Chi è di scena!

Tutto è pronto.
Emozioni invadono la mia anima, talmente mescolate e amplificate che non riesco a distinguerle. Ansia, felicità, paura, gioia.Cerchi di respirare profondamente, sei nel gioco, ora non puoi tirarti indietro.
Ogni volta è come seguire un rito. Allontano la sedia dal tavolino, accendo le luci allo specchio, controllo di avere tutto il necessario e mi accomodo. Sola, o meglio in compagnia della mia immagine riflessa nello specchio.

“Aria” di Giovanni Allevi per il mio cuore, gli auricolari mi permettono di isolarmi dall’esterno.
E’ il momento di indossare una nuova maschera, quella scelta per questa occasione.
Inizio la trasformazione con molta tranquillità godendomi ogni gesto, ogni passaggio. Il fondotinta scivola morbido sul mio viso e rende omogenea la mia pelle, un tocco di cipria, il piumino non la trattiene e piccoli granelli si disperdono nell’aria.

Lo sguardo viene intensificato con una matita apposita, mascara… un tocco di fard…. gloss per le labbra.
Ora il riflesso è cambiato è diverso, inizia ad apparire Lei, la maschera, l’altra me.

Notti passate a studiare, a cercare il modo giusto per sentire, dire o fare un’azione, momenti in cui il senso di inadeguatezza è stato più forte della tua passione, e poi i sorrisi, gli amici, una nuova famiglia e ancora sorrisi.

Indosso i capi d’abbigliamento a me assegnati. Pronta.
Il cuore inizia a far sentire la sua voce, il brusio esterno ti entra nel sangue che impazzito fluisce velocemente e sembra darti una carica di 1000 uomini, ti senti quasi invincibile.
“ Chi è di scena!”

Quelle parole creano il panico, terrore e ansia sui volti dei miei amici, è arrivato il momento. Iniziamo a giocare. Maschere in scena.
Dopo i riti scaramantici del caso, tutti prendiamo le nostre posizioni, luci spente, silenzio.

Musica.
Lento il sipario scorre, scoprendo a piccoli pezzi la platea curiosa e in trepidante attesa. Mille occhi puntati sulla scena. Su di te!

La bocca secca, la lingua non sembra stare al suo posto, hai sete, uno strano formicolio alla gola ti infastidisce, le mani sudano. Un improvviso blackout. La memoria sembra ti abbia mollato. Poi ricordi il tuo obiettivo: ”Divertiti, non dimenticare di sorridere”.
Applausi.
Porte che si aprano, finestre che si chiudono, donne smemorate, altre in lacrime, uomini traditi, amici poco sinceri… follia in ogni singolo personaggio.
La giostra è partita, gli ingranaggi funzionano alla perfezione, una battuta dopo l’altra un’emozione dopo l’altra, un applauso dopo l’altro. Ti ritrovi a vivere la vita di una persona diversa da te, un’amante , una fidanzata, una cameriera, e allora ti arrabbi, sorridi, ami, odi in un tempo ristretto, tutto concentrato in un solo unico atto.
e…
Fine.
Hai dato te stessa.
Il sorriso del pubblico ripaga i tuoi sforzi, e ti riempie il cuore.
“Io so e non so perché lo faccio il teatro ma so che devo farlo, che devo e voglio farlo facendo entrare nel teatro tutto me stesso, uomo politico e no, civile e no, ideologo, poeta, musicista, attore, pagliaccio, amante, critico, me insomma, con quello che sono e penso di essere e quello che penso e credo sia vita. Poco so, ma quel poco lo dico.»
Giorgio Strehler


