DWARF = NANO

Una telefonata bastò a rendermi felice.
Parole scivolavano lente attraverso la cornetta telefonica nel mio orecchio. Parole intense, dolci come la nutella, lasciavano in bocca un meraviglioso senso di soddisfazione, appagamento.
Da quella telefonata, il tempo passò in fretta, come un soffio di vento tra i capelli ed arrivò il giorno che tua madre ti catapultò in questo mondo matto e squilibrato.

Ricordo esattamente quel giorno, ma non ero presente. Ero con tua sorella, piccola, indifesa e incazzata, perché pensava che qualcuno le stesse portando via tutte le attenzioni.
L’esplosione di gioia arrivò alle 15.30. Eri reale. Il tuo primo respiro.
Comprai il tuo primo peluche, l’asinello bianco e azzurro simbolo della squadra di calcio del Napoli, tuo padre mi ringraziò e mi disse:” Brava cognatina i veri valori bisogna insegnarli subito”, un sorriso nacque sul mio viso e sul suo.

Quando ti vidi la prima volta, un nodo alla gola mi impedì di respirare, eri così piccolo, così buffo con quel cappellino azzurro sul capo delicato, non so perché, ma mi ricordai guardandoti dei nani della favola di Biancaneve. Fragile che non ebbi il coraggio di prenderti tra le braccia, mi limitai a sfiorarti la piccola morbida manina e nel momento in cui ti sfiorai qualcosa accadde di irripetibile…
Ebbi la sensazione di essere sola in quella stanza dell’ospedale, le mie orecchie udivano suoni distorti, come  quando sei al mare, ed immergendoti i suoni sembrano tutti ovattati e distanti, la tua dolce manina si aggrappò al mio mignolo, pensai che fosse una reazione istintiva, ma poi i tuoi occhi intensi, aperti a fatica, incrociarono il mio sguardo; l’imprinting, il richiamo dello stesso sangue. Il contatto era stabilito. Un contatto eterno.

Oggi ti osservo da lontano. Sei un ometto, sveglio, intelligente, capriccioso, goloso, curioso.
Oggi è il tuo sesto compleanno. Il tuo sesto anno in questo mondo complicato, difficile da cambiare.
Ti osservo diventare grande.

Il tuo animo è buono, generoso fai in modo che le cattiverie del mondo non lo inaridiscano.
Sarà difficile diventare grande, ma la grandezza sarà insita dentro di te non altrove.
Osserva il mondo con attenzione, con occhi vigili e aperti, liberi da sovrastrutture.
Gioisci per un fiore che sboccia, per il sorriso del sole, per il profumo del mare, per la fresca pioggia estiva, per un tramonto, per il cielo stellato, per i piccoli successi, il tuo cuore ne sarà felice.
Fai le tue scelte accurate, non aver paura di sbagliare, rischia!
Non portare rancore nei confronti di persone che non sono buone con te, ma non dimenticarti di quelle che lo saranno.
Non aver paura di Pensare, di mostrarti come sei agli altri, sii sempre te stesso.
Sii gentile e rispettoso sempre, regala un sorriso il tuo spirito si illuminerà.
Non sprecare il tuo tempo, quello perso non ti verrà restituito, sfruttalo, usalo per ascoltare, per ascoltarti, per imparare.
Sii curioso.Viaggia, esplora, chiedi, interrogati..la vita ha tante cose da dirti, da mostrarti.
Ama. Ama senza condizioni, senza regole. Non farti spaventare dalle delusioni, usale per trasformarle in forza.
Nutriti della passione.
Camminerai lungo sentieri a cercare quello che poi sarai, correrai, cadrai ma sono sicura troverai sempre la forza per  rialzarti.
Lungo il percorso non tornare indietro, voltati e sorridi del cammino effettuato, ricorda sempre chi sei, non fermarti.
Ridi, non smettere mai di farlo.
Sogna.
Io ti osserverò da qui.
Ti osserverò vivere.

Zia Nano

Raf
Don’t forget to smile

Incontro…a quattro mani

Quella mattina il sole mi sorrise. Mi svegliai di buona lena. Alla radio trasmettevano i Queen, ” Don’t stop me now”. Ormai era passato un pò troppo tempo dal mio ultimo viaggio, i miei occhi avevano bisogno di essere usati. Quella canzone mi diede la carica giusta per iniziare la giornata. Non mi fermerò adesso!

