave?”.

Che domanda è? Ovvio, pensai. Mio padre come sai lavora alla Fincantieri e lui le fa le navi.Papi ci chiede di raccogliere la sabbia umida tutta in un lato, per fare una sorta di montagna. Con le ginocchia ficcate nella sabbia, ha iniziato a stendere il mucchio di sabbia dandogli una forma di gianduiotto. Ci ha chiesto poi di lisciare prima un lato e poi un altro e ci ha indicato come fare.Fantastico, in poco tempo la forma era chiara. Non è stata una costruzione di quelle che fanno gli altri ragazzini, era grande, maestosa e proprio per questo gli altri ragazzini si sono avvicinati per capire di cosa si trattasse.

Noi tre abbiamo continuato a lavorare. Gli altri bimbi ci guardavano e noi gongolavamo. Mia sorella ed io abbiamo seguito alla lettera le indicazioni e dopo un po’ di tempo eccola, LA NAVE.
La nave di sabbia più bella che ho mai visto. Abbiamo fatto le finestre rotonde, aiutandoci con i polpastrelli, abbiamo messo anche la bandiera fatta con un bastoncino ed un pezzetto di fazzoletto di carta rubato alla nonna.
Bellissima, talmente tanto che intorno il numero dei ragazzini è cresciuto, gelosi, volevano subito distruggerla, allora papi con voce impositiva ha detto: “Uè ja dopo, ora giocate tutti insieme”.
Come da tradizione la nave va battezzata e papi con fare solenne, dopo aver riempito uno dei nostri secchielli di acqua, ne lancia un po’ con una mano sulla nave e dice: “Ecco e pure il varo è stato fatto, ora può navigare”.

Michy ed io siamo state entusiaste. I nostri occhi hanno brillato per la felicità. Orgogliosi di papi e di poter dire a quei ragazzini impudenti:“Questa l’ha fatta il mio papà”.

Dopo un po’ la nave è stata distrutta da quei ragazzini antipatici e scostumati, appena ci siamo allontanatati. Mi sono arrabbiata, cacchio: “Papi la nave, uffa”.
“Eh dai non fa nulla, stanotte il mare l’avrebbe comunque portata via, domani ne facciamo un’altra più grande”.

Caro diario
Papi è un tipo veramente tosto, penso che lo sposerò quando diventerò grande. Eh si è proprio il mio eroe, Michy ed io lo amiamo tanto, spero che non lo voglia sposare pure lei però, altrimenti come si fa, mah.
Va bene ora ti lascio, qui iniziano a svegliarsi tutti.
ti scrivo presto.
Ciao
Raffa”.

Un sorriso sul mio viso, la mia dolce ingenuità, e l’amore colto in quelle righe, mi hanno convogliato alla mente una serie di ricordi. Mio padre.

Le nostre partite di calcetto, la collaborazione nello smontare casa per fare i lavori, le rosette con il prosciutto cotto mangiate insieme, i massaggi sulla schiena della domenica mattina, fatti con i piedi durante i quali non riuscivo a tenere l’equilibrio, la compilazione delle schedine del totocalcio il sabato, un rito in casa Anastasio, e poi l’orto, Teresinella la nostra gallina…wow una vita di immagini…una vita.

Mi rendo conto che tutto ciò avviene quando domenica è il giorno 19 marzo, la festa del Papà.
Continuo a sorridere perché la vita è fatta anche di questo, di fantastiche coincidenze, o casi.
Allora uso questa coincidenza per fare qualcosa che Michy ed io non abbiamo mai fatto o almeno non abbastanza spesso.



“Caro papi,
dopo anni ancora ti chiamiamo come quando eravamo ragazzine.
Per tutto il tempo della nostra vita sei stato il nostro fidanzato ideale, la nostra colonna portante, la nostra forza. La vita ci ha riservato belle e brutte sorprese, magari molte cose non sono andate come avremmo voluto, ma siamo rimasti sempre noi, padre e figlie, nonostante tutto.