Sipario!
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4 Ottobre

Avete presente il famosissimo film di Totò: “Totò, Peppino e la mala femmina?”
Bene!
Mia madre tutte le volte che viene a trovarmi a Roma, mi fa pensare alla scena di Totò e Peppino a Milano, i due per la paura di morire di fame portano con loro anche una gallina.
Perché?
Non si sa mai.
Carica di ogni sorta di pietanza, a partire dai fondamentali, lattina di olio, sale, zucchero, caffè, che non uso perché non amo il caffè, ma “se viene qualcuno, non si sa mai“, pomodori, pasta, frutta e verdura di ogni genere, vini vari, si carica anche di mozzarelle di bufala, gatteau di patate e altre minestre e minestrine da congelare per settimane.
Questa volta con le stesso rito di sempre, ha anche una borsa che pesa come un pezzo di cemento armato della Salerno Reggio Calabria:
Mamma ma quanta roba!”
Apri e vedi.
Con mia grande sorpresa, oltre ad aver rapinato un supermercato e qualche fruttivendolo, ha anche svuotato la mia vecchia libreria e recuperato tutti i miei diari:
Nooooo che meraviglia li hai portati tutti!”
Una bambina che scarta i regali a Natale.
Ho iniziato a curiosare, ho letto cose che non ricordavo di aver scritto, frasi dei baci perugina, pezzi tratti dal mio amato “Dylan Dog”, stikers presi dai giornaletti, foto e disegni, tra questi uno in particolare mi ha colpito che fuoriusciva dall’agenda e lo ricordavo perfettamente, sapevo esattamente di cosa si trattasse.
Ho iniziato a leggere….
4 ottobre 1993 
Tino se ne è andato, ci ha lasciati. Solo 15 anni, troppo poco tempo con noi. Avrei voluto non vivere mai questo giorno. Ovunque tu sia sappi che non ti dimenticherò mai, ora e per sempre.”
Ecco cosa ho scritto il 4 ottobre 1993 nel mio diario..
Trascorso qualche anno da quel 1993, ma mai abbastanza. Come fosse oggi.
“Un giro in moto, una di quelle con le marce che per tenerti devi stare sdraiata sul pilota, in un pomeriggio di fine settembre.
L’aria ancora calda, il vento tra i capelli, ci ha regalato momenti di serenità.
Non abbiamo fatto altro che ridere quel pomeriggio, tanto che mi mancava il fiato, gli addominali compressi.
Avremmo dovuto studiare quel giorno,
si certo!
Invece mi confidasti di avere una cotta per una nostra compagna di classe…
“Dai informati, chiedile qualcosa” 
mentre mi dicevi queste cose, il tuo viso diventava rosso come una ciliegia matura ed i tuoi occhi si illuminarono.
“va bene te lo prometto.” 
Mi regalasti una collana di perline grigie con un ciondolo a forma di teschio. Qualche giorno dopo, il tuo banco era vuoto, un fogliettino, consegnato a mano dal bidello, scatenò un silenzio innaturale e gelò la classe.
 
“Dante Saturno ha cambiato istituto.”
Le parole uscirono come cubetti di ghiaccio dalla bocca del Prof, l’uomo per noi colpevole di quella tua decisione.
Pietrificati i nostri visi, il respiro quasi assente.

4 ottobre ore 15:30  una telefonata rimbomba in casa:

”Dante è morto! Un incidente, un camion lo ha travolto, era con il cugino.”
 
La cornetta del telefono scivolò via dalla mia mano, sentivo la voce di mia madre lontana chilometri e chilometri,  i miei occhi fissi nel vuoto e nella mente una sola immagine il Tuo sorriso.
Frastornata dalle emozioni che si accavallarono, respirai, indossai le scarpe e giù di corsa per le scale, dovevo andare.
Poi una tenaglia al braccio mi fermò… mio padre.
Ero sconvolta, mi abbracciò e mi lasciai andare in un pianto disperato. Le lacrime non facevano fatica a venir fuori, avrei voluto vomitare tutto il mio dolore, ma anche quello non sarebbe stato abbastanza.
Il buio.
Non  mi sentivo in possesso del mio corpo. Il piombo anche nei polmoni.
Una notte trascorsa in bianco. Troppe domande senza risposta.
 
Perché Lui? Solo 15 anni? Quale cazzo di colpa aveva, per subire una cosa del genere perché?
Un forte senso di ingiustizia attanagliava il mio cuore.
Il giorno seguente eravamo tutti insieme, noi, la tua classe, i tuoi amici, come un’unica famiglia. Abbiamo sorriso ricordando le minchiate fatte insieme. Uno sguardo in particolare ho negli occhi, quello di Salvatore, seduto sul bordo del marciapiede, perso, vuoto, assente.
 
