Il letto a castello

Un numero di cellulare salvato come ” Sora”.

Una piccola stanza, una finestra, un letto a castello complice discreto. La nostra vita condivisa si è svolta lì:

Tu “al primo piano”, io sotto.

Intere giornate rivissute in quel letto. Sorrisi, catastrofi, primi amori, lacrime segrete, brutti voti.

Il nostro spazio, il nostro tempo, la nostra oasi sicura.

Quel letto ci ha sopportate durante le nostre notti insonni, quando cantavamo tutte le sigle dei nostri cartoni animati preferiti, quando inventavamo storie per le nostre Barbie, quando sognavamo il nostro principe azzurro, cosa avremmo fatto nell’anno “2000” quanti anni avremmo avuto, come saremmo invecchiate.


Quel letto ha visto scambiarci, slip, vestiti e scarpe, ci ha viste decorare i nostri armadi con i poster giganti dei più assurdi gruppi emergenti del momento, dopo poco sostituiti dall’elenco dei ragazzi che ci avevano rubato il cuore.

Quel letto è stato giudice parziale ai nostri litigi e amico dei nostri abbracci, complice dei nostri sorrisi quando si sentiva il vicino russare, quando prendevamo in giro le persone che ci dicevano:

“Ma siete gemelle o solo sorelle? Però avete anche la stessa voce”.

E poi una notte:

“Michy sei pronta domani è il grande giorno”.

“Bo Ra Speriamo bene”.

Era arrivato il momento di lasciare il letto a castello, di lasciare quella vita per iniziarne una diversa, meravigliosa, concreta.

Ora mi piace guardare tua figlia che come te si arrampica “al primo piano” e si sdraia su quel letto per guardare le stelline fluorescenti attaccate al soffitto, proprio come facevi tu.

Oggi è il tuo compleanno, qualcuno direbbe i tuoi primi 40 anni…

Voglio ringraziarti sorella per avermi spianato la strada, per aver lottato per la nostra indipendenza in famiglia, per aver lottato per rientrare più tardi il sabato sera, per quello schiaffo di quella sera d’estate che mi ha aperto gli occhi.

Ho sempre trovato in te una confidente e complice perfetta.

Sei la consulente di immagine più spietata al mondo. Non lasci possibilità di vita ai miei outfit, o ai miei nuovi tagli di capelli, se non ti piacciono, lo esprimi senza scrupoli ed in maniera anche colorita, così da non lasciare spazio a dubbi.

Sei la mia prima sostenitrice per tutte le cazzate a cui voglio dare vita, come questo blog.

I tuoi applausi hanno significato e significheranno molto di più di quelli di una qualsiasi folla, perché gli altri vedono soltanto il risultato, mentre tu vedi tutto ciò che ci ha portate fino a lì.

Le nostre strade si sono divise, ma non le nostre vite.

Tu quella razionale,

io la sognatrice.

Tu impulsiva,

io riflessiva e mediatrice.

Ci compensiamo.

Non ci sarà mai un me senza te.

Mia sorella sempre.

Raf
Dont’ forget to smile

Rosso pomodoro

Il rumore del metallo, l’acqua che bolliva, il calore del fuoco, i pomodori, il sole, i sorrisi.

Ferma ai giardini a leggere “ IQ84”, l’omino lavorava armato di cuffie arancioni e tosaerba. Era lento nei suoi movimenti . Lo sforzo piegava i muscoli che si contraevano durante la spinta in avanti della macchina e tra le lame in basso fuoriuscivano piccoli ciuffi di erba. Avete presente il profumo dell’erba? Ha un odore particolare, ma quando viene tagliata l’odore si accentua, è ancora più forte ed entra quasi di prepotenza nelle narici, diffondendosi nel sangue lasciando un segno nella memoria, indelebile. Quel profumo risvegliò in me vecchie sensazioni.

Il mio sguardo fisso sull’omino a lavoro.Una splendida giornata il sole riempiva il cielo, la mente mi guidò su una mano destra, il pollice e l’indice tenevano un rosso pomodoro all’estremità, che a causa di una forte pressione esplose.
Era la stagione del raccolto di pomodori ,” i San Marzano” , quelli che il mondo ci invidiava. Casa Anastasio fremeva di lavoro. Il giardino pullulava di gente e di ragazzini.