Come faceva a saperlo?

Quella mattina era una di quelle, che accompagnati i bambini a scuola, non ti prepari per l’ufficio, vuoi semplicemente tornartene a letto, dormire e sperare che al risveglio quel giorno infernale sia passato e che ne inizi uno migliore, ma per noi comuni  mortali non è così. Devi indossare la maschera adatta per l’occasione, dopo poco ero in macchina. Il tempo per raggiungere l’ufficio sembrava infinito. Il tragitto fu riempito da pensieri, domande e risposte multiple.. ancora domande.

Arrivai in ufficio e iniziò la mia giornata lavorativa. Nella testa ancora ” Don’t stop me now, Don’t stop me now”.

Non so perché ma ho creduto che fosse un segnale. “Non voglio fermarmi”, pensai. Mi balenò un desiderio, rivedere qualcuno, allora l’istinto guidò la mia mano sul touch screen del mio Samsung Sei Edge: “Partiamo?”.

Come era successo di perdermi? Quali scelte avevo sbagliato?
Perché avevo dimenticato di domandare a me stessa se era quella la vita che volevo?
Perché mi ero accontentata? Quando poi mi sono ripresa dal torpore, fuori da un ‘ipnosi, tutto era cambiato. Ero in auto mentre tutto veniva ingoiato contro voglia quando un suo messaggio lampeggiò sul monitor del mio telefono. Non era sabato…il sabato attendevo il suo racconto, il suo ricordo enfatizzato, una sua esperienza vissuta lungo km di viaggi:”Andiamo via” era il contenuto… e per un attimo uno sfarfallio nello stomaco.

Ero felicissima di aver preso quella decisione. Avevo voglia di condividere con lei delle emozioni come quelle che avevamo vissuto da ragazzine. Quando eravamo culo e camicia. Avevo voglia di conoscere la mamma e la moglie splendida che era diventata. Ero eccitata al pensiero, ma temevo nel messaggio di ritorno, magari non aveva il mio stesso entusiasmo… invece: ” Certo!”, la sua risposta immediata. Un sorriso accompagnò la mia giornata ed i ricordi iniziarono prepotentemente a tornare nei miei occhi.

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevo sorriso con lei? Quanto tempo era passato dall’ultimo sguardo d’intesa? Le sarei piaciuta? Lo sfarfallio iniziò a fare male ma non esitai ad accettare, quello che non le dissi è che mi sentivo sicura di andare ovunque con lei.

Budapest era la nostra scelta. Iniziai a prepararmi per rendere piacevole la nostra vacanza ed il suo mini soggiorno a Roma. Avevo sentito amici e stilato una lista di cose da fare. Avevo pulito casa affinché potesse essere ancor più accogliente, ero agitata, volevo che ritrovasse ciò che ricordava di me, forse con qualche anno in più, volevo che mi sentisse e poi : ” Scendi, sono giu'”.

In un tempo imprecisato ero ad aspettarla in strada con il tremolio alle mani e lo stomaco chiuso. Ecco le sue falcate, il suo viso acqua e sapone, il suo sorriso, il suo corpo proteso in avanti, il mento alto ….il suo abbraccio forte e doloroso ed il mio. Senza nemmeno ricordare il tempo che era passato era tutto così familiare.
Ho immaginato di leggere da quel lato del divano, lei dall’altro, quei fantasy che appartenevano a lei quanto a me… quei romanzi di Baricco che avevano riempito le sue e le mie ore in tempi e luoghi diversi. Le sue cose disposte sul tavolo, le piante finte sul balcone della cucina, le sue creme nel bagno, la disposizione degli asciugamani ereditata dalla madre…. iniziarono a tranquillizzarmi. Ero con lei, a casa.

