The Winner is….

Fin da bambine mia sorella ed io, incantate davanti al televisore, ammiravamo “le stars” che a testa alta, sorrisi brillanti, abiti da sogno, gioielli tutt’altro che modesti, salutavano il bagno di folla che li attendeva, mentre calpestavano il Red Carpet più ambito in assoluto per i professionisti del mondo del cinema.
Ed ora io ero lì ad un passo da quel tappeto…
Ma come nascono gli Oscar? Da dove deriva questo nome?
Da buona appassionata di cinema avevo letto notizie in merito a questo evento che tutto il mondo cinematografico e non, attende ogni anno con ansia.
L’Academy of Motion Picturte Arts and Sciences, organizzazione professionale onoraria fondata l’11 maggio 1927, istituisce gli “Academy Awards”, vero nome degli Oscar, con lo scopo di sostenere lo sviluppo dell’industria cinematografica.
Attorno al nome attribuito agli Oscar nascono varie leggende, due tra queste sono quelle più famose: la prima riferita ad una bibliotecaria dell’Accademy, Margaret Herrik, che guardando la statuetta esclamò “Assomiglia proprio a mio zio Oscar!”, la seconda riferita invece all’attrice Bette Davis che rivendicò l’attribuzione del nome, affermando di aver chiamato Oscar la statuetta in onore del suo primo marito Harmann Oscar Nelson jr.

L’ambita statuetta che premia il vincitore rappresenta un guerriero appoggiato ad uno spadone su una pellicola cinematografica. La statuetta è di metallo placcato in oro ed ha un valore reale di 295 dollari.
Ed ora era lì davanti a me quasi potevo toccarla.
Certo, era la versione gigante della statuetta, ma comunque un’emozione indescrivibile.
La mattina del 28 febbraio Hollywood era blindata, qualsiasi strada si volesse percorrere sia in auto sia a piedi era chiusa. I quartieri adiacenti al Dolby Theatre erano impraticabili e super controllati da “omaccioni” in divisa che bevevano redbull over size.
Per ovviare al problema quella mattina, decidemmo di andare in giro, fin dove era possibile, in esplorazione, in attesa di assistere agli Accademy Awards.
La prima tappa Griffith Observatory.
 
 

E’ l’ osservatorio astronomico della città, uno dei punti più panoramici di Los Angeles. Una vista mozzafiato su Hollywood, il bacino della city, la downtown e l’oceano, tutto in unico solo sguardo, tutto in un respiro che di tanto intanto esitava innanzi a così tanta immensità.
Dopo essermi piacevolmente arricchita di vecchie nozioni di scienza, il giorno e la notte, il sole e la luna, l’eclissi e l’alternarsi delle stagioni e aver ricordato il tempo in cui le avevo acquisite, lasciammo l’osservatorio astronomico per tuffarci totalmente nella natura. Il Griffth Park, è un meraviglioso parco, con piccoli sentieri sterrati, facilmente percorribili. Lungo i vari sentieri Gigi, l’Avvocato ed io eravamo ispirati, intraprendemmo discorsi sulla bellezza della vita, l’importanza di viverla profondamente e nell’intento, farsi accompagnare dalla persona giusta.
Alla fine di un sentiero, che sbucava su una piccola piazzetta all’interno del quale erano posizionate delle graziose panchine, c’era lei.

 Maestosa dall’alto di quella collina, lei protagonista in migliaia di film e telefilm che avevano accompagnato la mia adolescenza. ” Hollywood sign”
Decisi di cogliere quegli attimi, immortalarli non solo nella  mia memoria, ma all’interno di una memoria digitale. Gigi si immolò per la causa e ci divertimmo a scattare foto in cui la famosa scritta fosse evidente.

