Tradizioni – Fratiell e Surell

Si narra in un tempo lontano, quando le stelle erano ancora visibili, che in una notte di dicembre il mare arrabbiato tentò di inghiottire dei pescatori.
Molti riuscirono a salvarsi tornando nel porto, uno solo rimase in balia delle onde. Il pescatore, sentendosi perso, affidò la sua vita nella mani della Madonna. Improvvisamente il pescatore fu abbagliato da una luce immensa e si ritrovò sulla spiaggia tramortito. Non appena riprese i sensi chiamò a raccolta tutti i suoi compagni: “Fratiell e surell a Maronn me salvat”, appicciamm o fuoc scalfammc e dicimm o rusarij” (Fratelli, sorelle, la Madonna mi ha salvato accendiamo il fuoco scaldiamoci e diciamo il rosario).
 
Da questa meravigliosa leggenda nasce una meravigliosa tradizione, tramandata di padre in figlio. La notte del 7 dicembre vengono accesi, in vari quartieri della mia città, i falò dell’Immacolata Concezione, per noi Stabiesi detti “fucaracchi”, accompagnati dalla voce di un uomo votivo che chiama a raccolta tutti i fedeli alla preghiera (proprio come il pescatore che aveva avuto salva la vita): “Fratiell e surell o nome ra maronn chest è a primma stella”.
Il rito inizia nella notte del 26 novembre fino ad arrivare alla dodicesima notte (12 notti quante le stelle sul capo della Madonna) quella appunto del 7 dicembre, alla fine della quale si suona, si festeggia e si ammirano i fuochi. In casa Anastasio si sentiva molto questa tradizione.
 
 
Tutto pronto, Presepe e Albero di Natale. La casa era un tripudio di lucine e profumi natalizi. Appuntamento annuale con struffoli, roccoco’, “pullc e monac” e mustacciuoli, dolci della tradizione natalizia napoletana. Il campanello suonava senza sosta e la casa si riempiva di “famiglia”. I maschietti in cucina a giocare a “tresette” e le donne in soggiorno a chiacchierare,  o meglio a fare “du’ n’ inciuc”, spettegolavano su questo o su quello.
Una voce radunava tutti però: “Jia pjamm a tombol” (su forza prendiamo la tombola).
 
Tutti vicini intorno al tavolo, iniziava la meticolosa scelta delle cartelle, eh già era fondamentale, c’erano quelle fortunate e quelle meno, almeno così dicevano.
Bottoni, placchettine di metallo, buccie di arancia, tutto sparso sul tavolo per coprire i numeri. Dopo aver sistemato le cartelle e raccolto i soldi distribuiti sui vari premi, (3 cartelle costavano rigorosamente 100 lire), ad iniziare il gioco con il cartellone era lui , l’inimitabile zio Ettore, che con il suo mignolo decorato con un anello d’oro a forma di serpente con un  diamantino come occhio, la catenina con un bel crocifisso per nulla modesto, (oggi un personaggio della serie “Gomorra”), iniziava ad estrarre i numeri dal cestello dopo averlo fatto roteare più e più volte. Il tutto era accompagnato da riti scaramantici, frasi improbabili e suoni discutibili.
Lo show aveva inizio.
Zio Ettore aveva la capacità di creare il panico per le risate, i numeri venivano declamati, raccontati, spesso detti anche in una lingua, che zio insisteva a chiamare inglese, ma vi garantisco non lo era affatto, era più stabiese mozzicato di un cane in corsa…spero di aver reso l’idea.
I numeri più attesi e più gettonati erano il 33 perché associato agli anni di Cristo, 55 la musica, 71 “o’ malament” dice la smorfia, un poco di buono, ma da noi rende di più con “Homme e merd”, ovviamente noi tutti indicavamo zio con quell’accezione. Era divertente.
Il numero invece, che scatenava l’ilarità in tutti noi era il numero 88. Questo numero per forma assomiglia ad una coppia di provoloni ed i provoloni sono associati al seno della donna.                                                                          La vittima consapevole del paragone del suo seno prosperoso con i provoloni era (è) zia Dina, che subiva le simpatiche angherie di zio Ettore quando l’88 veniva fuori dal cestino:
 
“Uè e billoc e stavat aspettann hann arrivat …zia Di, song e tuoij Signori e Signore i provoloni di zia Dina”…
(Eccoli li stavate aspettando, sono arrivati, zia Dina, sono i tuoi Signori e Signore i provoloni di zia Dina)
La casa era teatro naturale di commedie che venivano scritte in quell’arco di tempo determinato dall’attesa del passaggio di “fratiell e sorell”.
Tra un terno e l’altro, un caffè e l’altro, un sette e mezzo, un mercante in fiera, la voce di “fratiell e surell” piombava dentro casa, accompagnata da petardi e dall’orchestra. Infilati velocemente i cappotti, sciarpe e cappelli, si raggiungeva la voce votiva.
Una folla di fedeli al seguito, ”fratiell e surell” decantava l’ultima stella della Madonna”.
Ragazzini lanciavano petardi, l’orchestra era composta da pochi elementi tra i quali spiccava “O’ Zampugnar” che suonava brani natalizi. Era affascinante seguire quel gruppo di persone, che erano lì non come noi ragazzini per curiosità di vedere il mondo di notte, ma per devozione, per fede. Ognuna di quelle persone chiedeva qualcosa o aveva già ricevuto qualcosa e aveva trascorso 12 notti in quel percorso per ringraziare la Madonna.
Per noi il percorso era breve e durante il tragitto qualche falò schioppettava, emanava calore e luce.
 
 
Erano le 6 quando si tornava a casa, dopo aver assistito alla celebrazione della Santa Messa, con un occhio chiuso e l’altro aperto.
Quegli anni tutto ero diverso
tutto sapeva di buono
di famiglia.
 
 
 
 
 
 
Raf
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