Mi precipitai per le scale, non attesi l’ascensore non avevo tempo. Dietro il doppio vetro del portone d’ingresso c’era lei. La bimba che il primo giorno di seconda elementare mi protese la mano per accompagnarmi nel gruppo già composto di bimbi, la ragazzina con la quale andavo in chiesa la domenica mattina, indossando lo stesso modello di abito, l’adolescente con la quale avevo condiviso ” La bonne Esperance” (la nostra birra preferita). Un abbraccio ed i nostri corpi si riconobbero, i nostri cuori non si erano mai dimenticati. Il suo corpo dalle forme morbide, aveva accolto due meravigliose vite, il suo sguardo fiero ma triste. Una donna, una mamma. Il contatto era stabilito . Eravamo di nuovo noi.

Abbracciata a lei sul motorino iniziai a snocciolare la mia vita e lei la sua….quanta vita da raccontare. Come era possibile che riuscivo a dirle sensazioni che prima evitavo di sentire? Lei non era impostata, non voleva essere migliore agli occhi degli altri, non le importava se il casco le aveva sciupato i capelli.
Possibile che fosse la stessa ragazzina che mi insegnò a fischiare come un maschiaccio e che con me ballava fino allo sfinimento davanti allo specchio nelle discoteche di Napoli?

Indossati i caschi iniziò il nostro tour Romano. Le strade ed il vento erano nostri complici. Le parole sgorgavano come cascate, pezzi di vita, di emozioni, l’amarezza per qualcosa che non si era scelto, i dubbi per domande senza risposta. La sua rabbia percepibile  in ogni gesto, in ogni tiro di sigaretta, gli occhi pieni di lacrime non versate. Le decisioni, le sofferenze, due bambini che con i loro sorrisi, 
le donavano la forza. La sua esuberanza, era ancora quella che io ricordavo. Alla ricerca continua di attenzione. La sua immagine appariva fiera, imponente, ma il casco le aveva scomposto un po’ i riccioli d’oro.

La vita aveva segnato anche lei, eppure aveva quel mento così alto.
“Io” conducevo una vita diversa, dove non esci con il motorino, dove non ti accodi in un tavolo per un aperitivo con amici di amici, ma esci con quell’amico e con quell’altro no.
La verità che iniziava a fare male è che lei era proprio la “Me” di un tempo.
Quella che sorrideva e non aveva pensiero degli altri, quella che non aveva necessità di apparire dieci cm più alta.

La vita la stava segnando. Subentravano in lei sensi di colpa, ” Normali per una madre” le dissi. Mi mostrò le sue paure, mi mostro’ la sua anima, non potevo fare altro che ascoltare, di questo aveva bisogno di sentire che c’ero, che fossi li per lei, che fossi presente. Volevo che si fidasse di me.

Io ero ascoltata, a mio agio finalmente e non ero abituata più, non ero abituata a lei. Iniziai a ricordare di me finalmente rilassata…e proprio nel ricordare le due ragazzine di un tempo iniziò il sollievo. Mi lasciai andare e se le fossi risultata un pò arrogante, perchè lo ero, se la mia repulsione alla bava dei cani avesse causato la sua espressione di disappunto, pazienza.

Era cambiata, una donna meravigliosamente in carriera, complessa, caparbia, combattiva, sicura di se, ma allo stesso tempo, fragile ed indifesa, aveva nascosto la sua parte goliardica, aveva nascosto il suo cuore, non poteva esporlo, perché quando l’aveva fatto era stato distrutto. Una mamma dolce  e comprensiva, la sua bocca esplodeva in un sorriso all’emissione del suono dei nomi dei suoi nanetti.

Anche lei era cambiata, aveva superato le sue paure ed era volata dal cielo con un paracadute. Aveva pianto le sue lacrime e sorriso per i suoi successi.

Inevitabilmente il tempo scorre senza sosta come un fiume alla sua foce.
Le nostre vite hanno preso strade differenti, i nostri cammini tortuosi, le incomprensioni, poi la sua esuberanza, la mia tranquillità, stili di vita, passioni differenti…Ritrovarsi per comprendersi di più, per confrontarsi oramai da donne non più da ragazzine in balia dei propri colpi di testa. Non abbiamo mai mollato ed eccoci qua ad esprimere le nostre emozioni, come mai avevamo fatto in passato, a volte non è necessario comprendere o spiegare è tutto più semplice, siamo  Noi. 
Partiamo!

