Incontro…a quattro mani

Quella mattina il sole mi sorrise. Mi svegliai di buona lena. Alla radio trasmettevano i Queen, ” Don’t stop me now”. Ormai era passato un pò troppo tempo dal mio ultimo viaggio, i miei occhi avevano bisogno di essere usati. Quella canzone mi diede la carica giusta per iniziare la giornata. Non mi fermerò adesso!

Come faceva a saperlo?

Quella mattina era una di quelle, che accompagnati i bambini a scuola, non ti prepari per l’ufficio, vuoi semplicemente tornartene a letto, dormire e sperare che al risveglio quel giorno infernale sia passato e che ne inizi uno migliore, ma per noi comuni  mortali non è così. Devi indossare la maschera adatta per l’occasione, dopo poco ero in macchina. Il tempo per raggiungere l’ufficio sembrava infinito. Il tragitto fu riempito da pensieri, domande e risposte multiple.. ancora domande.

Arrivai in ufficio e iniziò la mia giornata lavorativa. Nella testa ancora ” Don’t stop me now, Don’t stop me now”.

Non so perché ma ho creduto che fosse un segnale. “Non voglio fermarmi”, pensai. Mi balenò un desiderio, rivedere qualcuno, allora l’istinto guidò la mia mano sul touch screen del mio Samsung Sei Edge: “Partiamo?”.

Come era successo di perdermi? Quali scelte avevo sbagliato?
Perché avevo dimenticato di domandare a me stessa se era quella la vita che volevo?
Perché mi ero accontentata? Quando poi mi sono ripresa dal torpore, fuori da un ‘ipnosi, tutto era cambiato. Ero in auto mentre tutto veniva ingoiato contro voglia quando un suo messaggio lampeggiò sul monitor del mio telefono. Non era sabato…il sabato attendevo il suo racconto, il suo ricordo enfatizzato, una sua esperienza vissuta lungo km di viaggi:”Andiamo via” era il contenuto… e per un attimo uno sfarfallio nello stomaco.

Ero felicissima di aver preso quella decisione. Avevo voglia di condividere con lei delle emozioni come quelle che avevamo vissuto da ragazzine. Quando eravamo culo e camicia. Avevo voglia di conoscere la mamma e la moglie splendida che era diventata. Ero eccitata al pensiero, ma temevo nel messaggio di ritorno, magari non aveva il mio stesso entusiasmo… invece: ” Certo!”, la sua risposta immediata. Un sorriso accompagnò la mia giornata ed i ricordi iniziarono prepotentemente a tornare nei miei occhi.

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevo sorriso con lei? Quanto tempo era passato dall’ultimo sguardo d’intesa? Le sarei piaciuta? Lo sfarfallio iniziò a fare male ma non esitai ad accettare, quello che non le dissi è che mi sentivo sicura di andare ovunque con lei.

Budapest era la nostra scelta. Iniziai a prepararmi per rendere piacevole la nostra vacanza ed il suo mini soggiorno a Roma. Avevo sentito amici e stilato una lista di cose da fare. Avevo pulito casa affinché potesse essere ancor più accogliente, ero agitata, volevo che ritrovasse ciò che ricordava di me, forse con qualche anno in più, volevo che mi sentisse e poi : ” Scendi, sono giu'”.

In un tempo imprecisato ero ad aspettarla in strada con il tremolio alle mani e lo stomaco chiuso. Ecco le sue falcate, il suo viso acqua e sapone, il suo sorriso, il suo corpo proteso in avanti, il mento alto ….il suo abbraccio forte e doloroso ed il mio. Senza nemmeno ricordare il tempo che era passato era tutto così familiare.
Ho immaginato di leggere da quel lato del divano, lei dall’altro, quei fantasy che appartenevano a lei quanto a me… quei romanzi di Baricco che avevano riempito le sue e le mie ore in tempi e luoghi diversi. Le sue cose disposte sul tavolo, le piante finte sul balcone della cucina, le sue creme nel bagno, la disposizione degli asciugamani ereditata dalla madre…. iniziarono a tranquillizzarmi. Ero con lei, a casa.