Mio padre dopo aver acquistato dal contadino qualche quintale di pomodori dislocati in tutto il giardino nelle varie cassette di plastica colorate, si dedicava al lavaggio delle bottiglie, con un fantastico scovolo rosso ed al lavaggio dei pomodori.

Una bagnarola gigante blu, che solitamente usavo per fare il bagno caldo in inverno, veniva usata come recipiente per riporre i pomodori da lavare. Una pompa che donava acqua fresca senza sosta era appoggiata all’interno. Mio padre chinato sulla bagnarola, con una mano appoggiata sul manico per reggersi , l’altra invece era immersa intenta a girare e rigirare i pomodori in modo che potessero essere lavati bene. Era possente tutti i muscoli delle braccia e della schiena erano a lavoro, il movimento del braccio destro comportava delle contrazioni più evidenti della fatica effettuata. Era bello vederlo all’opera. Spesso volevo rubargli il posto, adoravo stare nell’acqua.

Dopo questa lunga operazione i pomodori andavano riposti nelle cassette e a gruppi messi in uno scolapasta affinché l’acqua potesse scivolare via.

Tutti in cerchio, la nonna come guida, si iniziava, quasi un rito.
 Il pomodoro presentava sempre “ o streppon”  ( il raspo, la parte che congiunge il frutto alla pianta), che andava tolto.
Estirpato, emanava quell’odore, l’odore dell’erba tagliata.

“ Ovvi , pij a pummarol e po le a premmr ( vedi prendi il pomodoro e poi lo devi premere) o puliz e o miett ca dint ( lo pulisci e lo metti qui dentro)”

Il pollice e l’indice tenevano il pomodoro alle due estremità che con una leggera pressione causavano un’apertura al centro, attraverso cui i semini contenuti all’interno venivano espulsi.

I pomodori avevano quel profumo, di fresco, di buono.

Eravamo una catena perfetta, mia sorella ed io ci divertivamo a pressare i pomodori. Fare uscire i semini diventava un momento goliardico, perché casualmente invece di finire nel recipiente, si spiaccicavano sugli occhialoni viola della nonna, che rideva e ci sgridava.

La nonna e zia Marga erano addette al riempimento, la parte quasi più importante. Bisognava mettere i pomodori nelle bottiglie e  schiacciarli in modo da togliere l’aria all’interno, lo facevano con tanta dimestichezza che sembrava lo facessero da sempre. La mano chiusa a pugno, l’indice ed il medio un po’ più sporgenti, pigiavano i pomodori fino ad appiattirli, inserendo poi una foglia di basilico fresco che avevano preparato precedentemente.

Si andava avanti fino a sera, ma l’aria tiepida e l’abbraccio del tramonto rendevano tutto leggero per nulla faticoso.

Finito di riempire le bottiglie, chiuse con un tappo ed un aggeggio simile ad un cavatappi, mio padre preparava il bidone.

Il bidone era un fusto di metallo a forma cilindrica, che papà da ragazzino affittava con 100 lire per  tutto il tempo che serviva, nel nostro caso invece, era stato preso in prestito dai cantieri navali. Con molta cura, in un angolo del giardino, sistemava dei mattoni formando un quadrato ma con il lato centrale aperto, per poter inserire la legna, come una brace. Il bidone andava posto su quella brace.

Iniziava così il passaggio di un centinaio di bottiglie da una mano all’altra fino ad arrivare a mio padre , che arrampicato come una scimmia inseriva le bottiglie nel bidone facendo attenzione a non spaccarle.

“ Papi perché metti la stoffa sulle bottiglie?”

“Perché quando l’acqua bolle può spostare le bottiglie e si possono rompere invec accussì stann chiu comod” ( invece così non urtano tra loro). Poi ci mettiamo l’acqua fino a ncopp e mettim o cupierc.

Prima di chiudere il coperchio però si usava mettere una patata per capire il livello di cottura.

Era il momento di accendere la brace, la legna era al suo posto, un po’ di carbonella e qualche foglio di giornale imbevuto di alchool, ed era fatta, a fuoco acceso era inevitabile l’applauso e qualche urla di approvazione.

