One day

Due corpi  si riconoscono e si fondono in un complesso agglomerato chimico, generando  la Vita.


Novembre 2007, una domenica, ora di pranzo, ero agitata, un’anima in pena in giro per casa poi una telefonata:

“Indovina dove stiamo andando”, porca vacca, un alert iniziò a lampeggiare nella mia testa, non esitai:

“all’ospedale” risposi.

Mia sorella aveva rotto le acque e mia madre, con la voce terrorizzata, si permetteva anche di fare gli indovinelli, mi chiesi come riuscisse a guidare, ma poi la risposta venne da se…. È mamma!

Presa dallo scompiglio cercai di razionalizzare e fare le cose per ordine.

Mi serviva la macchina, una borsa.

L’autostrada Roma – Napoli non era mai stata così lunga.

Durante il tragitto, un flashback,  immagini e momenti di quando tutto iniziò con un messaggio: “Diventerai zia!”

Il tempo era volato, tra il riposo costretto a causa di qualche incertezza del piccolo scricciolo, tra le chiacchiere al pancione, le canzoncine stonate,  il toto nome, immaginare cosa sarebbe diventata da grande, cosa io avrei potuto insegnarle e cosa avrei voluto per lei, arrivai al casello autostradale di Napoli.

In continuo contatto con mia madre: ”La piccola di venir fuori non ne vuole sentir parlare”

Pensai :”mi piace questa ragazzina aspetta la zia”.
Arrivai all’ospedale trafelata e con il cuore in gola. Non era orario di visite, mi fecero aspettare fuori.

Possibile? Avevo guidato due ore e mezza  con l’acceleratore a manetta, il traffico di Napoli, mi ero quasi venduta al parcheggiatore, per sentirmi dire: ”Non si può entrare”.

Cercai di afferrare il mio buon senso lasciato da qualche parte, respirai e mi attaccai alla porta d’ingresso, sbirciando per intercettare qualche movimento, e apparve come una madonna, mia sorella in tenuta comoda (camicia da notte orrenda, pure trasparente) in giro per i corridoi, apparentemente  fresca come una rosa, verificai che avesse ancora il pancione, eh si ,era ancora al suo posto.

Dopo qualche ora di attesa finalmente riuscii ad entrare.

La domenica trascorse così.

Per tutta la notte  mi allontanai dal letto di mia sorella solo per verificare che mia madre non avesse avuto un infarto  per la tensione e che mio cognato stesse bene, entrambi avevano gli occhi tendenti allo svenimento per il sonno.

Mia sorella  poverina era stremata, le contrazioni sempre più frequenti, il suo viso si contraeva dal dolore e lo caricava tutto sulla stretta della mia mano, ma non emetteva un fiato. Di tanto in tanto arrivava l’ostetrica chiedendole come stesse andando, ma che cazzo di domanda è? Sta esplodendo non vedi cretina… questo frullava nella mia mente.

Con mano decisa l’ostetrica  alzò la camicia da notte ed infilò due dita  nella vagina, compiendo un movimento rotatorio , prima in un senso poi nell’altro, la sensazione che provai… brividi sulla pelle, dolori trasmessi al mio corpo e l’istinto di voler tirar via quella mano perché vedevo la sofferenza negli occhi di mia sorella. Quella manovra andava fatta affinchè l’utero si potesse preparare e raggiungere la dilatazione giusta.

La notte passò lenta.

Credo che dopo una notte  trascorsa in ospedale si possano scrivere storie e storie, commedie ed horror.  Alcune partorienti urlavano dal dolore in un modo non descrivibile,  Dario Argento avrebbe potuto prendere spunto per  “Profondo Rosso 2 l’Abominio”, altre correvano al bagno tenendosi la pancia, per paura di perderla,  strofinando le ciabatte, come se fossero pattine, dandosi lo slancio prima con un piede e poi con un altro, una nuova disciplina legata allo “short track”.

La notte trascorse e pure metà giornata. Purtroppo a causa di impegni di lavoro, lasciai mia sorella e l’ospedale, rientrai a Roma senza aver visto mia nipote, che nacque nel primo pomeriggio del 12 novembre.

La mia gioia fu immensa, quanto il dispiacere di non aver potuto filmare lo svenimento di mia madre e  scattare una foto alla faccia  di mio cognato alla vista della piccola, rido al solo ricordo.

Ora quello scricciolo compie 8 anni, la mia Pati, così mi diverto a chiamarla.

Ora è una donnina alle prese con la conoscenza, con le nuove amicizie, con le prime passioni, con le prime delusioni, è facile interagire con lei, con la sua fantasia, è un continuo stimolo per me.

Vorrei che tu sia fiera di quello che sei e quello che diventerai.

Vorrei che tu sia curiosa, la vita è da scoprire.

Vorrei che tu  imparassi a rialzarti dopo una brutta caduta e continuassi ad andare avanti.

Vorrei che le tue lacrime fossero linfa per un  giardino in fiore.

Vorrei che tu imparassi la gentilezza e che ne sia promotrice.

Vorrei che tu sia leale per un  mondo che non sa esserlo.

Vorrei che tu imparassi ad apprezzare il necessario e a disprezzare il superfluo.

Vorrei che i tuoi sogni fossero più grandi delle tue paure ed i tuoi gesti più rumorosi di tante parole.

Vorrei che non smettessi mai di stupirti e che il tuo cuore rimanga sempre libero.

Vorrei vedere il tuo sorriso illuminare sempre il sole.

Auguri piccola!

Non dimenticare di sorridere Mai!

Don’t forget to smile

Raf