Il nostro papà.
L’ uomo che cucinava per noi dei meravigliosi calzoni ripieni di mozzarella e pomodoro. Quel profumo invadeva casa. L’uomo dalle mille risorse. Non c’era cosa che tu non sapessi aggiustare o fare.
L’ uomo del segno del capricorno, testardo, sindacalista in cerca di giustizia e di verità, non hai mai pensato alle conseguenze, hai sempre lottato per ciò in cui credevi, ci hai insegnato a non arrenderci, mai.
L’uomo rappresentante di classe, che coordinava e proponeva le nostre gite fuori porta, il nostro orgoglio.
Abbiamo attraversato momenti duri, in cui non abbiamo saputo distinguere la rabbia dall’amore, abbiamo riso, gioito insieme. Abbiamo visto la fierezza nei tuoi occhi quando abbiamo superato delle tappe importanti della nostra vita.
Abbiamo visto i tuoi occhi illuminarsi alla nascita dei tuoi nipoti, e la tua incredulità nel vedere tua figlia maggiore con in braccio un frugoletto.
Abbiamo visto le tue lacrime, che non avremmo mai voluto vedere, e la tua fragilità.
Abbiamo visto la tua disperazione, la tua ira contro la vita che non stava andando nella direzione che volevi.
Abbiamo visto la tua gioia per una nostra vittoria.
L’uomo dallo sguardo ipnotico. Eh già, ti bastava solo uno sguardo, in cui arricciavi le sopracciglia, e una serie di rughette in mezzo alla fronte, ci intimavano di fermarci.
Ti abbiamo visto non mollare nell’insegnarci a nuotare e applaudirci quando restavamo a galla da sole.
Ci hai insegnato ad andare in bicicletta, e hai soffiato sui graffi alle ginocchia provocati dalle svariate cadute. “Dai, non è nulla ora si asciuga”.

Abbiamo visto la tua preoccupazione per la nostra prima volta in motorino, e il tuo terrore per la nostra prima volta in macchina, con una mano agganciato al finestrino e l’altra sul freno a mano.

La tua gelosia di padre, per i nostri primi innamoramenti, non tutti ti sono piaciuti e spesso ti abbiamo anche deluso per le nostre scelte.
Abbiamo visto la tua commozione, quando hai dovuto lasciare tua figlia maggiore nelle mani di un altro uomo.
Abbiamo avvertito anche la tua paura.

Il tuo sangue scorre nelle nostre vene, il tuo dna è il nostro, fiere di portare il tuo cognome come il più importante del mondo, tutti ci conoscono perché siamo le figlie di “Angiolill Anastasio”.

Il nostro legame è per sempre, non ci saranno liti, non ci saranno persone, non ci saranno eventi, malelingue che ci potranno dividere.
Le nostre vite sono indissolubili. Anche se siamo distanti noi saremo sempre insieme.
Troppo spesso ci manchi.

Tu sei il nostro uomo, sei il nostro eroe per la vita.
Ti amiamo per questo, non dubitarne mai.

Auguri Papi

Raf e Michy
Don’t forget to smile

Il tempo delle mele

“La musica invade la stanza, ragazzi ballano come scimmie impazzite e urlano e chiacchierano in ogni angolo.
Il tempo di una limonata per dissetarmi per poi riprendere le danze, ma questa volta è diverso.Qualcuno mi appoggia sul capo delle cuffie che diffondono note dolcissime, un sorriso sul mio volto e lui, il mio principe azzurro, il mio amore assoluto, mi tiene stretta in un lento.

Isolati dal resto della festa, isolati dal resto del mondo, non abbiamo bisogno di null’altro, se non di noi e di quella musica….”