“La tua VD”
questo decidemmo di scrivere per l’omaggio floreale alla tua festa, così la chiamò il prete durante la celebrazione dei tuoi funerali.
Una chiesa gremita di persone. La tua famiglia, i tuoi amici, il tuo liceo….. Noi.
Un saluto costretto perché troppo poco tempo ti era stato concesso, avevi l’arte nelle mani, un’arte che non ti hanno permesso di esprimere.
Ero incazzata.
Avrei voluto spaccare la faccia del prof… quanto l’ho odiato.
Un urlo straziante che gridò il tuo nome ruppe il silenzio, un applauso accompagnò il tuo corpo inerme in quella bara bianca ricoperta di fiori, il suo peso sulle spalle dei tuoi amici, che avrebbero potuto sostenere il mondo pur di riaverti.
Una ceres condivisa ed un brindisi alla tua nuova vita, nel corpo di altre persone.”
Continuo a scorrere le altre pagine….

4 novembre 1993 ore 23.47
è trascorso un mese da quando non ci sei più e ci manchi. Ci mancano i tuoi sorrisi, i tuoi disegni e pure quei matti degli Iron Maiden che ho imparato ad apprezzare, Fear the dark è il mio brano preferito. Sto bevendo una birra,  e li ascolto, i miei genitori sono fuori , quindi faccio come mi pare. Non mi hai dato il tempo di parlare con Daniela, mi dispiace. Mi manchi. giuro non ti dimenticherò”

4 ottobre 2015
NON TI HO DIMENTICATO.
Ora e per sempre…
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Notte

Il giorno tutto corre, tutto é intangibile, i respiri rincorrono il cuore, gli occhi non afferrano le immagini, tutto va.
Macchine, semafori rossi, motori accesi, traffico, scale, respiro affannato, sorrisi, computer, di nuovo scale, il cuore accelera i battiti, strette di mano, tic tac tic tac, invio, ricevi, stampa, scale, casco, moto, di corsa a casa, chiavi, ascensore, tonfo, chiavi, lancio delle scarpe e stop.
Stop!
1.30 am
il mondo per me, per ora si ferma, questo è il momento che amo di più. La quiete avvolge la città, il silenzio è rotto di tanto in tanto dalla nettezza urbana, che inizia il proprio lavoro, da un clacson impazzito e da un cane che abbaia al mondo la sua solitudine.
Morfeo può attendere.

La sedia verde sul balcone diventa il mio angolo di paradiso. Alzo le gambe al petto, le stringo forte e guardo lei. La luna questa notte è particolarmente brillante, illumina la mia penna che scivola sul foglio immacolato..
Finalmente la mia fronte si distende, le rughe si diradano, gli occhi iniziano a vedere.
L’aria frizzantina risveglia le cellule assopite e inizio un nuovo viaggio con me…..
Osservo.
Ascolto.
Sembra che l’universo di notte sia disposto a lasciarsi guardare, la sua bellezza e la sua meravigliosa perfezione mi travolgono come un’onda del mare in tempesta.
Ecco, ora i miei pensieri sono piu’ rumorosi, ora esigono di essere ascoltati, flussi di parole ed immagini fluiscono e si districano cercando il loro spazio.
Tutto inizia ad avere un senso.
La notte è così… il suo silenzio ti permette di ascoltare, di sentire il sangue fluire nel tuo corpo…
E’ furba ed è tua complice se vuoi, come degli amanti, delle idee folli, delle passioni impossibili, delle lacrime nascoste, dei mignoli che si cercano, delle gote rosse, dei respiri affannati, delle parole non dette, delle cose non fatte, delle sigarette mai spente.
Ti protegge  se lo desideri dall’abbagliante luce del giorno…
Sembrano attimi infiniti, una brezza di vento sfiora il mio viso , la luna cede  Il suo posto…
ed ecco si è fatto giorno.
Buio!
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Il Generale

“Lei è l’emblema della donna moderna…”
Ecco cosa mi ha detto il Generale quella mattina…

Le mie giornate iniziano apparentemente allo stesso modo, ma non quella mattina.
No! Quella mattina profumava di buono.
6.45 Mornig Flower, così la sveglia del mio fantastico Samsung S6 mi comunica che è ora di alzarmi.
Dopo aver stiracchiato bene la schiena, lotto con il cuscino per convincerlo a lasciare la mia faccia. La maggior parte delle volte perdo.
Radio, colazione, doccia, i tre riti (ci sarebbe anche la pipì, ma tralascio) per iniziare alla grande la giornata.
Preparato l’occorrente per l’ufficio ed il pranzo (rigorosamente scongelato la sera prima e preparato dalle sapienti mani di mammà), mi catapulto fuori della porta, con una mano chiudo a chiave, con l’altra pigio il pulsante dell’ascensore che non tarda ad arrivare, un tonfo annuncia la sua presenza al piano.
Per ingannare l’attesa durante il minuto di discesa, mi guardo allo specchio cercando di individuare chi sia la tizia riflessa, in fondo è anche per questo che hanno deciso di mettere degli specchi all’interno degli ascensori, no?
Il narcisismo sovrasta la claustrofobia, così tutto dura il tempo di un respiro, e..tonfo.