Raf
Dont’ forget to smile

Un giorno da paparazzo

Nascosto dietro un grande cespuglio di gelsomini, al di là del quale un’ immensa piscina e persone, che ad occhio nudo non era facile distinguere.
Pronto con la sua Nikon con un teleobiettivo che avrebbe intercettato anche Amstrong sulla luna, sguardo fisso nella macchina, inizia a scattare a raffica. Dopo ogni sequenza di scatti controllo veloce per impostare la luce e di nuovo scatti a raffica….
Ecco, il mio amico Gigi, Paparazzo in carriera.
Durante la mia vacanza negli Stati Uniti ho avuto modo di approfondire e di vivere da vicino il mestiere del paparazzo, ma poi da dove deriva questo nome?

Ho chiesto a Google ed ho scoperto che la prima volta  che si sentì ” Paparazzo”, fu nel 1960 quando il Maestro Fellini nel meraviglioso film “La dolce vita”, diede il cognome “Paparazzo” al fotografo di cronaca rosa che accompagnava ad ogni passo il giornalista Marcello Rubini (interpretato da Marcello Mastroianni).
Il motivo per il quale Fellini scelse proprio questo cognome rimane nella mitologia della storia del magico film. Il Paparazzo viene descritto come un personaggio tutto sommato goffo, caricato, esagerato, tutto teso a sbarcare il lunario con le proprie foto a costo anche di prendere qualche borsettata dall’attricetta, o qualche cazzotto dal bellone di turno. .
Dal mito del film ” La Dolce vita”, prende piede in Italia e nel mondo un nuovo mestiere “Il Paparazzo”, anche Lady Gaga gli dedica un pensiero, identificandosi in un paparazzo per seguire il folle amore.
Lady Gaga Paparazzi

Ho sempre osservato da lontano questo lavoro, ma ora che potevo viverlo non ho perso l’occasione.
La giornata inizia con una buona colazione e tante telefonate per l’organizzazione del lavoro.
Prima tappa ” Inaugurazione per la stella dedicata ad Ennio Morricone sulla Walk of Fame”. Per questo evento non è possibile essere vestiti casual occorre la giacca ed il gel nei capelli, fondamentale il  borsone con i vari attrezzi del mestiere: due macchine Nikon, obiettivi e tante schede memoria.
Attendiamo sulla panchina l’arrivo degli ospiti che presiederanno all’evento. Ed ecco la prima limousine, un balzo e l’auto viene praticamente assalita dai flash e migliaia di scatti. Il Vip di turno viene accompagnato dalla presenza di Gigi ed i suoi colleghi fin sul red carpet. Il Vip non sembra essere infastidito ma sorride ad ognuna delle macchine puntate sulla sua figura, ammiccante, talvolta scherzoso, talvolta tenebroso. Durante la cerimonia i flash si placano, i paparazzi sembrano diventare normali reporter ordinati e silenziosi,”la cerimonia va rispettata”, mi dicono. Qualche goccia di sudore sul viso di Gigi.
Il tripudio di urla e flash riprende quando il Maestro Morricone posa vicino alla stella a lui dedicata.
“Maestro Maestro da questa parte!”
“Ennio Ennio di qua di qua!” .
Ognuno di loro cerca di accaparrarsi il sorriso migliore del Maestro.
“Gigi ma poi queste foto già sapete a chi darle?”
“Si, ora le invio alla mia agenzia che poi tramite accordi a sua volta le vende alle riviste del settore.” 
“Accipicchia che giro, una catena di montaggio! Può capitare che le foto restino non vendute?”
Certo, ma per fortuna le mie sono belle e le piazzo sempre,” mi strizza l’occhio.
 Di corsa nel primo bar più vicino per utilizzare la connessione wifi, qualche ritocchino a qualche ruga, sistematina a qualche contrasto, qualche ombra  ” Invio”.