Antonella mi scuote chiedendomi di smettere di sognare e che il film “Il tempo delle mele” è solo un film e che non ero l’attrice protagonista.
Le mie fantasie distrutte in un momento, dalla voce della realtà. Ma non mi arresi. Da lì a qualche giorno sarebbe stato il mio compleanno. Allora pensai che a volte, se ci credi, i sogni si realizzano, bisognava procurarsi i mezzi.

Chiesi in regalo un walkman, proprio come quello che avevo visto in quel film, “bisognava dare una mano alla fortuna”, pensai, il principe azzurro aveva bisogno di aiuto.

Il tanto atteso regalo arrivò.

L’emozione mi pervase al momento di scartare il regalo. Adoravo la carta che si strappava sotto le mie mani con quel rumore unico ed inconfondibile.

Eccolo il mio primo Walkman.
Custodito da un involucro di cartone, era leggero come il mio cuore in quel momento. Intravedevo le cuffie poste in un angolo della confezione.

Avevo la musica nelle mie mani.
Il mio mini stereo portatile era di due colori, insolito per un walkman, era giallo e lo sportellino per inserire la cassetta, verde acqua. I tasti Play , Rewind, e Forward neri. Le cuffie avevano la spugnetta arancione e l’archetto regolabile.
Non vedevo l’ora di provarlo, ma non mi fu possibile, mancavano le quattro batterie, dalle quali attingeva energia.
Il giorno seguente non stavo nella pelle, andai da Antimo, il mio giornalaio di fiducia, ed acquistai 4 batterie.

L’attesa finalmente finì.
Dopo aver impiegato circa 10 minuti per capire il verso di inserimento delle batterie, sollevai lo sportellino verde acqua inserì la cassetta con la compilation di Eros Ramazzotti, poggiai le cuffie sulle orecchie, tasto play, (adoravo quel click) e mi si aprì un mondo.

Avvolta dalle note di “Musica è”, viaggiavo in un mondo parallelo. Il suono, la musica arrivava diritto al punto, al cuore, all’anima, mi sembrò che fosse diversa, palpabile, reale, come se così non l’avessi mai sentita.

Il walkman diventò ben presto una parte di me, un prolungamento, grazie al quale potevo estendere i limiti sensoriali del mio corpo. Usavo la musica per studiare, per passeggiare, per isolarmi dal mondo quando pensavo che il mondo fosse contro di me, lo usavo per non sentire la nonna russare, per piangere a tempo di musica per un brutto voto a scuola o per placare la mia rabbia per un flirt andato male, e per sognare.

Ben presto scoprì, che nulla è per sempre. Il mio smoderato uso del walkman, comportò l’acquisto di batterie ogni 3 quattro giorni, 5 se ascoltavo i cantanti con la voce rallentata e con toni demoniaci.

Dopo qualche tempo trascorrevo pomeriggi interi a srotolare la pellicola delle cassette.
Il nastro si arrotolava alle testine, in un modo che per scioglierlo, impiegavo interi pomeriggi, mi applicavo come un chirurgo. Dopo aver usato il mignolo per riavvolgere e recuperare la pellicola arrotolata, la biro bic mi venne in soccorso. Casualmente fatta in modo da combaciare con i gancetti della bobina. Tutto divenne più veloce e divertente.
Il principe azzurro non lo ricordavo più. Non era più una priorità.
Le cuffie mi isolavano, ritagliando pezzi di tempo tutti per me. In estate non risultavano comodissime, ti facevano sudare pure i timpani, ma non ero molto esigente, mi bastava la musica.
Da quel giorno si sono alternati nelle mie borse walkman di ogni genere, con accessori aggiunti per ascoltare la musica in due, per registrare, per ascoltare i cds, e poi auricolari, ipod, cuffie bluetooth…
Oggi semplicemente degli oggetti incredibili, che usavano gli antenati.
Ma quanto era bello premere Play e attendere dopo un giro di fruscio della cassetta, che le note ti invadessero l’anima e che il sole ti sorridesse?

COSA RESTERA’ DEGLI ANNI 80′

Raf
Don’t forget to smile