Lettera ad uno sconosciuto

Tutto finisce per poi ricominciare.

Quando credi di aver trovato un equilibrio, c’è sempre qualcosa che lo mette in discussione, lo distrugge ma ti da le basi per crearne uno nuovo più forte e duraturo.
Non spaventarti se spesso ti mette alla prova.
La vita è così piena di sorprese.
Non accontentarti.
Non fermarti. Non dimenticare di sorriderle.
Non smettere mai di stupirti. Impara ad apprezzare la sofferenza, perché ti renderà forte.
Impara a gioire dei sorrisi dei bambini, della forza dei loro sguardi, degli abbracci degli amici sinceri, della carezza di tua madre anche se ormai sei più da balera che da club.
La vita è così fugace, ti scivola tra le dita…
Godi di ogni piccolo istante, di ogni piccola emozione.
E’ così dolce sentire. La brezza che ti accarezza la pelle, la tranquillità nel tuo animo, la libertà nel tuo cuore.

Tutto così apparentemente irreale.
I profumi intorno a te penetrano le narici inebriandoti, gli occhi fortunati, si perdono nella magia dei tramonti estivi, il silenzio della notte è tuo complice.
Sogna,insegui il tuo unicorno.
Non nascondere il tuo cuore che urla da tempo, prova ad ascoltarlo..
Dai vita alla follia.
Mostrati così come sei.
Se ti sentirai perso, senza via d’uscita; sappi che c è sempre una via d’uscita.
Potresti perdere ma imparerai per vincere.
Ama, ama alla follia e se non dovesse essere abbastanza ama ancora di più.

Vivi del respiro del tuo amore, vivi per te e per il suo cuore, non tirarti mai indietro, anche se fa paura.
Sentile, vivile, dà loro un nome e saranno tue per sempre, le emozioni.
Piangi, sorridi, urla, ridi, gioisci, soffri, incazzati, odia, senti, Ama…
Vivi!

Dont’ forget to smile
Raf

Chi è di scena!

Tutto è pronto.
Emozioni invadono la mia anima, talmente mescolate e amplificate che non riesco a distinguerle. Ansia, felicità, paura, gioia.Cerchi di respirare profondamente, sei nel gioco, ora non puoi tirarti indietro.
Ogni volta è come seguire un rito. Allontano la sedia dal tavolino, accendo le luci allo specchio, controllo di avere tutto il necessario e mi accomodo. Sola, o meglio in compagnia della mia immagine riflessa nello specchio.

“Aria” di Giovanni Allevi per il mio cuore, gli auricolari mi permettono di isolarmi dall’esterno.
E’ il momento di indossare una nuova maschera, quella scelta per questa occasione.
Inizio la trasformazione con molta tranquillità godendomi ogni gesto, ogni passaggio. Il fondotinta scivola morbido sul mio viso e rende omogenea la mia pelle, un tocco di cipria, il piumino non la trattiene e piccoli granelli si disperdono nell’aria.

Lo sguardo viene intensificato con una matita apposita, mascara… un tocco di fard…. gloss per le labbra.
Ora il riflesso è cambiato è diverso, inizia ad apparire Lei, la maschera, l’altra me.

Notti passate a studiare, a cercare il modo giusto per sentire, dire o fare un’azione, momenti in cui il senso di inadeguatezza è stato più forte della tua passione, e poi i sorrisi, gli amici, una nuova famiglia e ancora sorrisi.

Indosso i capi d’abbigliamento a me assegnati. Pronta.
Il cuore inizia a far sentire la sua voce, il brusio esterno ti entra nel sangue che impazzito fluisce velocemente e sembra darti una carica di 1000 uomini, ti senti quasi invincibile.
“ Chi è di scena!”

Quelle parole creano il panico, terrore e ansia sui volti dei miei amici, è arrivato il momento. Iniziamo a giocare. Maschere in scena.
Dopo i riti scaramantici del caso, tutti prendiamo le nostre posizioni, luci spente, silenzio.

Musica.
Lento il sipario scorre, scoprendo a piccoli pezzi la platea curiosa e in trepidante attesa. Mille occhi puntati sulla scena. Su di te!