Il buio calava lentamente, la luce del fuoco e di qualche lampada accesa in giardino creavano un’atmosfera di totale relax, anche l’ora di cena tardava ad arrivare e spesso si mangiava la pizza tutti insieme all’aperto, altre volte ci si arrangiava con quello che c’èra in casa, spesso pane con formaggio e qualche insaccato in attesa della fine del lavoro. Ci sedevamo dove capitava per mangiare, preferivo sedere a terra o sulle scale di ingresso a piedi rigorosamente scalzi.
Un momento di ritrovo tutto nostro. Si chiacchierava, si rideva, si giocava, fino a quando il coperchio del bidone non catturava la nostra attenzione facendo strani rumori sollevato dall’acqua in ebollizione. Il fuoco andava diminuito e reso più debole, ne approfittavamo per cuocere delle verdure o patate al cartoccio buonissime. Le nostre conserve erano pronte. Non vedevo l’ora che la nonna ci preparasse un sugo speciale. Il fuoco era quasi spento.

Un rumore assordante di un’ambulanza distolse il mio sguardo dall’omino, avevo le scarpe, tra le mani il mio libro. Mi ritrovai sulla panchina… un flashback ma questa volta non un film, ma la mia vita.
Respirai ancora una volta quel profumo.

Ringraziai l’omino  che tagliava l’erba che con faccia stupita mi disse: ” Prego!” .
Mi allontanai.

l sole mi aveva regalato un nuovo sorriso.
Raf
Dont’ forget to smile

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Il mio pensiero “Amore”

Poeti, cantanti, filosofi, scrittori lo hanno ricercato, lo hanno raccontato, artisti lo hanno scolpito, dipinto, sussurrato. Ma che cos’è questa strana potenza che cattura i nostri pensieri, la nostra anima…

“Ti vedo scritta su tutti i muri ogni canzone mi parla di te, e questa notte questa città mi sembra bellissima”.Cit. da “ Chissà se stai dormendo” Lorenzo Jovanotti
Chissà se stai dormendo

“Come vorrei poter parlare senza preoccuparmi, senza quella sensazione che non mi fa dire che mi piaci per davvero”. Cit. da  “ Oggi sono Io” Alex Britti
Oggi sono Io

“Ti odio e ti amo , come posso far ciò forse ti chiedi. Non lo so ma sento che così avviene e me ne tormento” Cit. Catullo

“It must have been love but it´s over now. it must have been good but I lost it somehow. it must have been love but it´s over now.” Cit.  da “ It must have been love” Roxette
It must have been love

” Abbi una felicità delirante..(…)l’amore è passione è ossessione, qualcuno senza cui non vivi( …) dimenticati il cervello ascolta il cuore”.
Discorso sull’Amore da Vi presento Joe Black

” Non so con chi adesso sei non so che cosa fai ma so di certo a cosa stai pensando è troppo grande la città per due che come noi non sperano però si stan cercando ”.    Cit.“ E Penso a te” Lucio Battisti
E Penso a Te

“Ti proteggerò dalle paure e dalle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai(… )ti solleverò dai tuoi sbalzi di umore….” Cit. da “La cura” Franco Battiato
La cura
Queste sono solo alcuni dei testi ricchi di parole d’amore  che hanno accompagnato la mia vita.
Ma noi, ci siamo mai chiesti che cos’è veramente l’amore, inteso tra due persone?

Spesso ci ritroviamo a piangere leggendo o ascoltando testi romantici, immedesimandoci in parole non nostre, annuendo e facendo nostro ogni concetto di quel testo. Sorrisi legati a note suonate in un momento particolare della nostra vita, poesie che ci rubano il respiro….

“Questa è proprio la mia storia.. si, sono io”.

Per gioco ho provato a chiedere ad i miei amici, cosa fosse per loro l’amore, avevo necessità di capire di sapere, di confrontare il mio pensiero con il loro.

Così ho iniziato una sorta di sondaggio con un’unica sola domanda scegliendo i miei amici, per età e sesso differenti.

Roberto alla domanda che cos’è l’amore mi ha risposto con occhi al cielo ed un sospiro.

Conseguenza? Il mio sorriso. Lui non poteva essere più chiaro, ha cercato le parole nell’aria ed ha trovato una canzone, legata a dei fumetti, che prontamente mi ha canticchiato mentre a me veniva in mente il jingle di Lorella Cuccarini per la cucina più amata dagli Italiani..  forse sono l’unica a ricordarlo.

Ovviamente il mio sondaggio non si fermava lì.