Fatto!
La giostra ricomincia.
Telefonate ed sms con qualche soffiata di avvistamento vip, certo, sei ad Hollywood quasi normale. Via, di corsa in macchina direzione Malibu.
Arrivati in loco, Gigi mi spiega che le ville delle Stars (attori del calibro di Bruce Willis, Charlize Theron e Leonardo Di Caprio) sono inarrivabili, non c’ è modo di avvicinarsi, ma una piccola breccia in un tessuto reticolato che divide la strada dalla spiaggia, permette loro di imbucarsi ed arrivare più vicino possibile a quei meravigliosi alloggi. Li osservo sollevare il reticolato per ampliare la breccia, con l’agilità dei pachidermi in pensione, sguisciano dall’altra parte ( l’attrezzatura non permette loro nessun tipo di facile movimento), un balzo ed i piedi nella sabbia.
Ora tocca a me, tengo con una mano sollevata la rete, e con la leggiadria della cugina dei pachidermi in pensione, mi lancio nella fresca sabbia, accasciandomi in avanti. Con un sorriso di chi ha fatto una pessima figura mi sollevo e inizio a seguirli. Attraversiamo una sorta di corridoio stretto stretto, i muri sono delineati dalle pareti degli appartamenti. Il percorso è in discesa. I miei amici Paparazzi tirano fuori le loro armi dal borsone.
Il corridoio termina con la spiaggia aperta., innanzi a noi l’oceano.
Incantata da quella vista, mi accorgo di un improvviso strano brusio e poi tutti con lo sguardo a destra, come schegge impazzite, iniziano a scattare. Non riesco a rendermi conto.
Ma chi stanno fotografando? pensai.
Gigi come se mi avesse letto nel pensiero, abbassa la macchina fotografica dal volto e mi dice che dietro alla finestra c’era Paris Hilton.
Ah! Io ovviamente non avevo visto nulla.
Con andatura tranquilla camminiamo sulla battigia, i ragazzi hanno riposto le macchine per non dare troppo nell’occhio, ora siamo turisti per caso che ammirano l’architettura del luogo. Nessun altro vip nelle vicinanze, purtroppo. Buco nell’acqua.
Ritorniamo all’auto con il tramonto alle spalle.
Durante il tragitto per rientrare i telefoni impazziscono.
Gigi mi spiega che in previsione della premiazione degli Oscar si organizzano tanti eventi, ma purtroppo super blindati e quindi non vale la pena neanche provare ad avvicinarsi. La giornata termina con una telefonata da parte di una Vip italiana che chiede di fare un servizio fotografico nel famoso Hotel…
 “Ah caspita quindi sono anche loro a cercarvi?”
” Certo spesso nascono proprio delle collaborazioni, noi facciamo loro le foto e loro non perdono la notorietà, il pubblico soddisfa la propria curiosità”.
“Mi sembra un giusto compromesso, così lavorate tutti.”
Incuriosita da questo mestiere, durante la cena, sottopongo Gigi al mio terzo grado.
Perché questa scelta, cosa lo ha spinto ad intraprendere un mestiere così particolare?.

Il mio caro amico Gigi mi racconta, che dopo aver avuto un’infanzia ed un’adolescenza difficili si ha voglia soltanto di riscattarsi, di capire quali siano i propri sogni e realizzarli.
Dopo aver lasciato la casa natia giovanissimo inizia la sua avventura a Milano dove diplomatosi inizia a lavorare come apprendista fotografo in un’agenzia di moda. Appassionatosi poi al tipo di lavoro e alle belle donne, decide di volerlo fare sul serio ed inizia a frequentare la Scuola di fotografia. I suoi sacrifici sono stati tutti ripagati, mi dice.
Gigi mi ha spiegato che non ci si può improvvisare in questo mestiere.
Molti come lui hanno fatto tanta esperienza e tanta gavetta per diventare dei bravi fotografi. Scattare una bella foto non è semplicemente premere un pulsantino, ma cogliere l’attimo giusto, quel lasso di tempo che ti permette di catturare i colori la luce perfetta prima che muti, e poi il tuo punto di vista è fondamentale. E’ il tuo punto di vista che permette di differenziare la tua foto da un’altra con lo stesso soggetto, è fondamentale per farti vedere Oltre, è la tua firma, ed è questo “quid”che ti fa vendere le tue foto, in modo che possano essere pubblicate ed apprezzate.