Mi precipitai per le scale, non attesi l’ascensore non avevo tempo. Dietro il doppio vetro del portone d’ingresso c’era lei. La bimba che il primo giorno di seconda elementare mi protese la mano per accompagnarmi nel gruppo già composto di bimbi, la ragazzina con la quale andavo in chiesa la domenica mattina, indossando lo stesso modello di abito, l’adolescente con la quale avevo condiviso ” La bonne Esperance” (la nostra birra preferita). Un abbraccio ed i nostri corpi si riconobbero, i nostri cuori non si erano mai dimenticati. Il suo corpo dalle forme morbide, aveva accolto due meravigliose vite, il suo sguardo fiero ma triste. Una donna, una mamma. Il contatto era stabilito . Eravamo di nuovo noi.

Abbracciata a lei sul motorino iniziai a snocciolare la mia vita e lei la sua….quanta vita da raccontare. Come era possibile che riuscivo a dirle sensazioni che prima evitavo di sentire? Lei non era impostata, non voleva essere migliore agli occhi degli altri, non le importava se il casco le aveva sciupato i capelli.
Possibile che fosse la stessa ragazzina che mi insegnò a fischiare come un maschiaccio e che con me ballava fino allo sfinimento davanti allo specchio nelle discoteche di Napoli?

Indossati i caschi iniziò il nostro tour Romano. Le strade ed il vento erano nostri complici. Le parole sgorgavano come cascate, pezzi di vita, di emozioni, l’amarezza per qualcosa che non si era scelto, i dubbi per domande senza risposta. La sua rabbia percepibile  in ogni gesto, in ogni tiro di sigaretta, gli occhi pieni di lacrime non versate. Le decisioni, le sofferenze, due bambini che con i loro sorrisi, 
le donavano la forza. La sua esuberanza, era ancora quella che io ricordavo. Alla ricerca continua di attenzione. La sua immagine appariva fiera, imponente, ma il casco le aveva scomposto un po’ i riccioli d’oro.

La vita aveva segnato anche lei, eppure aveva quel mento così alto.
“Io” conducevo una vita diversa, dove non esci con il motorino, dove non ti accodi in un tavolo per un aperitivo con amici di amici, ma esci con quell’amico e con quell’altro no.
La verità che iniziava a fare male è che lei era proprio la “Me” di un tempo.
Quella che sorrideva e non aveva pensiero degli altri, quella che non aveva necessità di apparire dieci cm più alta.

La vita la stava segnando. Subentravano in lei sensi di colpa, ” Normali per una madre” le dissi. Mi mostrò le sue paure, mi mostro’ la sua anima, non potevo fare altro che ascoltare, di questo aveva bisogno di sentire che c’ero, che fossi li per lei, che fossi presente. Volevo che si fidasse di me.

Io ero ascoltata, a mio agio finalmente e non ero abituata più, non ero abituata a lei. Iniziai a ricordare di me finalmente rilassata…e proprio nel ricordare le due ragazzine di un tempo iniziò il sollievo. Mi lasciai andare e se le fossi risultata un pò arrogante, perchè lo ero, se la mia repulsione alla bava dei cani avesse causato la sua espressione di disappunto, pazienza.

Era cambiata, una donna meravigliosamente in carriera, complessa, caparbia, combattiva, sicura di se, ma allo stesso tempo, fragile ed indifesa, aveva nascosto la sua parte goliardica, aveva nascosto il suo cuore, non poteva esporlo, perché quando l’aveva fatto era stato distrutto. Una mamma dolce  e comprensiva, la sua bocca esplodeva in un sorriso all’emissione del suono dei nomi dei suoi nanetti.

Anche lei era cambiata, aveva superato le sue paure ed era volata dal cielo con un paracadute. Aveva pianto le sue lacrime e sorriso per i suoi successi.

Inevitabilmente il tempo scorre senza sosta come un fiume alla sua foce.
Le nostre vite hanno preso strade differenti, i nostri cammini tortuosi, le incomprensioni, poi la sua esuberanza, la mia tranquillità, stili di vita, passioni differenti…Ritrovarsi per comprendersi di più, per confrontarsi oramai da donne non più da ragazzine in balia dei propri colpi di testa. Non abbiamo mai mollato ed eccoci qua ad esprimere le nostre emozioni, come mai avevamo fatto in passato, a volte non è necessario comprendere o spiegare è tutto più semplice, siamo  Noi. 
Partiamo!

Raf
Dont’ forget to smile