Chris: ” Mi viene da dire che l’amore è respirare aria pulita che ti far stare bene, che ti riempie i polmoni, la vita ecco.”

Claudia: “ rispetto reciproco, lealtà, andrebbe inserito in un concetto più vasto.”

Paola:” Gioia di vivere, entusiasmo, fiducia reciproca, per me è sinonimo di passione, spirito di sacrificio”.

Michy:” Rispetto, fedeltà, compromesso, pazienza, fiducia”.

Sabrina :” Libertà, fiducia”.

Ciro : ”che t’agg risponnr? L’ammor nun è sott e lenzuol ( cosa vuoi che ti risponda l’amore non è sotto le lenzuola) è condivisione, è comprensione, non è fisicità, non è perfezione, o meglio è perfetto nella sua imperfezione, è accussi’”.

È stato divertente leggere  l’imbarazzo nei loro occhi e scorgere timidezza nelle loro voci al telefono. Il comune denominatore è stata la fatica di trovare un vero significato a quella parola che tanto ci fa sospirare. Perché una parola troppo importante, perché comprende tutto, tutto ciò che avevano citato.

Allora ho provato a farmi la domanda: “ Raf ma per te che cos’è veramente l’amore?”

Ho rovistato alla ricerca di qualcosa di precedentemente sentito o provato, dietro alla valvola mitralica, qualcosa di nascosto, aggrappato  alle arterie coronarie ed era tutto lì, tutelato da occhi indiscreti, da cattivi pensieri. Pronti a tornare allo scoperto a tempo debito. L’accelerazione dei battiti del cuore sarebbe stato il loro segnale, per ritornare in superfice.

Emozione in un’istante, la sensazione di speranza, infinita pace in una carezza, il calore di un abbraccio sincero. La forza di creare e trasformare, luce sui giorni bui.

La forza di uno sguardo che ti trapassa l’anima così intensamente da toglierti il fiato, ma farti sentire viva. È un urgano che aumenta i tuoi sensi, li amplifica….

Acqua nel deserto.

E’ avventura, è condivisione di gioie di dolori. E’ camminare insieme non l’uno avanti all’altro, ma al fianco dell’altro. L’amore è attesa, è coraggio è pazienza.
E’ ridere insieme e non capirne il motivo.

E’ rubare del tempo a se stessi per donarlo all’altro.

L’amore è attenzione, è complicità in un unico sguardo, in un gesto.

L’Amore è quel salvagente che ti viene lanciato in mezzo al mare per non farti affogare.

E’ guardare un film sul divano, semplicemente per non fare nulla Insieme.

E’ una mano tesa per attraversare la strada, una pasticca di tachipirina durante la notte per la febbre alta.

L’amore  è il petalo di un fiore.

Lo sguardo luminoso e inebetito.

È sostegno , è supporto. Non è sofferenza.

È brivido.

E’ un respiro affannato nella notte in cui gli odori diventano segni inconfondibili della passione.

E’ semplice.

L’amore  è in 9 pagine scritte con un inchiostro intinto in un fiume di rabbia, ben nascosto da quelle parole ma presente in ogni singola lettera.

L’amore è un’ insieme di parole in circolo, di frasi fatte, stereotipate, all’apparenza banali ma vere, perché vissute, come queste.

L’amore è libertà. Ecco.

E per voi?

“Forse ciò che rende unico l’amore è questo suo inafferrabile morire e rivivere ad ogni istante.” Juan Baladán Gadea, dal libro “Di solitudine e amore”.
Raf
Don’t forget to smile

 