Il mio primo buongiorno va al portiere Sergio, che di buon mattino è nelle sue faccende affaccendato. Quella mattina però non era solo, a fargli compagnia c’era il Generale.

Il Generale è un anziano signore, ossatura robusta, pancetta in evidenza, capello brizzolato, uomo del nord, fiero ed orgoglioso di aver dedicato la sua vita all’esercito italiano, la sua andatura e il suo mento alto, il suo modo di gesticolare, ne sono la prova.
Trasferito a Roma per amore è ormai in pensione.
Il Generale cerca di mantenersi sempre in attività soprattutto durante le riunioni di condominio, in cui riesce a zittire tutti, anche nei momenti di caos più totale. Lui è Il Generale tutti sull’attenti!

Prima di allontanarmi lo saluto cordialmente e mi accingo a liberare il mio SH dalla catena, dopo un po’ una voce:
“Signorina!”, seguì una sonora risata, “che gioia lei è l’emblema della donna moderna”.
Fui spiazzata da quelle parole, ad essere sincera, proprio emblema non mi sentivo, ma il Generale mi incuriosì:
“Generale, grazie ma non credo…”, vi confesso, non sapevo cosa volesse dirmi, ma l’ho adorato, mi aveva chiamata “Signorina”.
“Sa signorina, io la osservo, vedo che è in pieno possesso del suo mezzo di locomozione” (che suonava, con il suo accento, “mezo di locomossione”), continuò:
” Ai miei tempi era impossibile vedere una donna guidare o stare a cavalcioni su di una vespetta, sempre entrambe le gambe su un lato… altri tempi, altri tempi, eh… lo si vede da come guida che è affar suo quella roba lì.”
Avreste dovuto vedere il viso del Generale mentre mi diceva queste cose.
I suoi occhi persi nel vuoto stavano attraversando a ritroso il tempo passato, il ricordo di un tempo vissuto ormai lontano. Poi all’improvviso, come il pesce sguizza per catturare la sua preda, il Generale puntò quegli occhi su di me e disse: “Signorina Grazie”.
“Generale, di cosa?”
“Il suo sorriso”.
Accipicchia forse avevo qualcosa nei denti, forse la marmellata di more…
Ecco, sentivo la mia pelle accaldarsi, sentivo le braccia e poi il collo, il viso colorarsi del colore del melograno maturo, imbarazzatissima, non capivo.
“Signorina, il suo sorriso mi regala gioia, mi illumina la giornata, è un soffio di vento fresco, un raggio di sole raggiunge il mio cuore tutte le volte che la vedo sorridere”.
Silenzio.
Il respiro titubante.
Bocca impastata, nessuna parola, nessun suono.
Ero un groviglio di emozioni, ero lusingata, sbalordita…
Un Uomo così apparentemente duro, impostato, dedito a dare ordini, si era soffermato su di un unico particolare, aveva dato attenzione all’impensabile, un sorriso.
Tutte le emozioni stavano prendendo una strada comune, un unico canale.
Si concentrarono in unica goccia piena di gioia, quella lacrima, che non tardò a solcare il mio viso.
…una sintesi perfetta di parole, che sarebbero state inutili e non sufficienti.
Il Generale notò anche quella lacrima e mi disse: “vede avevo ragione lei è proprio un raggio di sole”.
Quella mattina profumava di buono.
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Mettersi in gioco….

Una bellissima immagine di me, di tanto in tanto appare nella mia mente come un flashback.
Una ragazzina di circa 10 anni, seduta con la schiena ben dritta al tavolo del soggiorno intenta a fare qualcosa di grandioso, di straordinario…scrivere un libro.

L’eccitazione era talmente tanta che nella preparazione di ciò che mi serviva, fui meticolosa come un giapponese durante il rito del thè… ogni oggetto, ogni movimento dedito ad un unico scopo.