La mattinata trascorse così tra foto e sorrisi. Il sole non aveva mai smesso di accompagnarci.
Ero serena.
Uno dei miei sogni era diventato reale.
Intanto l’atmosfera attorno al Dolby Theatre era divantata incandescente.
Purtroppo dopo vari tentativi falliti, di avvicinarci alle “Limo” degli artisti, prendemmo la saggia decisione di vivere gli Oscar, come avrebbe fatto un comune americano, guardandoli alla tv.
Entrati in un pub, dove il profumo di patatine fritte scatenò i miei sensi, ordinammo da mangiare e iniziò l’attesa.
Occhi fissi sugli schermi. Il Red Carpet iniziò ad affollarsi di personaggi eleganti e particolari. Con attenzione i miei occhi scrutavano ogni particolare, ogni loro gesto per carpirne le emozioni o la tensione del momento e lo stilista che aveva creato l’abito, ovviamente. Tutto si svolse al di fuori del pub in cui ero in quel momento, per me era pazzesco. Solo delle transenne e qualche “omaccione” mi divideva dall’ingresso del Teatro.
Ero lì.
Una birra dopo l’altra, trascorsero un paio d’ore all’inizio della cerimonia ufficiale. La mia attenzione era focalizzata sul Maestro, Ennio Morricone, candidato per ” Miglior colonna sonora” nel film di Quentin Tarantino. Eccolo, che in lacrime sul palco, finalmente ritirò il suo primo premio Oscar ( premio alla carriera a parte). Emozionante momento, intenso. Il nostro applauso era d’obbligo, attirammo così l’attenzione degli altri ospiti del pub, che sorridendo parteciparono alla nostra gioia.
 Il silenzio calò nel pub quando si avvicinarono le premiazioni per le candidature più importanti, una in particolare ” Miglior Attore Protagonista”.
Tra i candidati a questa categoria Eddie Redmayne, che personalmente adoro e lui …l’eroe del Titanic, l’uomo che aveva vissuto con una maschera di ferro, che aveva esplorato l’inconscio, ed era stato aviatore, agente segreto, ladro, figlio disabile, per questa candidatura Un Redivivo… Leonardo Di Caprio.
Tutti tifavamo per lui, troppi Oscar immeritatamente persi, anche se in questo film, a mio avviso non aveva dato il meglio di se, ora era arrivato il suo momento.
” The Oscar goes to…….Leonardo Di Caprio”…
 Un boato da pelle d’oca, la gente esultò come se la nazionale di calcio avesse vinto i mondiali, si abbracciarono, urlando il nome: ” Leo Leo Leo”… un applauso interminabile, e poi nuovamente silenzio per ascoltare il discorso del vincitore dell’Oscar.
Osservai con attenzione i visi delle persone, i loro occhi puntati sulle labbra dell’attore, come se quelle parole avessero qualcosa di magico, di ipnotico, spesso le loro teste accennavano un piccolo movimento di assenso, di tanto intanto partiva un applauso solitario.
Da quel momento in poi sentì la tensione diradata, quasi sparita.
Iniziai a vedere i visi più distesi, le schiene iniziarono a spostarsi sugli schienali delle poltrone, il corpo si abbandonava alle emozioni, le mani lasciavano delicatamente i bicchieri colmi di birra.
I fidanzati ripresero a parlarsi.
Una valanga di “roba” mi arrivò addosso, woow!
Avrei voluto chiamare subito mia sorella per raccontarle tutto! Che finalmente avevo partecipato a modo mio alla vera “Notte degli Oscar”, che l’atmosfera vissuta in quel pub aveva reso tutto perfetto e ancor più reale, ma pensai che magari  mia sorella nonostante tutto non avrebbe avuto piacere a ricevere una telefonata alle 4 del mattino, per cui pagato il conto, stanchi  ma eccitati decidemmo di rientrare in Motel.
Un altro giorno era trascorso nella città degli angeli, un altro giorno meraviglioso, un altro giorno pieno di vita…
Ah! Anche io avevo ricevuto il mio Oscar…

Raf
Don’t forget to smile