La bocca secca, la lingua non sembra stare al suo posto, hai sete, uno strano formicolio alla gola ti infastidisce, le mani sudano. Un improvviso blackout. La memoria sembra ti abbia mollato. Poi ricordi il tuo obiettivo: ”Divertiti, non dimenticare di sorridere”.
Applausi.
Porte che si aprano, finestre che si chiudono, donne smemorate, altre in lacrime, uomini traditi, amici poco sinceri… follia in ogni singolo personaggio.
La giostra è partita, gli ingranaggi funzionano alla perfezione, una battuta dopo l’altra un’emozione dopo l’altra, un applauso dopo l’altro. Ti ritrovi a vivere la vita di una persona diversa da te, un’amante , una fidanzata, una cameriera, e allora ti arrabbi, sorridi, ami, odi in un tempo ristretto, tutto concentrato in un solo unico atto.
e…
Fine.
Hai dato te stessa.
Il sorriso del pubblico ripaga i tuoi sforzi, e ti riempie il cuore.
“Io so e non so perché lo faccio il teatro ma so che devo farlo, che devo e voglio farlo facendo entrare nel teatro tutto me stesso, uomo politico e no, civile e no, ideologo, poeta, musicista, attore, pagliaccio, amante, critico, me insomma, con quello che sono e penso di essere e quello che penso e credo sia vita. Poco so, ma quel poco lo dico.»
Giorgio Strehler


Sipario!
Don’t forget to smile
Raf

La Signora

Benzina, ferro, sale, ecco gli odori che riempivano le mie narici quel giorno.
Quella fu la mia prima volta, quella che ti rimane negli occhi, nelle orecchie, nel sangue.
Angelo Antonio Anastasio, questo il nome di un giovane saldatore, operaio della Fincantieri, che passava le giornate nei doppi fondi, assemblava pezzi di metallo e dava loro una forma, ne faceva qualcosa di buono:

“qua si fanno le navi, che vanno per i mari grossi” mi disse.

Il sorriso del sole, illuminava la giornata, come spesso nella mia terra.

Angelo Antonio ci attendeva all’ingresso, indossava la tuta da lavoro, talmente usurata che non era facile distinguerne il colore, e quelle scarpe orrende, io le chiamavo “carri armati”. Il viso un po’ provato, stanco, le mani rugose, qua e la sporche di grasso, non mi impedivano di abbracciarlo, ero orgogliosa del mio papà.

Ci condusse all’interno della fabbrica di navi, sicuro e deciso, ovviamente sapeva bene dove andare. Ogni passo era un saluto ad un collega,

“ papi è proprio famoso“ pensai.

Di tanto intanto qualche omone gridava qualcosa di incomprensibile, in lontananza rumori graffianti come il gesso strofinato sulla lavagna, la forchetta strusciata nel piatto di porcellana, ma con effetto triplicato e amplificato.
L’odore di benzina mescolato al metallo era sempre più forte.

“We Peppì e port a fa nu gir” (Peppino le porto a fare un giro).

I miei occhi impressionati da quella immensità.

“Accort o’ scalin!”

Imboccammo una porta per gli gnomi, eh si, era veramente piccola.

Papà ci fece strada attraverso dei cunicoli illuminati da luci rosse, lungo tutto il percorso i nostri passi furono accompagnati dal rumore delle scarpe sul metallo. Lunghi corridoi, scale, cabine, scale a chiocciola, oblò e la sala macchine, pazzesca… Non ricordo quanta gente ci fosse, ma mi sembrò di vedere una compagnia di danzatori, che a tempo di musica, quella scandita da ticchettii e ventole in accelerazione, danzavano la loro coreografia perfettamente studiata.

Riprendemmo un corridoio e una nuova scala a chiocciola, mi sentii come Alice che usciva dalla tana del bianconiglio. Un sferzata di vento mi diede il benvenuto e poi… Wow!
Rimasi senza fiato.
Eravamo sulla prua.

“Là poi ci mettono i container per trasportare la merce”.

Non sentivo. Quello che vidi lassù annullò tutti gli altri sensi… ero senza parole.

Il porto, il mio amato Vesuvio, il mare senza fine, giu’ la folla in attesa.
Estasiata, in compagnia della brezza marina, iniziai a scorrazzare avanti e indietro, non volevo perdermi nulla, ma fui richiamata all’ordine, era tardi bisognava andare.
Iniziò la cerimonia. Un uomo in cravatta prese posizione davanti ad un microfono sorretto da un’asta, e parlò, parlò… non so di cosa… poi un applauso mi distolse dalle mie fantasie sulla “Signora”.
La folla girò la testa in un’unica direzione, gli occhi fissi sulla bottiglia di champagne legata ad un filo, che con velocità elevata impattò sulla parte metallica…. e il contenuto della bottiglia si sparse ovunque…
il boato della folla, gli applausi, la gioia…
Immediatamente si susseguirono operai che correvano a destra e a manca, molti sistemati ai lati della “Signora”.
Voci che incitavano, martelli sul legno, ritmo sostenuto, graffi di ferro, …ancora e ancora…
La signora iniziò a muoversi, e lentamente a scivolare verso quello che era il suo destino… solcare i “mari grossi”.
Il mare, dapprima non era felice di accoglierla, ma la maestosità della “Signora” si impose, suo malgrado il mare cedette, si divise e quindi indispettito creò onde che si diffusero fin sulla costa.
“La Signora” fiera e calma si adagiò e si fermò.
Il sudore, la fatica, i sorrisi e gli abbracci degli operai emozionarono tutti.
Angelo Antonio, era fiero, felice, soddisfatto:

“E pur chest e fatt!”.