Radio Freccia

Appena maggiorenne,
un filo sottile mi legava ancora a quello stato adolescenziale, che tagliato mi avrebbe fatto diventare una donna e nell’attesa la musica ricopriva, come ancora oggi, un ruolo importante nella mia vita accompagnandone momenti belli e meno belli, scandendone rigorosamente gli attimi.
In quegli anni Luciano Ligabue “condizionava la mia anima”, avevo vissuto al massimo in “certe notti”e avevo conosciuto Mario, che per me ed i miei amici  non aveva mai chiuso il suo Bar.
Luciano era lì, quando mi sentivo una “piccola stella senza cielo”, in balia dell’ignoto futuro sostenendomi e dandomi la forza di non spegnere la mia luce.
Era il 1998, la vita seguiva il suo corso, scelte, cambiamenti, inadeguatezza, ribellione ed una folle necessità di credere di poter fare tutto ciò che si desiderava.
Volevo credere.
Come il protagonista del film “Radio Freccia”, Ivan Benassi, iniziai ad avere la necessità di non credere a tutto ciò che mi dicevano, ma a tutto ciò in cui volevo.
Proprio in quei giorni, dopo aver visto il film, Antonio ed io ci incontrammo per bere una birra al Maracanà, un pub che da tempo era il nostro punto di ritrovo, dopo un pò di chiacchiere, risate e temi che alludevano ai massimi sistemi, l’uomo ed il fuoco, l’invenzione della ruota, cogito ergo sum, mi consegnò un pezzetto di carta, almeno quello che mi era sembrato a prima vista.
Era un biglietto ripiegato più volte su se stesso, su di un lato presentava una scritta in verde,

” x Raffa”.

I nostri sguardi si incrociarono, i nostri visi non celavano la curiosità e attesa di reazione.
Iniziai a dispiegare il foglio a quadretti, che man mano prendeva la sua forma naturale. Le prime macchie di inchiostro, questa volta blu, iniziavano a trasparire dalla carta.
Era scritto a mano, con quella grafia piccola e precisa che avrei riconosciuto tra mille altre.
In alto a destra una data” Ottobre 1998 ore 3.48 AM”. Antonio sapeva perfettamente quanto amassi quei piccoli gesti più di qualsiasi altra cosa, a prescindere dal contenuto, lo ritenevo un gesto di grande attenzione, di calore.
Un altro sguardo sul suo viso, l’angolo destro delle bocca era tirato un pò verso l’alto, come se si stesse accingendo ad un sorriso.
Iniziai a leggere.
I miei occhi scorrevano tra quelle righe, assaporando ogni lettera, ogni parola, ogni pausa.
Quelle parole nella mia mente risuonavano come dolci note, mescolate a toni di rock progressive.
Terminai la lettura dopo qualche minuto.
La riflessione.
Il silenzio.
Un sospiro ed uno sguardo di gratitudine a quel sorriso non più nascosto.
Sono trascorsi tanti anni, 18, quel biglietto è riposto gelosamente nel mio portafoglio, un pò consumato dal tempo, qualche parola sbiadita…ma nulla potrà cambiarne il contenuto.
Ispirato dal film, Antonio mi aveva raccontato, scrivendole su quel biglietto, le cose in cui voleva credere, non importava se avessero senso o meno, bisognava credere in quel che si voleva…..

” Ottobre 1998 ore 3.48AM”

 Adattato per Noi

“Credo nei sogni, negli urli in testa, nella puzza di benzina, nella coca-cola, nella sincerità, nelle chiavi dimenticate a casa, in quelle che cerchi continuamente nella borsa.                                                                                                                                 Credo nelle cose provate e mai dette, nelle cose dette e mai provate, nei bordi dei cuscini, nei vecchi jeans 501, nella sveglia che suona al mattino, nelle scelte sbagliate, nelle strade percorse, nelle stelle cadenti, nelle apparenze, nei tacchi a spillo, nel mare, nei Simpson.
Credo nei Vampiri.
Credo nelle fottutissime illusioni, nei sogni nel cassetto, nell’acqua che sa di cloro. Credo nei brividi di due mignoli che si intrecciano, nel rispetto, nei falsi sorrisi, in Dylan Dog, nel pavimento fresco d’estate.
Credo nell’amicizia di mia sorella, quella vera pura, senza condizioni, ne competizione. Credo nel tramonto estivo, nella pioggia che nasconde le lacrime, negli occhi di mio padre, nella bellezza, nell’abbraccio di un bambino.Credo nelle cose strane, nell’affanno di un respiro ricco d’amore, credo in te, credo in me, credo nel futuro, credo nella passione,

Credo nell’Amore.”
Raf
Dont’ forget to smile

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Nuovo Anno

Il nuovo anno, una nuova agenda, una nuova penna.