Gigi mi parla con tanta passione negli occhi. Soddisfatto. L’amore per il suo mestiere è palese.
Si percepisce in ogni sua parola.Questa giornata da Paparazzo è stata faticosa e divertente. Immedesimandomi in ognuno di loro ho percepito la fatica, la passione. Allo stesso tempo un’esperienza che mi ha aperto gli occhi su vecchi pregiudizi caricati da altre fonti. Sembrerà banale ma se non si vive questo mestiere non lo si può capire veramente.  Poi diciamoci la verità loro sono artisti nel cogliere l’attimo, anche quello più strano!
Raf
Dont’ forget to smile

Un giorno qualunque

Meravigliosa domenica mattina.
In viaggio per la gita fuori porta. Il sole sembrava essere timido e nascondersi dietro le grosse spumose nuvole bianche. Dal finestrino dell’auto e protetta dagli occhiali, osservo attentamente i suoi movimenti. Buon ballerino, si accompagna prima all’una e poi all’altra nuvola, da egocentrico qual è, poi, prende pieno possesso del suo spazio, allontanandosi dalle sue bianche amiche danzatrici.
Mi faccio coccolare dal suo sorriso. Il tepore dei suoi raggi penetra nella mia pelle donandomi una sensazione di benessere, di serenità. La leggera brezza che arriva da una piccola fessura del finestrino appena aperto, l’andamento dell’auto, contribuiscono a far calare sui miei occhi il buio…

Bambini che ridono in lontananza, un profumo di limoni molto forte, uno strano ronzio, una mosca si poggia sulle mie labbra per un secondo, apro gli occhi.Il viso appoggiato su un materiale che sembra quello delle reti da pesca, mi muovo, vedo solo un pavimento grigio e qualche formica, che a fatica trascina piccoli resti di pane forse, portati dal vento. Provo a girarmi con cautela, sono avvolta nell’abbraccio alquanto pericoloso di un’amaca. I limoni penzolano dal maestoso albero, il sorriso del sole si fa spazio tra le foglie: sono a casa. Da lontano, una figura imponente seduta al tavolo, la nonna, intenta a pulire dei piselli freschi.

I sensi si risvegliano a poco a poco dal torpore.
Come arredare il giardino in modo sostenibile
” We’ ti si scitat a nonn’?
Ancora stordita faccio un cenno di assenso con il capo.
Mi siedo accanto alla nonna, con lo sguardo perso nella bacinella contenente i piselli. Lo sguardo poi viene attratto dalle sue mani e  si sposta su un baccello  che viene aperto con maestria. Il pollice della mano destra spinge fuori i frutti, tutti insieme, all’ interno della bacinella. Questa fase di ipnosi mistica, viene interrotta da mia sorella: ” Mamma ha detto che è ora di merenda“.
Mi porge una profumata fetta di pane ricoperta di nutella e un succo di frutta al gusto pesca.

Sotto lo sguardo vigile e premuroso della nonna finita la merenda, mia sorella ed io iniziamo a scorazzare per il giardino come due mine impazzite. Iniziamo, senza mai finire, vari giochi con la palla, con l’elastico, gare con l’hula hoop, quando compare al cancello di ingresso l’altra nonna, Michy.

Perfetta nel suo vestito della domenica, blu, i suoi capelli rossi perfettamente acconciati e quella voce inconfondibile: “We We Bonasera, comme stai a nonn”.

Attraversato il cortile nonna Michy raggiunge l’altra nonna, dopo i saluti di rito, inizia un lungo dibattito sulla freschezza dei piselli, su come riconoscerli, come sceglierli, tutte le varie specialità possibili nelle quali si può utilizzare il pisello.Vincitrice del dibattito la pasta mista con i piselli freschi
“Chell azzeccos azzeccos” ( quella senza tanto brodo).
Una leggera brezza accompagna l’arrivo del tramonto. Fioco, leggero.
I grandi ora sono totalmente rilassati. Mamma accomodata con le gambe sulla sedia, chiacchiera degli ultimi eventi con zia Luisa, papi nell’altra parte del giardino ad innaffiare il piccolo orto, il tramonto è il momento giusto per farlo, le nonne chiacchierano vivacemente sull’altalena, dondolandosi.
Mia sorella ed io, a turno, ci arrampichiamo come piccole scimmiette sull’albero, cogliamo i limoni più esposti per poi tagliarli a fettine sottili ed intingerli nello zucchero. Il sapore dolce dello zucchero, il succo aspro del limone, ci fanno strizzare gli occhi ed arricciare il naso, ma che bontà..