Raf
Don’t forget to smile

4 Ottobre

Avete presente il famosissimo film di Totò: “Totò, Peppino e la mala femmina?”
Bene!
Mia madre tutte le volte che viene a trovarmi a Roma, mi fa pensare alla scena di Totò e Peppino a Milano, i due per la paura di morire di fame portano con loro anche una gallina.
Perché?
Non si sa mai.
Carica di ogni sorta di pietanza, a partire dai fondamentali, lattina di olio, sale, zucchero, caffè, che non uso perché non amo il caffè, ma “se viene qualcuno, non si sa mai“, pomodori, pasta, frutta e verdura di ogni genere, vini vari, si carica anche di mozzarelle di bufala, gatteau di patate e altre minestre e minestrine da congelare per settimane.
Questa volta con le stesso rito di sempre, ha anche una borsa che pesa come un pezzo di cemento armato della Salerno Reggio Calabria:
Mamma ma quanta roba!”
Apri e vedi.
Con mia grande sorpresa, oltre ad aver rapinato un supermercato e qualche fruttivendolo, ha anche svuotato la mia vecchia libreria e recuperato tutti i miei diari:
Nooooo che meraviglia li hai portati tutti!”
Una bambina che scarta i regali a Natale.
Ho iniziato a curiosare, ho letto cose che non ricordavo di aver scritto, frasi dei baci perugina, pezzi tratti dal mio amato “Dylan Dog”, stikers presi dai giornaletti, foto e disegni, tra questi uno in particolare mi ha colpito che fuoriusciva dall’agenda e lo ricordavo perfettamente, sapevo esattamente di cosa si trattasse.
Ho iniziato a leggere….
4 ottobre 1993 
Tino se ne è andato, ci ha lasciati. Solo 15 anni, troppo poco tempo con noi. Avrei voluto non vivere mai questo giorno. Ovunque tu sia sappi che non ti dimenticherò mai, ora e per sempre.”
Ecco cosa ho scritto il 4 ottobre 1993 nel mio diario..
Trascorso qualche anno da quel 1993, ma mai abbastanza. Come fosse oggi.
“Un giro in moto, una di quelle con le marce che per tenerti devi stare sdraiata sul pilota, in un pomeriggio di fine settembre.
L’aria ancora calda, il vento tra i capelli, ci ha regalato momenti di serenità.
Non abbiamo fatto altro che ridere quel pomeriggio, tanto che mi mancava il fiato, gli addominali compressi.
Avremmo dovuto studiare quel giorno,
si certo!
Invece mi confidasti di avere una cotta per una nostra compagna di classe…
“Dai informati, chiedile qualcosa” 
mentre mi dicevi queste cose, il tuo viso diventava rosso come una ciliegia matura ed i tuoi occhi si illuminarono.
“va bene te lo prometto.” 
Mi regalasti una collana di perline grigie con un ciondolo a forma di teschio. Qualche giorno dopo, il tuo banco era vuoto, un fogliettino, consegnato a mano dal bidello, scatenò un silenzio innaturale e gelò la classe.
 
“Dante Saturno ha cambiato istituto.”
Le parole uscirono come cubetti di ghiaccio dalla bocca del Prof, l’uomo per noi colpevole di quella tua decisione.
Pietrificati i nostri visi, il respiro quasi assente.

4 ottobre ore 15:30  una telefonata rimbomba in casa:

”Dante è morto! Un incidente, un camion lo ha travolto, era con il cugino.”
 
La cornetta del telefono scivolò via dalla mia mano, sentivo la voce di mia madre lontana chilometri e chilometri,  i miei occhi fissi nel vuoto e nella mente una sola immagine il Tuo sorriso.
Frastornata dalle emozioni che si accavallarono, respirai, indossai le scarpe e giù di corsa per le scale, dovevo andare.
Poi una tenaglia al braccio mi fermò… mio padre.
Ero sconvolta, mi abbracciò e mi lasciai andare in un pianto disperato. Le lacrime non facevano fatica a venir fuori, avrei voluto vomitare tutto il mio dolore, ma anche quello non sarebbe stato abbastanza.
Il buio.
Non  mi sentivo in possesso del mio corpo. Il piombo anche nei polmoni.
Una notte trascorsa in bianco. Troppe domande senza risposta.
 