Con la canzone di Lucio Dalla “l’anno che verrà”, che per me è ormai inno ufficiale per accogliere i nuovi 365 giorni, ecco gli oggetti che mi ricordano che il nuovo anno è arrivato. Oggetti normali a vedersi, utensili da lavoro (è così che mi piace definirli), immobili, senza vita…

Almeno era quello che credevo…  ma l’apparenza inganna. Quei due oggetti dediti a segnare impegni, orari, incassi, budget, numeri di telefono, a scaricare la tensione colorando le pagine immacolate con kg e kg di inchiostro, allo scoccare delle ore 00.00 del 31/12  si trasformano, si animano … prendono vita…

Come è possibile?

Ebbene quei piccoli oggetti  diventano una costante della mia giornata,  un’ossessione, ovunque volge il mio sguardo, sono lì a fissarmi in attesa, sul comodino accanto al letto , sulla scrivania, sul tavolo della cucina, sul pianoforte, in terrazza durante un minuto di relax, perfino in bagno…diventano il mio incubo. Quando rientravo in casa mi chiedevo cosa avessero fatto in  mia assenza se avessero fatto baldoria o se avessero soltanto fatto nuove conoscenze con la nuova “bic” o con il nuovo calendario. I mostri nella mia mente mi conducevano a pensieri folli…
Il 6 gennaio pronta per ritornare a Roma, non perché io avessi finito il turno da Befana, ma semplicemente perché terminate le vacanze si ritorna alla quotidianità dell’ufficio, dai meandri piu’ oscuri di casa, un urlo disperato di mia madre raggiunge le mie orecchie e il suo viso riempie i miei occhi, sembra tanto quello del gatto con gli Stivali del film” Shrek”, gli occhioni di chi ha capito che un tizio di una delle tante serie televisive è morto a causa della sua stessa madre, ma resusciterà presto… e l’agenda aperta nella pagina di copertina…: “ma che, nun me scritt a dedic e bon augurji”.

Non ho scritto la dedica?! Non Ho scritto la dedica di buon auspicio! Ecco perché agenda e penna mi seguono.

Sono anni che mia madre segue questo rito. L’agenda spesso è stata trasportata anche a Roma…nulla poteva impedirle di raggiungermi. Dovevo necessariamente inaugurare la prima pagina  della sua agenda con una dedica perché di buon auspicio.

Questo nuovo anno cara mamma ti stupirò, non avrai bisogno di inseguirmi, ecco la tua dedica per la tua nuova agenda.

“Arriva un nuovo anno straniero, ancora, ma non per molto.

Tutto inizia sempre per trasformarsi in qualcosa di diverso, di più grande, di più maestoso.

Tu hai la capacità di creare, di trasformare tutto a tuo piacimento.

Hai la forza propria solo ad una madre.

Hai l’energia della tua terra nel tuo sangue.

Il sole accompagna le tue giornate, ti farà da guida sempre.

A volte potresti essere stanca,  sfinita, ma l’abbraccio dei tuoi nipoti ti darà nuovo vigore.

Non rammaricarti di non aver potuto fare di più, lo hai già fatto.

Non dimenticare mai da dove sei partita e dove sei ora grazie alla sola tua tenacia.

Non rimproverarti di avere due figlie un po’ stronze, due figlie diverse, una dedita alla famiglia, l’altra in balia dei sogni.

Le hai cresciute bene, la vita non è sempre così educata, hai fatto un buon lavoro, faticoso , intenso ma ottimo lavoro.

Nonostante tutto non hai mai mollato e so che non lo farai mai.

Il tuo animo generoso, indistruttibile quanto fragile sarà il tuo punto di forza.

Ti auguro di essere più serena, anche la tua gastrite ne sarà felice.

Non ti chiederò di fare tanti soldi, come in passato, quelli che abbiamo per fortuna ci bastano.

Ti auguro per questo nuovo anno di pensare un po’ più a te, di darti più tempo, più spazio, il tempo perso non ritorna.

Ti auguro di sentirti amata, anche se spesso non ti sarà dimostrato, ma il tuo cuore lo saprà sempre.

Ti auguro di essere sempre orgogliosa di ciò che sei.

Ti auguro di rientrare la sera orgogliosa del tuo operato, e di poggiare leggera la testa sul cuscino.

Ti auguro di non smettere mai di sorridere!

Buon lavoro”.

Raf

o.e.p.s
Don’t forget to smile

ps. In agenda segna che il sabato non lavoro,  Non Chiamarmi all’alba!
ps: ora stampa e incolla almeno non dovrai inseguirmi per tutta casa.