Mio zio possedeva, in realtà ancora oggi, una macchina da scrivere Olivetti, meravigliosa, tenuta come un gioiello, di quelli più cari e più preziosi, non solo per il valore economico, ma soprattutto affettivo.
Con un po’ di timore decisi di chiederla in prestito.
Avevo tra le mani il mio destino, pensavo…
Appoggiai la macchina sul tavolo del soggiorno, con cura la spostai proprio sul bordo in modo che potessi muovere liberamente le mani e le braccia, tolsi la custodia, una sorta di copertina che proteggeva la macchina dalla polvere e da tutto ciò che avrebbe potuto danneggiarla, la sistemai su un angolo del tavolo.
Avevo bisogno della carta.
Strappai un foglio da un quaderno di scuola, e lo posi dal lato lungo, dopo aver alzato l’asticella del blocco sul rullo, inserii il foglio e riposi l’asticella al suo posto.
Il cuore scandiva il tempo delle mie azioni.
Non avevo mai usato una macchina per scrivere, a malapena sapevo usare la penna, per cui decisi che era necessario fare una prova che mi permettesse di capire la funzionalità.
Iniziai a battere con un solo dito i tasti a casaccio, con la velocità di un bradipo in letargo, controllando dopo ogni pressione, se la lettera venisse stampata sulla carta.
Dopo svariate prove, avevo appreso che potevo andare a capo spostando il rullo,
lasciare lo spazio,
scrivere in maiuscolo,
e all’occorrenza cambiare colore dal nero al rosso (decisi che avrei usato il rosso per il numero ed i titoli dei capitoli).
Era tempo di dare vita a quelli che erano stati, fino a quel momento solo pensieri.
Mi serviva della carta pulita, allora attinsi al quadernone, quello usato per le ricerche “in bella copia”, replicai l’inserimento nel rullo..
e via…
Un respiro mi inoltrò in un mondo tutto mio, i tasti iniziarono a suonare una melodia simile ad un lento “tip tap”.

“Ero soltanto una sorta di pesciolino trasparente, diretto chissà dove, spinta in un viaggio che non avevo deciso, ma che mi incuriosiva, volevo vedere!!
Non ero sola altri accompagnavano il mio viaggio.
Una corsa affannata per raggiungere l’obiettivo, una corsa verso l’ignoto, verso qualcosa che non conoscevo, ma desideravo conoscere.
Molti di coloro che mi accompagnavano non sostenevano il ritmo della corsa e restavano indietro…
non avrei mollato come loro, volevo vedere!!
Mi sentii inebriata di energia, come un soffio di vento che gonfia una vela e spinge la barca verso il mare aperto.
Mi ritrovai li… davanti alla mia isola….
la luce ed il calore erano come calamita per me;
mi insinuai in una fessura attraverso la quale neanche uno spillo sarebbe potuto passare…
e li…
i miei occhi si socchiusero, mi lasciai coccolare da quel calore, dal tepore,
ero protetta, al sicuro avevo raggiunto il mio obiettivo.
Ora avrei potuto vedere!!”

I tasti continuavano a ticchettare, ed il rullo che rientrava in posizione iniziale, tutte le volte emetteva uno strano suono, ancora vivo nella mia memoria.
Ma quel momento intimo, ipnotizzata da quella strana musica, fu interrotto da una voce poco soave:
“Raffa a pranzo sbrigati chiudi tutto”…. mia madre.
La nonna aveva preparato i rigatoni al sugo, quel sugo magico, insuperabile che diffonde il suo profumo meraviglioso fino giu’ nel cortile, quel profumo che mi è entrato nel sangue.

Questo quel che ricordo.
Non ho piu’ continuato a scrivere quel libro, probabilmente distolta da altro e dalla giovane età, ma ho continuato a scrivere il “Mio Diario”, quello che mi ha accompagnato in tutti gli anni scolastici e oltre, la mia amata Smemoranda.
La voglia ed il piacere di scrivere non li ho mai persi,
ed eccomi qua, forse non per riprendere a scrivere quel libro, ma per raccontarvi di me e condividere con voi i miei pensieri, le miei giornate, la mia vita.
Spezzare la quotidianità e magari perché no, riuscire a regalarvi un sorriso….

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