Perché Lui? Solo 15 anni? Quale cazzo di colpa aveva, per subire una cosa del genere perché?
Un forte senso di ingiustizia attanagliava il mio cuore.
Il giorno seguente eravamo tutti insieme, noi, la tua classe, i tuoi amici, come un’unica famiglia. Abbiamo sorriso ricordando le minchiate fatte insieme. Uno sguardo in particolare ho negli occhi, quello di Salvatore, seduto sul bordo del marciapiede, perso, vuoto, assente.
 
“La tua VD”
questo decidemmo di scrivere per l’omaggio floreale alla tua festa, così la chiamò il prete durante la celebrazione dei tuoi funerali.
Una chiesa gremita di persone. La tua famiglia, i tuoi amici, il tuo liceo….. Noi.
Un saluto costretto perché troppo poco tempo ti era stato concesso, avevi l’arte nelle mani, un’arte che non ti hanno permesso di esprimere.
Ero incazzata.
Avrei voluto spaccare la faccia del prof… quanto l’ho odiato.
Un urlo straziante che gridò il tuo nome ruppe il silenzio, un applauso accompagnò il tuo corpo inerme in quella bara bianca ricoperta di fiori, il suo peso sulle spalle dei tuoi amici, che avrebbero potuto sostenere il mondo pur di riaverti.
Una ceres condivisa ed un brindisi alla tua nuova vita, nel corpo di altre persone.”
Continuo a scorrere le altre pagine….

4 novembre 1993 ore 23.47
è trascorso un mese da quando non ci sei più e ci manchi. Ci mancano i tuoi sorrisi, i tuoi disegni e pure quei matti degli Iron Maiden che ho imparato ad apprezzare, Fear the dark è il mio brano preferito. Sto bevendo una birra,  e li ascolto, i miei genitori sono fuori , quindi faccio come mi pare. Non mi hai dato il tempo di parlare con Daniela, mi dispiace. Mi manchi. giuro non ti dimenticherò”

4 ottobre 2015
NON TI HO DIMENTICATO.
Ora e per sempre…
Don’t forget to smile
Raf

Notte

Il giorno tutto corre, tutto é intangibile, i respiri rincorrono il cuore, gli occhi non afferrano le immagini, tutto va.
Macchine, semafori rossi, motori accesi, traffico, scale, respiro affannato, sorrisi, computer, di nuovo scale, il cuore accelera i battiti, strette di mano, tic tac tic tac, invio, ricevi, stampa, scale, casco, moto, di corsa a casa, chiavi, ascensore, tonfo, chiavi, lancio delle scarpe e stop.
Stop!
1.30 am
il mondo per me, per ora si ferma, questo è il momento che amo di più. La quiete avvolge la città, il silenzio è rotto di tanto in tanto dalla nettezza urbana, che inizia il proprio lavoro, da un clacson impazzito e da un cane che abbaia al mondo la sua solitudine.
Morfeo può attendere.

La sedia verde sul balcone diventa il mio angolo di paradiso. Alzo le gambe al petto, le stringo forte e guardo lei. La luna questa notte è particolarmente brillante, illumina la mia penna che scivola sul foglio immacolato..
Finalmente la mia fronte si distende, le rughe si diradano, gli occhi iniziano a vedere.
L’aria frizzantina risveglia le cellule assopite e inizio un nuovo viaggio con me…..
Osservo.
Ascolto.
Sembra che l’universo di notte sia disposto a lasciarsi guardare, la sua bellezza e la sua meravigliosa perfezione mi travolgono come un’onda del mare in tempesta.
Ecco, ora i miei pensieri sono piu’ rumorosi, ora esigono di essere ascoltati, flussi di parole ed immagini fluiscono e si districano cercando il loro spazio.
Tutto inizia ad avere un senso.
La notte è così… il suo silenzio ti permette di ascoltare, di sentire il sangue fluire nel tuo corpo…
E’ furba ed è tua complice se vuoi, come degli amanti, delle idee folli, delle passioni impossibili, delle lacrime nascoste, dei mignoli che si cercano, delle gote rosse, dei respiri affannati, delle parole non dette, delle cose non fatte, delle sigarette mai spente.
Ti protegge  se lo desideri dall’abbagliante luce del giorno…
Sembrano attimi infiniti, una brezza di vento sfiora il mio viso , la luna cede  Il suo posto…
ed ecco si è fatto giorno.
Buio!
Don’t forget to smile
Raf