” We’ Antone pije e fav spuzzuliamm nu poc” ( Antonella prendi le fave sgranocchiamo un poco).
“Uhhhh o ver mo ve pije”.
Mamma con uno scatto felino, rientra in casa, dopo 10 minuti riappare con una busta piena di fave e un vassoio con tutto quello che aveva trovato in frigo: pancetta, prosciutto di quelli imbustati che portava papi da lavoro, piccoli pezzi di groviera e tocchetti di formaggio, credo semi piccante, qualche pomodoro del pane e le friselle. Appoggia tutto sul tavolo in giardino ritorna in casa per prendere dell’acqua.
Non è ancora ora di cena,  ma sempre un ‘ora giusta per uno spuntino.
Le nonne continuano a dondolarsi, l’altalena accompagna  il movimento con un rumore leggermente fastidioso…noi mangiamo.
Le fave hanno un sapore particolare, dolciastro. La cosa divertente è infilare tra i denti il frutto, con un’incisione eliminare il baccello, sputarlo con energia più lontano possibile , magari colpendo mia sorella, e mangiare il cuore. Il profumo delle fave riempie l’aria.
Si continua a chiacchierare.
All’improvviso un tonfo!
Un rumore di metallo battuto, o qualcosa di simile raggiunge le mie orecchie e quelle di mia sorella.
Ci voltiamo.
Silenzio.
Uno sguardo veloce per capire cosa è successo, poi una fragorosa risata.
“Oddio mi manca il respiro”…
L’altalena ha smesso di cigolare, i ganci del lato sinistro hanno ceduto, le nonne sono crollate a terra, solo su un lato.
Io non riesco a non ridere, lo stesso vale per mia sorella. Mia madre, dapprima preoccupata poi emette una sonora risata, zia Luisa la segue.
Tutti ridiamo.
Le nonne intanto restano lì per terra, insieme alle fave e alla pancetta.
Rido così tanto che mi manca il respiro, gli addominali sono contratti.
Povere nonne non riescono a rimettersi in piedi da sole, allora mi avvicino prendendo per un braccio nonna Michy, che ride come una matta coinvolgendomi a tal punto che non riesco a sollevarla. Mamma prova con nonna Raffa, ma le risate hanno un’energia più forte.
Nonna Raffa ha le lacrime agli occhi, intanto che rimane a terra con il grembiule asciuga gli occhiali che le si sono appannati.
Papi che non aveva assistito all’accaduto, inizia a ridere e cerca di capire dalle parole sbiascicate di mamma che l’altalena ha ceduto e che ci vogliono più persone per tirare su le nonne, allora
prende per un braccio nonna Michy che riesce finalmente a rimettersi in piedi, poi passa all’altra.
Ora nonna Raffa si fa seria per un attimo, poi ricomincia a ridere quando papi tenta di sollevarla.
” Jamm a no’ si no nun c’ a faccj” ( su nonna altrimenti non ci riesco)!
” 1 – 2 eeeeee 3!”
Ohhhhhhhhhhhh”
“ja”
” 1 – 2 eeeeee 3 “
“ohohohohohoh”
” ja nata vota”
“Oohohoho ahhhhhhhh ecco qua”
“Nonna ti sei fatta male”, chiedo tra le risate.
” No a nonn, teng o mazz ruoss, è cusc” ( non a nonna ho i sedere grande come un cuscino).
” Ahahah ahahahah”.

Qualcuno mi scuote prendendomi per il braccio, nonna prova a sistemarsi la sottana
qualcuno mi scuote ancora…nonna Michy recupera le fave cadute.
Qualcuno mi scuote ancora mi giro…apro gli occhi,
sono in auto:

” Raffa Tutto bene, siamo arrivati, ma che cosa hai sognato, prima che ti svegliassi stavi ridendo”
Ancora legata a quel bellissimo ricordo appena rivissuto gli rispondo:
”  Sognavo un bellissimo giorno d’estate, mi divertivo, ero a casa.!”

Un sorriso sereno sul mio viso mi avrebbe accompagnata per tutto il giorno.

Raf
Dont’ forget to smile